It's a Cliché

By -Happy23-

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Hayden Miller è un eccellente pianista, vincitore di moltissime competizioni, prossimo prodigio della Juillia... More

Premessa
Prologo
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12 - Parte 1
Capitolo 12 - Parte 2
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42 - Parte 1
Capitolo 42 - Parte 2
Capitolo 43 - Parte 1
Capitolo 43 - Parte 2
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 49
Capitolo 50
Capitolo 51
Capitolo 52
Capitolo 53
Capitolo 54
Capitolo 55
Capitolo 56
Capitolo 57
Capitolo 58
Capitolo 59 - Parte 1
Capitolo 59 - Parte 2
Capitolo 60
Capitolo 61
Capitolo 62
Capitolo 63
Capitolo 64
Capitolo 65
Capitolo 66
Capitolo 67
Capitolo 68
Capitolo 69
Capitolo 70
Capitolo 71
Capitolo 72
Capitolo 73
Capitolo 74
Epilogo
Capitolo 1 Bonus - Parte 1
Capitolo 1 Bonus - Parte 2
Capitolo 1 Bonus - Parte 3
Capitolo 2 Bonus - Parte 1
Capitolo 2 Bonus - Parte 2
Capitolo 3 Bonus - Parte 1
Capitolo 3 Bonus - Parte 2
Capitolo 4 Bonus
Capitolo 5 Bonus
Profilo Instagram

Capitolo 3 Bonus - Parte 3

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By -Happy23-

Hayden

Quando avevo visto Makayla prendere in braccio Nash appena nato, l'ossigeno aveva smesso di arrivarmi nei polmoni. Ero rimasto paralizzato col cuore che mi pompava in gola ad osservarla mentre sfiorava delicatamente le guance rosse e screpolate del nascituro e i suoi occhi lucidi mentre gli parlava a bassa voce. 

Non ero mai stato a contatto con un qualcuno più piccolo di me, non avevo fratelli minori o cugini. La prima volta che un bambino mi si era avvicinato era stato a casa Adams, con sua sorella Ashley quando aveva tre anni. 

Con Nash, quella fu la prima volta in assoluto che vidi un neonato. Ed era la cosa più piccola e graziosa su cui i miei occhi si fossero mai posati. Ma ciò che lo rendeva così bello era proprio lei, Makayla. Sembrava così a suo agio, così esperta anche solo nel tenerlo in braccio e cullarlo. E più la osservavo e più cresceva in me la voglia di vederla con nostro figlio. La sola idea mi aveva fatto quasi svenire. Mi ero dovuto sedere per il giramento di testa e Makayla aveva pensato fosse per la situazione a me nuova. Si, in parte era anche quella, ma per lo più era il fatto di provare un irrefrenabile desiderio di avere dei figli con lei. 

Ma avevamo fatto un patto solo un anno prima, lei non era pronta e io in quel momento credevo lo stesso. Mentre la osservavo, però, non ero così sicuro. Non capivo se il desiderio era solo legato al volere dei figli, in un futuro, o se fosse legalo al desiderarli subito

Da un lato, mi dicevo di essere pazzo, che era troppo presto per entrambi perchè ancora dovevamo fare la nostra vita, lei doveva ancora fare le sue esperienze, e un figlio avrebbe incasinato i piani, ma, dall'altro lato, impazzivo al pensiero di una creatura che avesse i nostri tratti. E anche di adottarli, come aveva proposto lei. La mia infanzia non era stata delle migliori e se potevo dare una seconda chance alle vite di altri bambini, mi avrebbe fatto molto piacere. 

Andando avanti col tempo, avevo realizzato quanto per il momento stessi bene solo con Makayla. Eravamo giovani e volevamo divertirci. Potevamo fare tutto quello che volevamo senza tanti problemi. Entrambi eravamo molto impegnati e un figlio sarebbe stato difficile da gestire, inoltre, lei non aveva più tirato fuori l'argomento. Entrambi ci godevamo i momenti con i suoi nipoti, Nash e Jasmine, ma quando tornavamo ad essere solo io e lei, non sentivo il bisogno di altro, o di altri. Lei era tutto ciò che mi serviva per vivere. 

Tutto questo, però, venne mandato all'aria nel mio cervello quando trovai nel cestino del bagno della suite in cui alloggiavamo per il Super Bowl, due fottuti test di gravidanza. Uno era rivolto verso l'alto e segnava due tacche e sapevo cosa significassero. 

In quel momento, il mio cervello aveva smesso di lavorare. Ero rimasto diversi minuti a fissare quei due bastoncini e a domandarmi come cazzo fosse possibile. 

