[LOG 03 - DATA FRAGMENT 01/02]

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05.24 AM17.09.2060

Sfilo il coperchio dello shaker e lascio defluire il torbido contenuto attraverso il filtro, riempiendo un bicchiere balloon, di finto-vetro, poggiato sul bancone di metallo. È un liquido di un rosso acceso che sembra brillante sangue arterioso. Prendo una bottiglia, senza etichetta, e tramite il lungo beccuccio faccio piovere nel bicchiere dense gocce di una crema rossa scura, che rimangono in sospensione nel liquido più chiaro. Osservo il risultato lasciandomi sfuggire un ghigno di soddisfazione, le lacrime purpuree non cadono sul fondo e non si amalgamano.

Sollevo il calice e assaggio, l'alcol va giù forte e secco come un pugno allo stomaco. Mi lecco le labbra, macchiate di rosso, e sorrido. Mi piace, ma ripensando a Chris mi rendo conto che non piacerà a lei. Riesco a immaginare la sua faccia mentre mi dice che c'è troppo gin. Ne faccio altri, ma nel bel mezzo della preparazione del sesto le doppie-porte, che danno sulle scale, si spalancano. Mette piede nel locale la padrona, la padrona del That Good Night. Rabbrividendo si stringe nel suo impermeabile nero foderato di lana, per poi posare su un alto sgabello il cartone di una pizza fumante.

» Cristo Yae, potevi accenderlo il riscaldamento! Si gela.

Scrollo le spalle, non sono mai stata molto suscettibile al freddo. Le indico i drink piuttosto.

» Io lavoravo.

Aggrotta le sopracciglia, poi si china sulla fila di bicchieri esposta sul lucido bancone metallico.

» Nome?

» Sprayed guts.

Lo studia per qualche secondo e poi lo assaggia, gioca con il liquido in bocca prima di mandarlo giù.

» L'aspetto è buono. Quante parti di gin?

» Tre.

» Solo due la prossima volta.

Solo due ne ho messe...

» Domani esercitati anche con il Mechanical Rainbow e il Rushing Coma.

» Sì, Sensei.

Mi guarda severa, poi mi rivolge un sorrise e si scola l'intero bicchiere. Lo posa e, girando intorno al bancone, si avvia verso la tenda di lucide perline nere, che porta al magazzino sul retro.

» Pulisci tutto che poi chiudiamo.

Annuisco, anche se lei è già scomparsa alla vista e non può vedermi. Mentre faccio come dice mi interrogo sulle stesse domande che continuano a frullarmi nella testa ogni volta che la vedo allontanarsi da me.

Perché la ascolto? Perché mi sono legata a lei? Perché... lei?

Ma nessuna epifania mi sorprende mentre finisco di ripulire. Quando ritorna, trascinando un paio di pesanti cartoni di birre, glieli tolgo di mano e me li carico in spalla. Prendo anche la pizza e la seguo fuori dall'uscita sul retro e, dopo che ha chiuso a chiave, dentro un'altra porticina che dà ai piani superiori dello stesso edificio. Saliamo e al terzo il mio orecchio cibernetico percepisce lo strusciare delle ciabatte pelose della signora Johansson, sempre pronta a spiare dall'occhio magico della porta. Al quarto sento lo scatto metallico della pistola del vecchio Oleksandr, che secondo Christina, teme che i fantasmi dei suoi compagni deceduti, nella prima guerra est-europea, tornino a prenderlo ogni volta che sente dei passi su per le scale. Mi domando se quel proiettile sia per loro o per sé stesso. Un paio di gradini dopo scrollo le spalle, non me ne importa nulla in ogni caso. Al quinto piano siamo a casa.

Casa... così la chiama, ma cosa vuol dire davvero? Cosa si cela dietro il modo in cui la sua voce si addolcisce nel sentirmi usare quella parola?

Passo oltre il salotto pieno di vecchi cartoni per la pizza che Christina non vuole gettare e che allo stesso tempo si ostina a tenere impilati, a mo' di torre, in un angolo. Esco sul balcone dalla ringhiera di vecchio ferro arrugginito e dal calcestruzzo butterato dalla pioggia acida. Poso le birre e la pizza, prima di sedermi al suolo allungando una gamba e puntellando l'altra. Mentre lei mi imita scoperchio il cartone della pizza, formato famiglia, e sollevo un sopracciglio.

» Che è 'sta roba?

» Zitta e mangia.

Prendo una fetta e ne divoro metà con un sol boccone.

» E non fare l'ingorda!

Questa volta aggrotto entrambe le sopracciglia e scrollo le spalle, mentre finisco di masticare e ingoio. Dopo la prima fetta faccio per raccogliere una lattina di volt-beer, ma prima che possa riuscirci Chris mi agguanta la mano.

» Ma che fai! Hai le mani tutte unte...

Si china in avanti chiudendo le sue soffici labbra intorno al mio indice, succhiandolo e carezzandolo con la lingua mentre mi guarda con malizia. Quel sorriso e quegli occhi vibranti bastano a gridare cosa vorrebbe fare senza che apra bocca. Libero il dito, spezzando il sottile filo di saliva che lo collegava alle sue labbra, e la bacio. Le afferro i capelli come un rapace, bloccandola in una morsa e stringendo fino farle male. Mentre la mia avida lingua esplora ogni millimetro della sua calda bocca la sento prima dimenarsi e poi sciogliersi contro di me. Le nostre lingue si intrecciano e poggio l'altra mano sulle sue pallide e delicate clavicole, cingendole il collo; a quel gesto lei mi sussurra un versetto inarticolato in gola e socchiude gli occhi. Ma invece di serrare la presa e darle quello che vuole mi ritiro da lei. Mentre mi pulisco la bocca con il dorso della mano, le rivolgo un ghigno. Uno di quelli pregni di concupiscenza, possessione e diniego. Lei si limita a riprendere fiato lasciandosi sfuggire una nota di disappunto negli occhi ora lucidi e supplicanti. Per tutta risposta mi stappo una birra. Riprendiamo a mangiare in silenzio, con lei appoggiata contro la mia spalla.


[FINE DATA FRAGMENT 01/02]

Silicium Souls II: AratareWhere stories live. Discover now