[LOG 09 - DATA FRAGMENT 03/03]

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La rete metallica scricchiola sotto i nostri piedi, mentre raggiungiamo il grosso portone d'ingresso. Tutti e tre, condividiamo un'occhiata quando realizziamo che è schiuso.

Non sembrano esserci trappole.

Io e Kin'ya ci infiliamo all'interno, ma quando tocca a Gyoubu la porta non sembra aver intenzione di arrendersi senza combattere. Stride, strusciando contro il pavimento sporco. Lui la colpisce con una spallata, un cardine arrugginito esplode, mentre l'altro cede. Un agghiacciante suono metallico si spande nel corridoio davanti a noi, riecheggiando nei meandri oscuri della costruzione.

Spentosi l'eco ricade un assoluto e tombale silenzio, che neanche il vento, che penetra dalle finestre sbarrate, sembra infrangere. Kin'ya cammina evitando le lattine di birra accartocciate e l'immondizia sparsa in terra, quasi come se avesse paura di far rumore. Avventurarsi nella struttura sembra quasi come allontanarsi sempre di più da ogni cosa che è calda e viva. Il posto è stato abitato, ma per ora neanche una traccia di anima viva.

Non c'è nessuno?

Mi chino su un materasso di cartoni, scostando da parte una tenda di plastica inchiodata al muro. C'è della chincaglieria, spazzatura che forse qualcuno considera un tesoro, persino una vecchia fotografia accartocciata.

Non se ne andrebbero mai, lasciando le loro cose qui...

Semi-avvolto da un tovagliolo ci sono i resti di un hamburger, lo afferro e me lo porto al naso, poi lo getto di nuovo sui cartoni.

Non è ancora andato male, o almeno non troppo... avrà uno o due giorni. Perché non sono arrivati i ratti?

» Trovato qualcosa, Jonathan?

» Sembrano tutti spariti.

» Anche da questo lato.

Non mi piace.

Mi rialzo, scrollando la polvere di dosso, e passo alla prossima stanza, che si espande in altezza e larghezza. L'intera struttura centrale è un unico ambiente aperto. Un nugolo di passerelle e nastri trasportatori la scalano verso l'alto, sorrette da una palafitta di sostegni tubolari che non sembrano più così sicure.

» PARLATO GIAPPONESE. Per Dio! Per l'amor di dio! Esclamazione in giapponese.

Non mi serve comprendere il giapponese per capire che quel tono straziato, non può far altro che portare pessime notizie. Kin'ya che prende a tossire violentemente mi guida fino a una piccola stanzetta attigua. Gli do una pacca sulla spalla nel vederlo piegato in due.

» Non vomitarti sulle scarpe.

Ora sappiamo che fine hanno fatto i senzatetto.

I miei occhi impiegano un paio di secondi per identificare i dettagli. All'inizio è soltanto una pila di forme confuse e sanguinolente, poi spuntano le mani inerte, gli occhi vacui e le bocche paralizzate in muti gridi di terrore. Dopo aver esaminato la ferita sulla schiena del primo, lo afferro per il pesante giaccone e lo ribalto, su un lato. Il mio cervello non recepisce neanche un dettaglio dei suoi lineamenti, come se la sua faccia non avesse importanza. Non mi interessa chi fosse stato, ma solo come è morto.

Con la colonna vertebrale recisa si è trascinato sul pavimento prima di essere finito... quanta voglia di vivere per un barbone.

Osservo per un ultimo istante le sue unghie spezzate e coperte di sangue, prima di lasciar ricadere la sua mano a terra. Agli altri corpi dedico ancor meno tempo.

» Andiamo, non siamo qui per loro.

» Ma... dobbiamo esaminarli, potrebbero esserci delle prove.

» Quando usciamo di qui fai una soffiata all'Interpol, ci penseranno loro.

» Non è così che si porta avanti un'indagine! Non è così che si fa il detective!

» È così che faccio io. Se non ti sta bene tornatene pure alla Torre.

Lo lascio lì, appoggiato al muro con una mano a coprirsi la bocca. Mi addentro nel canneto di sostegni d'acciaio che sostengono le passerelle.

L'hai attirata qui, hai ucciso i barboni per avere intimità... e poi? Che cosa volevi da lei?

Distratto urto qualcosa, un tubo si piega e l'intera passerella sopra la mia testa vacilla.

Ma che diavolo?

All'altezza delle mie spalle il sostegno d'acciaio è tagliato, e la metà inferiore si è piegata quando l'ho colpita. Molti altri lo sono allo stesso modo, formano una sorta di linea che sale diagonalmente da sinistra verso destra.

È come se qualcuno avesse tracciato un arco con una... spada!

I tubi tranciati seguono una confusa danza di affettature fino a una polla di sangue, e continuano fino a un nastro trasportatore segnato da una profonda incisione. Dall'altro lato ancora sangue spillato.

» Ehi, abbiamo un problema.

Quei due mi raggiungono davanti a due pozze di sangue, con tracce che portano in direzioni opposte. Come se i due combattenti feriti si fossero fermati a studiarsi prima di ritirarsi. Kin'ya le studia sfilandosi un paio di guanti usa e getta, per poi nasconderli in una tasca della giacca.

» Bestione, so che non ti piacerà, ma dobbiamo dividerci.

» Ho un nome-...

» Gyoubu, lo so, ma non è rilevante ora. Ci dividiamo.

» Non mi fido di te, investigatore. Voglio tenerti d'occhio.

» Cosa? E lasciare il ragazzino da solo? Non se ne parla neanche! L'hai visto prima con la granata? Per poco non ci restava secco. Neanche io mi fido di te, ma mandarlo in giro da solo vorrebbe dire mandarlo al macello.

» Jonathan-san, sono perfettamente in grado di compiere il mio lavoro. Altrimenti non sarei diventato un agente dell'Interpol!

» Zitto, tu. Parlano gli adulti. Quel distintivo non vale nulla! Non ferma i proiettili e non ti risparmia le coltellate alla schiena.

Contrae le labbra e non risponde.

» O vuoi andarci tu da solo?

Quando fa per raggiungere con la mano qualcosa dietro la schiena mi tendo come una molla, il braccio cibernetico pronto a scattare e ad affondargli nella gola. Strabuzzo gli occhi e mi rilasso quando invece mi restituisce la mia roba, incluso l'autorevolver.

» Ti servirà. Io penserò al cucciolo dell'Interpol.

Mi riprendo tutto lanciandogli un'occhiata incredula, poi faccio l'ok a Kin'ya.

» Mi raccomando, non andartene in giro da solo e fai come ti dice.

» Ma io...

» Ma, niente... e se ti trovi davanti a quella pazza,gira il culo e comincia a correre!


[FINE DATA FRAGMENT 03/03]

[FINE LOG 09]

Silicium Souls II: AratareWhere stories live. Discover now