42. Blue jeans

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Blue jeans, white shirt

Walked into the run, you know you made my eyes burn

[...] You were sorta punk rock, I grew up on hip hop

But you fit me better than my favorite sweater

And I know that love is mean and love hurts...

[Lana Del Rey]

***

Napoli

Un mese dopo circa


Per mezzo di una buona parola messa da Fra' Cristoforo, così come ci è giunta voce, il giorno venne davvero.

A pazienza ormai esaurita, Camila aspettava che la promessa giungesse a compimento, finalmente, con gli occhi che rimbalzavano dall'orologio da polso alla carreggiata, e viceversa; il cuore in gola, la mano salda attorno alla tracolla del borsone dentro cui aveva cacciato poco più dello stretto necessario, la sera precedente. Chi abbisognava di tanti vestiti, quando v'era l'amore a intessere un'armatura della sua taglia sulla nudità più vulnerabile?

Aveva pensato a tutto: Christopher, come al solito, si trovava fuori casa (a dire il vero non era mai rientrato); Tecla invece beneficiava di un giornata libera. Aveva racimolato i propri risparmi in un unico portafoglio, ripiegato con cura qualche cambio di abiti pratici e ottimamente abbinati, utili ad avviarsi, e recuperato abbondante coraggio misto a sprezzo del pericolo. Chi, insomma, necessitava di una spropositata quantità di denaro quando era custode inamovibile di una vita pulsante e una ferrea salute?

Potevano anche ucciderla, a quel punto, e sarebbe morta felice tra le braccia che più le mancavano.

La liberazione giunse puntuale allo scoccare delle sette. Nonostante l'ora proibitiva, Napoli già brulicava di automobili e pedoni come le pendici di un formicaio. Un clacson più vivace degli altri attirò la sua attenzione: proveniva dal ciglione più prossimo. Se non fosse pervenuto alle sue orecchie in un motivetto particolare, fra il caos disarmonico che lo circondava, nemmeno se ne sarebbe accorta.

Lauren si catapultò fuori dal taxi, trafelata ed emozionata come mai in vita sua. Lasciò la portiera aperta e, precipitandosi nella sua direzione, allargò le braccia per stringerla nella in una mancanza che non sapeva colmare in altro modo. Per la foga quasi la sollevò da terra. Se non si fosse sentita terribilmente sotto pressione sarebbe scoppiata in lacrime di gioia. Distaccandosi di poco, così da averla a un respiro da sé, accontentò un fugace capriccio di contemplazione, figlio dell'incredibilità del presente.

Il tempo è un agente atmosferico pari all'acqua del mare, al vento e alla pioggia: talvolta leviga, talvolta erode. Seleziona con minuzia le caratteristiche migliori di ogni oggetto inanimato e vivente, in modo da piegarlo al proprio scorrere o favorirlo esponenzialmente. Conserva i legami solidi, annega quelli fragili poco a poco.

- Ti ho portato la colazione -.

Al cospetto di un cornetto fresco di forno, dalle dimensioni esagerate e grondante di una deliziosa marmellata ai fichi bianchi del Cilento, gli occhi di Camila si ingrandirono in una golosa meraviglia. Per la seconda volta in pochi minuti, mentre il taxi procedeva a velocità di crociera, a traffico snellitosi, dovette reprimere la disperata urgenza di un bacio.

Per sostenersi emotivamente adagiò le palme aperte sui 501 di Lauren, che ora si presentavano sdruciti all'altezza delle ginocchia, in una maniera ribelle che le ricordava molto i suoi.

Sospirando appena, mentre ne titillava gli orli sfilacciati, in uno squisito dialetto disse: - Come devo fare con te... -. Ovviamente intendeva, mia diletta luna, mio adorato sole, mia eterna perdizione, non esiste me all'infuori di te.

La corvina scosse lievemente la testa. Sorrideva. Ruppe un'estremità del cornetto e gliela porse. Il profilo austero del porto turistico le sorprese con la bocca ancora colma di zucchero. Pagata profumatamente la corsa, complice il traffico pari a un baccanale di schiamazzi e suoni molesti, si affannarono fuori dal taxi.

- Dove andiamo? - rise Camila, quando tentò di raggiungere il molo e invece Lauren la trattenne per la mano e con il capo le indicò la direzione opposta. Ma non appena raggiunse il parcheggio adiacente e si avvide dell'unico mezzo differente da tutti gli altri, ammutolì.

