Potremmo ritornare

By letsforgethim

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«Io qua non ci voglio più stare» aveva pensato Alice, ormai un anno prima. E se n'era andata via veramente, a... More

1. Il Murphy's
2. Occhi verdi
3. L'amore è una maledizione
4. Colazione e chiacchiere
5. Tanti perché
6. Soliti venerdì
7. Ciuffo ribelle
8. Allianz Stadium
9. Scherzo degli astri
10. Vinovo
11. Scelte
12. È stato un piacere conoscerti
13. A pranzo con Higuain e Dybala
14. Una come lei
15. Due anni della mia vita
16. Sonya
18. Ti piace Paulo?
19. Sei qui per lei?
20. Morto un papa se ne fa un altro
21. Countdown
22. Chi è quella?
23. La quiete prima della tempesta
24. Non gli piacciono le bionde
25. Mi fai stare bene
26. Il lunedì più lunedì di sempre
27. Sotto la stessa luna
28. Un ufficio per due
29. L'ora della verità
30. Non ti merita
31. Una serata in discoteca
32. Quant'è piccola Torino
33. Mi vuoi baciare?
34. Firenze
35. Ci sono storie senza lieto fine
36. Italia-Svezia
37. L'arte di saper perdonare
38. Tensione
39. Occhio per occhio, dente per dente
40. Amici
41. Invito a cena
42. Dimenticami
43. Incontri inaspettati
44. La verità
45. Pelle contro pelle
46. Tu vali la pena
47. Quando tutto torna alla normalità
48. Al centro dell'attenzione
49. Un nuovo capitolo della sua vita
50. Juventus-Real Madrid
51. In famiglia
52. Dove tutto ha avuto inizio

17. Fortunata al gioco, sfortunata in amore

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By letsforgethim

Il terreno di gioco era impraticabile: quando il pallone cadeva per terra, invece di rimbalzare come faceva di solito, rimaneva a galleggiare sulla superficie di una delle pozzanghere di cui era pieno il campo.

Il terreno scivoloso rendeva quasi impossibile controllare la palla e, per di più, Federico e i suoi compagni erano bagnati fradici: le divise da allenamento erano attaccate ai loro corpi, quasi fossero una seconda pelle, così come i loro capelli, appiccicati alle loro fronti.

Per non parlare del fatto che le gocce di pioggia tra le ciglia rendevano impossibile vedere, si passavano la mano sui volti, inutilmente, perché qualche secondo dopo la situazione tornava invariata.

Nonostante questo il mister non sembrava ancora intenzionato a sospendere l'allenamento.

Era da tutta la settimana che pioveva ed era tutta la settimana che loro si erano allenati sotto la pioggia, ma quel giorno sembrava essere il principio del giudizio universale.

Stavano facendo una partita, ancora sullo zero a zero, perché era fisicamente impossibile riuscire ad eseguire più di un dribbling di seguito o un tiro in porta senza che il piede d'appoggio non rimanesse nel fango e ti facesse perdere l'equilibrio.

Cosa che accadde in quel momento a Gonzalo.

«Que carajo!» esclamò furibondo battendo i pugni per terra.

Lanciò uno sguardo di traverso a Paulo che in quel momento se la stava ridendo, e poi si girò verso Allegri.

«Mister! - esclamò per ottenere la sua attenzione - No se puede jugar en estas condiciones!»

Lui alzò il viso verso l'alto, come se solo in quel momento si rendesse conto della quantità di pioggia che stava scendendo dal cielo.

Si consultò con il suo vice, Landucci, che si trovava lì al suo fianco a seguire la partita insieme a lui.

Si confrontarono tra di loro per qualche secondo e poi i ragazzi videro Allegri annuire.

«Va bene, per oggi può bastare così.»

Un unico pensiero attraversò la testa della squadra: Landucci in quell'occasione aveva dimostrato senza ombra di dubbio di avere più buonsenso del loro allenatore.

Gonzalo, da seduto, si distese sfinito sul campo.

Paulo si avvicinò e gli allungò una mano per aiutarlo ad alzarsi.

