[LOG 01 - DATA FRAGMENT 03/03]

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Sblocco la porta e le rivelo l'appartamento, raccogliendo il cacciavite da terra. Un nuvolone di polvere si solleva quando la porta sbatte contro la parete, coperta da vecchia carta da parati bianca, a fiori verdastri.

» Dare una spolverata non era tra le mie priorità.

Mi gratto la nuca mentre lei si copre la bocca tossendo, lanciandomi un'occhiataccia.

» Questo è perché non visito mai i miei pazienti a domicilio!

» Oh, ma io sono più di un semplice paziente, no?

Sorride, arcuando gli angoli delle labbra all'insù, per poi farsi sfuggire un urletto quando le affibbio una pacca sul sedere. Arrossisce, saltando sul posto d'istinto e lasciando la presa sulla bottiglia. La afferro al volo, per il collo, prima che possa infrangersi sul pavimento di finto-legno consunto.

» Ed ecco che stavamo per perderla.

» Ridammela, non sono più sicura di volertela dare.

» Ti prego, no. Non ce la faccio più ad andare avanti a bottiglie di whisky, da due Euro-Crediti, che sanno di piscio.

Mette il broncio, poi scoppia a ridere.

» Come faresti senza di me?

» Adesso? Come una pianta senza chi l'annaffi.

Richiudo la porta alle nostre spalle mentre il suo sguardo dardeggia in giro, posso quasi percepirlo mentre rimbalza per la profonda stanza, separata in due diversi ambienti da una parete divisoria: vecchio legno tarlato, in basso, che sostiene una vetrata colorata a tutta altezza.

» Ma è fantastica!

Lascio la sahariana all'appendiabiti e getto il cacciavite sul divano nero, prima di raggiungere Rebecca. Le sue mani carezzano le foglie incise nel legno e i tasselli del mosaico multicolore che compongono la vetrata.

» Questo appartamento risale a quando questo cesso di palazzo era ancora nuovo; stando alle parole dell'amministratore era lo studio di un avvocato. È rimasto vuoto per non so quanto.

Lasciando la superficie tassellata della vetrata, le sue dita affusolate si ritrovano coperte da uno spesso strato di polvere appiccicosa, ma neanche ci fa caso mentre si volta. Fissa tutto ciò che c'è nella stanza: l'appendiabiti, il divano e poi me.

» Quindi questa è una sorta di anticamera? Una sala di attesa?

» Beh, diciamo di sì, anche se dubito che verrà mai sfruttata a questo modo, non riesco proprio a immaginarmi una fila di clienti pronti a bussare alla mia porta.

Sapevo ti sarebbe piaciuta.

» E poi, se mai avessi una segretaria, questo sarebbe il posto dove piazzare la sua scrivania.

» Tu, una segretaria!?

» Ehi! Parlo di quelle serie, quelle che si fanno il culo per lavorare e a cui puoi affidare incarichi, non quelle che paghi per inginocchiarsi sotto il tavolo... cioè, oddio... anche quel-...

Mi interrompo notando che ha incrociato le braccia sul petto, l'indice che picchietta sulla manica della camicetta.

» Ma andiamo avanti!

Una vecchia maniglia d'ottone consente di schiudere una porta, di legno e vetro fumé, ricavata al centro della parete divisoria.

» E questo è l'ufficio.

La conduco nell'altra metà della camera, più contenuta ma meglio illuminata; oltre una larga scrivania due finestre affiancate danno sulla grande piazza, sei piani più in basso. Con le imposte aperte si scorge il maxi-schermo che copre la facciata del palazzo di fronte e che nomina il piazzale des hurlements. Lascia la bottiglia sulla superficie di legno della scrivania, di fianco a una grossa scatola di cartone, lì poggiata.

Silicium Souls II: AratareWhere stories live. Discover now