Una chiazza bianco sporco sedusse le sue iridi d'ebano, inducendole ad allargarsi per la sorpresa. Finché non ne sfiorò il cofano con la mano, oltre l'inconfondibile logo metallico della Volkswagen, non credette di essere davanti a un Transporter di terza generazione, roboante anche a motore spento.

- Che ne dici, allora? - domandò Lauren, con gli occhi che luccicavano: Diego aveva compiuto un miracolo. Le aprì la portiera del passeggero, impaziente di partire. - Camz? - insistette, quando la percepì completamente assorta in un leopardiano rapimento.

Ella intersecò le mani al volume dei propri riccioli, incredula.

- Uh, mamma mia... - sussurrò.

Quel camper non costituiva solo una promessa mantenuta, ma un sigillo postale sul futuro. Salendovi, sarebbe stata certa di approdare a una destinazione serena.

Riscotendosi, adagiò il borsone sul sedile, e poi liberò un urlo di euforia al cielo. Sfilò la fede nuziale dall'anulare mancino. Si arrabattò verso il molo e la scagliò a mare con quanta più forza poté, consapevole di aver appena spezzato la catena che la legava a una realtà infelice.

Mentre Lauren imboccava la A3, nel sottofondo garantito da Lionel Richie e dalla sua Hello, e poi si inseriva nel traffico dell'Autostrada del Sole, in direzione nord, ispezionò con attenzione il nuovo ambiente; e più se ne riempiva gli occhi, e più avrebbe voluto versare lacrime di gioia.

Seguì con gli occhi l'asfalto, e giunse più lontano che riuscì, dove esso curvava e apriva la visuale sull'acqua scintillante del mare. Gradualmente si riavvicinò alla cabina di guida, e con un braccio avvolse il collo di Lauren. Nella palma tremante accolse le pendici del suo bel viso, la tempia sinistra andò a collidere con la sua.

- Ti amo, Lo - singhiozzò, con il cuore che le sorgeva sulle labbra e il sollievo che la svincolava da ogni fardello, finalmente.

***

Nel tardo pomeriggio, la porta dell'attico situato nel Vomero tornò ad aprirsi, rilevando la figura non più dinoccolata di Christopher. Ora era provvista di spalle più larghe, gambe e braccia poderose e un portamento quasi militare.

Entrando, scalzò i mocassini sui fogli di giornale che stavano distesi accanto all'appendiabiti. Avvedendosi dell'atmosfera ferma, fin troppo silenziosa, si adombrò visibilmente: il sospetto scavò nella sua giovane fronte alcune rughe di inquietudine.

- Camila! - chiamò. - Tecla! -.

La sua voce stentorea si spense contro la pessima acustica delle pareti senza che nessuno vi rispondesse. Allentando nervosamente il nodo della cravatta, corse a ispezionare ogni angolo della casa.

Orbene, se per la governante poteva ipotizzare una mezza o un'intera giornata libera, che non era nulla di fuori dall'ordinario, dato che in termini pratici l'abitazione era sfruttata al minimo possibile, nei riguardi della moglie non gli riuscì altrettanto, specie perché correvano le ore vespertine.

Non occorse molto tempo prima che il suo battito cardiaco mutasse per uno strappo di furia. Quale stereotipo di uomo meridionale, egli era caratterizzato da una gelosia possessiva comparabile a quella del verghiano Mazzarò. Dunque, quando mobilitò tutte le proprie risorse per ottenere informazioni sulla moglie, non si sorprese affatto che di ella si fossero perse le tracce al porto turistico e ormai doveva trovarsi fuori regione; piuttosto, diede in escandescenze. Sbatté la cornetta del telefono fisso con quanta più forza si sentiva in corpo. Ogni aspetto di quella faccenda, che già prendeva le sembianze di un'intricata matassa, e di cui, diamine, non conosceva nemmeno la trama a grandi linee, sembrava suggerirgli di appendersi per la gola all'asta che reggeva il tendone in broccato del soggiorno.

Sostenendosi contro la scrivania, prima di svenire per la collera, cacciò una sigaretta spenta in bocca e si affannò a cavare di tasca l'accendino. Inspirò ed espirò profondamente. Recuperato un certo contegno, si precipitò di nuovo fuori casa, ora invasato da un demone omicida.

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