«Continua a lamentarti, Gonzalo - gli disse Allegri quando i due gli passarono accanto - e la prossima partita stai in panchina.»

«Certo» mormorò lui con una punta di ironia nella voce; sapeva bene che l'unica cosa che avrebbe mai potuto frenare il suo allenatore dal non metterlo titolare era un possibile infortunio e nient'altro.

Federico si chinò in avanti, appoggiandosi con le mani sulle ginocchia per riprendere fiato.

Gli facevano tremendamente male i polpacci, si augurava che la doccia calda che stava per fare lo aiutasse a sentirsi meglio.

Seguì i suoi compagni verso gli spogliatoi.

«Penso di avere pioggia anche nelle mutande» sbuffò Stefano, affiancandosi a lui.

Federico rise, passandosi una mano sui capelli.

Quel tempo non gli piaceva, non gli piaceva affatto.

La pioggia gli faceva tornare in mente la sera in cui Alice l'aveva lasciato.

Quel tempo gli ricordava tutto il dolore che aveva provato quella sera e tutto il dolore che aveva letto negli occhi di lei e nelle lacrime che si confondevano alle gocce di pioggia sulle sue guance.

Non era vero che con il tempo il dolore svaniva.

Lontano dagli occhi, lontano dal cuore un cazzo.

Per tutto il tempo che lui era rimasto a Firenze e Alice era venuta lì a Torino, ogni giorno sentiva di amarla di più.

Lei era la donna che faceva per lui, l'aveva capito dal primo istante in cui i loro occhi si erano incontrati e lei gli aveva sorriso.

La voce di Gonzalo lo riscosse dal turbinio di pensieri che aveva in testa.

«C'è Alice» pronunciò il compagno di squadra dando una gomitata al numero dieci per richiamarne l'attenzione.

Dybala alzò gli occhi da terra e seguì lo sguardo di Gonzalo e quando vide la ragazza il suo voltò si illuminò.

Alice aveva la testa china sul tavolo, impegnata a leggere.

Si era legata i capelli così non continuavano a ricaderle in avanti e a disturbare la sua lettura.

Michela vide i ragazzi e alzò una mano per salutarli.

«Alice - la richiamò, e lei alzò la testa - c'è Paulo» le disse indicando con l'indice verso la parete di vetro.

Paulo si portò due dita alla fronte e si esibì in un saluto militare, facendola sorridere.

«E cammina!» scherzò Giorgio dandogli una spintarella sulla schiena prima di sorpassarlo.

Federico seguì il difensore, quella scena stava contribuendo solamente a peggiorare il suo umore, già nero.

Una volta nello spogliatoio si fiondarono sotto le docce, rimanendoci più del solito per cercare di scaldarsi e togliere tutta quell'umidità che sembrava essere entrata loro sin sotto la pelle.

Federico si avvolse un asciugamano attorno alla vita e si posizionò davanti allo specchio per cercare di asciugare e dare un verso ai suoi capelli, che più diventavano lunghi più erano indomabili.

«Hai intenzione di farne altri?»

Andrea era sempre stato uno empatico, lo sapeva bene Maddalena, sua moglie: non era mai in grado di nascondergli niente, per quanto bene a volte fingesse che non ci fosse niente a darle fastidio, lui capiva sempre che non era così.

Aveva capito subito che c'era qualcosa che tormentava il suo nuovo compagno di squadra, da come teneva le spalle e lo sguardo bassi.

La cosa che ancora non aveva capito era il perché, ma non gli ci sarebbe voluto molto, gli sarebbe bastato osservarlo per un po' e ci sarebbe arrivato.

Il biondo girò la testa verso Barzagli, aggrottando le sopracciglia.

Andrea sorrise, «I tatuaggi» gli spiegò.

«Ah - Federico sorrise a sua volta e Andrea fu contento di essere riuscito a rubargli almeno quel sorriso, anche se fugace - Non lo so. Per il momento no.»

«Se vuoi un consiglio, io mi fermerei. Quelli che hai già sono belli, non hai bisogno di altro inchiostro sulla tua pelle.»

La stessa cosa che gli aveva detto suo padre, pensò Federico.

«Comunque, Federico… è tutto a posto?»

