TRENTA.

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Jeonghan mantenne un passo lento, volendo restare il più lontano possibile da Jisoo. Il vento continuava ad insinuarsi dentro il suo cappotto e si sentiva scoperto, non protetto, esposto al gelo e un'angoscia gli premeva il petto, guardando Jisoo che camminava a passo deciso. Riconosceva, in quelle pose tese, tutta la rabbia che probabilmente stava covando.

Jeonghan aveva voluto quello. Jeonghan l'aveva voluto. Si era comportato male apposta fino ad allora, solo per ottenere quello.

Stavano passeggiando nello stesso luogo in cui avevano avuto la prima conversazione dopo quella notte. Jeonghan non riusciva a dimenticarsi di quei momento. Non si era mai mostrato così scoperto, con nessuno, e i sensi di colpa lo colpivano come lame sui fianchi. Qualche tempo prima, in quello stesso giardino, Jisoo si era rivolto a lui con parole dolci e la più totale e devota delle comprensioni.

Ma stavolta, quando si girò per poterlo affrontare in faccia, nessuna carezza uscì da quella bocca.

- Ammetto che sto cercando di capirti. Dico sul serio. E posso capire, te lo giuro, che tu sia completamente confuso ora. Ma non capisco perché tu debba comportarti così. - Jisoo non nascose l'irritazione nella propria voce. Le parole uscirono vaghe. Non riuscì a mostrarsi così sicuro di sé come si era ripromesso e preparato.
- Come mi starei comportando? -
- Così. Esattamente così. - Jisoo fece dei passi in avanti, verso di lui, e lo indicó. - Fai sempre finta di niente. Fai sempre finta di non capire. -
- Probabilmente non sono così intelligente come credi. -

Il rumore di un clacson interruppe la conversazione. Da lontano, la strada si stava affollando, stavano tutti scappando di casa per godersi quel sabato sera nei quartieri di festa. Ma non loro due.

- Ma che cazzo stai dicendo, Jeonghan. - Non risuonó come una domanda. Risuonó come un'affermazione esasperata. Jisoo era stanco, era davvero esausto. Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e trovò quasi gradevole l'aria gelida che cominciava ad intorpidirgli le dita. - Tu sei fin troppo intelligente. Ti stai comportando così apposta. -
- Perché mai dovrei? -
- Sei cambiato dopo quella sera. Prima eri tutt'altra persona. -
- Magari eri tu che pensavi di conoscermi. E ora che sai come sono davvero, non ti va più bene. -

Più andavano avanti a parlare, più entrambi trattenevano l'istinto di urlarsi in faccia. Si stavano trattenendo entrambi e stavano fingendo entrambi.

- Non te l'ho mai voluto dire, ma ho sempre notato il modo strano in cui ti comporti con gli altri. Sei sempre così controllato. Lo sai come ti guardano tutti, no? Ma poi c'è Soonyoung, e con lui sei molto più tranquillo. E con il tempo ho visto che anche con me eri più te stesso. - Jisoo aveva ragione. Aveva colto tutto. Ma a Jeonghan non andava giù affatto che avesse notato tutte quelle cose.
- Pensi di conoscermi così bene? -
- No. - Jisoo fece un altro passo. - Ma vorrei farlo. E lo stavo facendo. Ma poi sei sparito e hai cominciato a trattarmi malissimo. Persino quando qualcuno ti da fastidio, non osi fare così. Perché con me sì? -
- Hyung, sei così intelligente. Dovresti capirlo, visto che pensi di aver capito tutto di me. - Jeonghan infiló le mani in tasca e fece a sua volta un passo avanti. - O forse no? -
- A quanto pare no. - Jisoo si ritiró. - A quanto pare non ho mai davvero capito nulla di te. -
- E allora perché mi vuoi parlare? -

Le domande di Jeonghan era assurde. Jisoo non concepiva come quel ragazzo si fosse trasformato in quel modo. Sembrava un altro individuo. Sembrava di aver passato mesi in compagnia di uno sconosciuto vero e proprio.

- Perché lo stai facendo apposta. - Prese un profondo sospiro e si leccó le labbra, secche. - Perché é talmente ovvio che hai paura che sei quasi imbarazzante. -
- Io? Imbarazzante? Sei tu che continui a venirmi dietro. Io non ti ho mai chiesto nulla. Nemmeno quella sera. Nessuno ti ha mai chiesto niente! - Jeonghan alzó il tono della voce e le ultime parole risultarono quasi un urlo disperato. Era così coinvolto che non si rendeva più conto di come stava parlando. Non aveva più controllo, ed era stanco di averne. - Ti piace così tanto fare così, eh? Sei perfetto. Non hai difetti. Ci sei per tutti. Sai sempre come aiutare gli altri. Ti ho sempre invidiato, lo sai? - Lo aveva detto. Glielo aveva appena detto. Gli aveva confessato il risentimento che covava per lui tutto quel tempo. Ciò che non aveva mai espresso ad alta voce, nemmeno al proprio riflesso allo specchio. L'invidia. Lo invidiava.

Aware.Where stories live. Discover now