30. River

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Oh, I wanna come near and give to you

Every part of me

But there's blood in my hands

And my lips are unclean

[Leon Bridges]

***

Camila si rialzò con una lentezza estrema, poiché temeva che il sostegno delle gambe potesse venirle a mancare all'improvviso. Nei suoi occhi d'ebano si leggeva facilmente l'emozione di frustrazione e timore che la vessava senza misericordia. Così indifesa, assomigliava a un cerbiatto che venga incriminato da un paio di fari abbaglianti, nel cuore della notte.

Con la chiara intenzione di stabilire un contatto, protese una mano verso di Lauren. Complice la paura del rifiuto, essa non era del tutto distesa, tremolava, e quasi si raccoglieva in un pugno.

- Non toccarmi – ringhiò la corvina, quando quasi poteva coricarci la guancia. Anche in lei, era evidente, vibravano tutt'e quattro le corde del dolore: era il Tartini che suonava la Sonata per violino in sol minore, passata alla storia come il Trillo del Diavolo.

- Per favore – ritentò Camila, approssimandosi con il corpo. Possedeva un sospetto cristallino che ella non fosse reale, ma solo un prodotto della propria, spasimante immaginazione. – Sto impazzendo – addusse in un sussurro.

Un velo di lacrime già scintillava davanti alle sue iridi. Da ormai un'infinità di giorni tentava di racimolare prospettive di futuro che non coinvolgessero la giovane donna che le stava innanzi e sembrava soffrire parimenti, ma era così arduo sentirsi intera come in origine quando le aveva consegnato gli incorporei luoghi di sé di cui non sospettava nemmeno l'esistenza.

D'altro canto, dire che Lauren era altrettanto tentata dalle circostanze presenti suonerebbe riduttivo ed eufemistico in ogni singola pagina di questa storia; ed essa era una sensazione oltremodo nota, e aleggiava come una terza presenza tra loro, in forma di recalcitrante fuoco.

- Lasciami un minuto con mia madre – fu tuttavia la sua replica incolore.

Attese, con lo sguardo fisso nel vuoto, che Camila retrocedesse e scomparisse dal suo campo visivo. Poi si inginocchiò a sua volta. Posò nove camelie sul tumulo, cosicché lo adornassero in una maniera graziosa, e tenne la decima per sé, stretta al petto.

In verità ripensava al Pascoli, che dal lutto aveva ricamato un trionfale cammino. Perché ella, a sua volta, non riusciva a distaccarsi da quel pensiero drammatico e a ricavarvi anzi concime per il proprio, via via più infecondo, cuore? Perché non riusciva a scarcerare Clara dalla mente, permettendole di non essere più solo un pensiero ossessivo, una maledizione indotta, un atlantico fardello?

Non è stata colpa tua, ripeteva spesso a Taylor. Non è colpa di nessuno. Perché non poteva dirlo a se stessa, per una volta, e non considerarsi priva di un arto, nel confrontarsi con la prole altrui? Perché viveva la perdita come un castigo, un peccato non espiabile, e più cresceva, più si rendeva conto di non assomigliare a un decimo di ciò che Clara avrebbe plasmato con il proprio amore, se solo non fosse deceduta? Oh, come la frustrava l'incapacità di trovare un colpevole in quella vicenda disgraziata!

- «[...] Ma secco è il pruno, - recitò in un bisbiglio, muovendo appena le labbra - e le stecchite piante / di nere trame segnano il sereno, / e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante / sembra il terreno. / Silenzio, intorno: solo, alle ventate, / odi lontano, da giardini ed orti, / di foglie un cader fragile...» -. Singhiozzò, interrompendosi: ancora non trovava pace. Si lasciò piegare dall'afflizione che le perforava il petto e incurvò le spalle sotto il suo peso.

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