Si strinse nelle spalle, «Sì, sì, va tutto bene.»

Ci sono stati tempi migliori, molto migliori, pensò.

Andrea sospirò, non voleva insistere e «Sappi che se ti va di parlare, per qualsiasi cosa, sai dove trovarmi» si limitò a fargli sapere poggiandogli una mano sulla spalla.

«Grazie, Andre» gli disse, sinceramente riconoscente.

Lo spogliatoio aveva piano piano cominciato a svuotarsi, i ragazzi già pronti se n'erano andati in sala comune.

Federico si vestì e, prima di uscire, scoccò un'ultima occhiata alla sua immagine riflessa nello specchio, decise che i capelli andavano bene così.

Mattia e Stefano stavano già giocando a biliardino contro Miralem e Mehdi; Gonzalo - sempre tra i primi nel finire di prepararsi - aveva il joystick in mano e stava giocando a Fifa contro Daniele; gli altri suoi compagni - ne mancavano ancora un paio che erano ancora negli spogliatoi - erano sparsi sui divani, chi stravaccato e chi seduto, col cellulare in mano.

Spostò lo sguardo verso il tavolo dove erano sedute Alice e Michela.

Vide Alice poggiare la testa sulla mano.

Dalla faccia che aveva sembrava veramente stanca.

E lo era, aveva dormito sì e no tre ore quella notte e la mancanza di lucidità cominciava a farsi sentire.

Lasciò perdere per un attimo il lavoro e passò lo sguardo lungo la stanza e si sorprese di sé quando si rese conto di star cercando Paulo.

Decisamente non era in sé e dormire così poco non l'aiutava di certo, pensò scuotendo la testa allibita

Quando incontrò gli occhi di Federico sentì il battito accellerarle.

Lo conosceva così bene che le era bastato uno semplice sguardo per capire quanto anche lui, come lei in quel momento, fosse stanco e, forse, per una qualche ragione anche sconsolato.

Non ti deve interessare, si ammonì.

Prese il telefono e cambiò canzone, ascoltare musica triste in quel momento non sarebbe stato per nulla d'aiuto.

Tornò a guardare lo schermo del computer.

Doveva terminare di scrivere la mail a Cortesi con il riepilogo del lavoro che aveva svolto negli ultimi due giorni e allegare i documenti che aveva bisogno di fargli vedere.

Aveva appena cominciato a digitare sulla tastiera, ma il rumore della sedia accanto alla sua che veniva tirato indietro la distrasse.

«Ciao Alice» la salutò Paulo, sorridendole mentre si accomodava accanto a lei.

«Ciao Paulo» ricambiò il saluto lei, sorridendogli a sua volta.

Michela lanciò uno sguardo divertito ai due e sorrise tra sé.

«Poso?» le chiese indicando la cuffia sul tavolo, storpiando il verbo in una maniera che la fece sorridere.

«Sì, sì, certo.»

Gli si illuminarono gli occhi quando sentì la canzone che stava ascoltando Alice: Échame la culpa.

«Ti piace?» gli domandò lei ridendo, divertita dalla sua espressione.

«Me encanta.»

L'aveva detto guardandola in una maniera così intensa negli occhi che per un momento Alice era rimasta ferma a pensare se quella frase fosse rivolta alla canzone, a lei, o ad entrambe.

Quando la riproduzione casuale fece partire la canzone dopo, Paulo si tolse la cuffia e la lasciò sul tavolo.

Si alzò e «Vieni» disse alla ragazza, porgendole la mano.

«Dove?» gli chiese lei stranita.

«Vamos a jugar a biliardo» rispose indicando con un cenno del capo il tavolo.

Alice scosse la testa, «No, io non so fare» disse e non era una scusa, non aveva mai giocato in vita sua a biliardo.

«Te enseño yo» le sorrise lui.

Rifletté per un secondo: era consapevole di aver perso la concentrazione per quel giorno; la mail al suo capo poteva mandargliela dopo o anche quella sera da casa visto che lui voleva averla per la mattina dopo.

In fondo, pensò, almeno si sarebbe divertita invece di stare seduta a quel tavolo a pensare a quanto era stanca.

Il suo livello di professionalità per quel giorno era sceso sotto allo zero per cento ma, come le avevano ripetuto tutti in quegli ultimi mesi, aveva lavorato troppo e poteva anche perdonarsi se per un pomeriggio non lo faceva.

«E va bene» cedette infine e il sorriso di Paulo, se possibile, si allargò ancor di più.

Chiuse il portatile, diede la mano a Paulo che la aiutò a tirarsi su e poi lo seguì al tavolo da gioco.

Non voleva sentirsi egocentrica nel pensarlo, ma sentiva gli occhi di tutti addosso.

Le porse una stecca e l'altra la tenne per sé.

In un misto di italiano e spagnolo, con l'aggiunta di qualche imprecazione perché non trovava la parola giusta, le spiegò brevemente le regole: c'erano quindici palle numerate, alcune piene e altre a strisce; lo scopo del gioco era usare la palla bianca per mandare in buca più palle possibili.

Uno dei giocatori doveva rompere il castello, se riusciva a mandare una palla in buca, veniva assegnato a quel giocatore il tipo di palle corrispondente per il resto della partita e aveva il diritto a tirare ancora.

La partita continuava con i due giocatori che si alternavano tra di loro fino a quando sul tavolo non rimanevano la pallina nera con il numero otto e quella bianca.

«Capito?»

Alice annuì, non sembrava poi così difficile.

«Inizia tu» le disse Paulo, togliendo il triangolo all'interno del quale si trovavano le palline.

Si chinò leggermente sul tavolo e Paulo scoppiò a ridere vedendola armeggiare, malamente, con la stecca.

«Espera

Le andò dietro, si appoggiò con il mento sulla sua spalla di lei, facendole venire la pelle d'oca quando il suo respirò le finì sul collo, e fece scivolare la mano sinistra sulla sua, per farle vedere come doveva tenerla sul tavolo.

Poi fece passare il braccio destro verso la stecca, mostrandole come doveva impugnarla e, guidandola, diedero il primo colpo.

«Facil, no?» chiese retorico.

Avevano sì e no un paio di centimetri a separare i loro volti.

Cercò di allontanarsi, si sentiva ampiamente a disagio.

Fecero una prima partita e, con sua enorme sorpresa riuscì a mettere in buca tutte le sue palline prima di Paulo, che rimase stupito.

«Però!» esclamò facendo un cenno di apprezzamento con la testa.

Alice rise.

Fortunata al gioco, sfortunata in amore, pensò poi.

«Otra vez? - le chiese e lei annuì - Gonza, vieni a jugar!» chiamò poi lui l'amico.

Alice si voltò verso gli altri.

Fu solo in quel momento che si ricordò che lei e Paulo non erano soli.

Incontrò lo sguardo di Federico, in quel momento indecifrabile.

Gonzalo non se lo fece ripetere una seconda volta, saltò dal divanetto, lanciano addosso a Douglas il joystick, e li raggiunse.

«Chiama anche qualcun altro - propose Alice, tornando a guardare Paulo -, così giochiamo due contro due.»

«Mira, vieni!» urlò Gonzalo verso il bosniaco, immaginando già che Paulo e Alice avrebbero fatto squadra insieme.

Alla fine, nonostante quella seconda volta Alice non se la fosse cavata granché, erano comunque riusciti a vincere: Paulo era bravissimo.

Sorrisero compiaciuti mentre si battevano il cinque.

Incredibile, pensò, era riuscita a sentirsi meglio e addirittura a divertirsi grazie a Paulo Dybala.








Buon pomeriggio lettori!

Avevo promesso che avreste avuto presto il capitolo, ed eccolo qua.

2136 parole, wow.

Non vi intrattengo molto visto che non ho nulla di importante da dire.

Anche se probabilmente non dovrei scrivere questo commento, non riesco ad astenermi: che carini Paulo e Alice!!

Per qualsiasi dubbio, per qualcosa di poco chiaro o che non avete capito bene, io sono qua.

P.s: spero la gif sia di vostro gradimento e la troviate giusta per questo capitolo.

Sempre vostra,

M.

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