Lei prendeva la pillola e non la saltava mai. Non avevamo mai avuto problemi ed ero certo che l'ultimo mese avesse anche avuto il ciclo perchè le avevo comprato due barattoli di Nutella su sua richiesta. Quindi, perchè diavolo quei test erano nel cestino?

Non mi aveva detto nulla. Né quando ero arrivato e nemmeno dopo. Ero rimasto molto perplesso e avrei voluto farle la domanda del perchè ci fossero quei test ma avevo paura di metterle pressione. Magari, aveva bisogno di tempo e magari non voleva dirmelo avendo un'importante partita da giocare.

Ma ecco il problema, non riuscivo a giocare. Per tutta la giornata, quei test erano rimasti il pensiero principale. Avevo provato ad eliminarli dalla mia mente ma era più forte di me. Mi tormentavano. Makayla era incinta, o almeno, poteva essere incinta. Altrimenti, di chi erano quei test?

Porca puttana, non ci capivo più nulla. Ero distratto e lei che non mi diceva niente peggiorava solo le cose. Nel primo tempo della partita non ero riuscito nemmeno a fare un punto. Mi ero limitato a placcare gli avversari perchè era un modo per scaricare il nervoso. 

Il coach era furioso con me e anche i miei compagni perchè stavo giocando di merda, ero il primo a dirlo. Ne ero perfettamente consapevole. Per questo motivo avevo chiesto al coach se durante la pausa per lo show, avessi potuto parlare con la mia ragazza per discutere su un fattore che stava incidendo sulla mia performance. All'inizio si era incazzato, urlandomi addosso che fossi grande abbastanza da separare i problemi personali col lavoro ma alla fine aveva accettato.

'Cinque minuti, Miller. Poi riporti il tuo culo qui e la smetti di fare cazzate'

E ora ero qui, le delicate mani di Makayla scivolarono dal mio volto e i suoi occhi scuri si allargarono dopo che pronunciai quelle parole. 

Il mio cuore era in ipertensione. Avevo bisogno di una fottuta risposta.

«I-io...»

«Kay-» feci un profondo sospiro e non ruppi il contatto visivo, «-so che abbiamo fatto un patto ma puoi dirmelo, okay? Non è un problema per me. Accetterò qualsiasi sia la tua decisione. Ma, cazzo, sto impazzendo, quindi dimmi--»

«Non sono incinta, Hayden.» disse, buttando fuori tutta l'aria che stava trattenendo.

La mia mente si svuotò. Sembrò fermarsi tutto tranne il tremolio dei suoi occhi. Non era incinta. Qualcosa si alleggerì sulle mie spalle ma altro appesantì il mio petto. Non era incinta. 

«Ma...» aggrottai la fronte, «ho visto i test nel cestino in bagno.»

Chiuse gli occhi e si passò una mano sul volto. Quando tornò a guardarmi sembrava tesa. 

«Sono di Donna.»

Oh--

«Cazzo. Donna è incinta?»

«Si,» afferrò le mie spalle e mi guardò con occhi dolci e dispiaciuti, «mi ha promesso di non dirlo a nessuno e--cazzo, mi sono dimenticata di nasconderli.»

Non erano suoi. Erano di Donna. Ero sollevato? Ero triste? Non lo capivo, sinceramente.

«Non devi dirlo a nessuno, Hayden. Sul serio, Travis non lo sa e io--»

«Non lo dirò a nessuno.»

Nonostante la mia promessa fosse seria, ero ancora intontito da quella confessione. Avevo sbagliato. I test non erano i suoi. E mentre lo pensavo, sentii una stretta allo stomaco. Era come se una piccola parte di me, nel profondo, avesse sperato fosse suo, fosse nostro.

«Ehi.» 

La sua voce morbida e le sue mani che si allacciavano dietro al mio collo, mi risvegliarono e mi lasciai cullare dal calore che emanavano i suoi occhi.  

«Scusa se ti ho fatto preoccupare.» disse.

Scossi la testa sentendo quelle parole, «non scusarti, Kay.»

Accennò un sorriso, «te lo direi, Hayden. Non te lo terrei nascosto nemmeno un secondo. Anzi, farei il test proprio con te.»

Quella frase riuscii a strapparmi un sorriso perchè mi ero comportato da coglione nel pensare che avesse potuto avere paura a dirmelo. Ma quel sorriso non riuscii a tenerlo a lungo.

«Cosa c'è ancora? Non sembri rilassato e tra poco devi tornare a giocare.»

La guardai e premetti le labbra, «niente.»

«Hayden,» ammonì, «sono io quella che risponde con niente quando c'è qualcosa. È il mio gioco, non il tuo.»

Ancora una volta, mi strappò un sorriso divertito e avvolsi le braccia dietro la sua schiena perchè avevo bisogno di sentirla. Studiai il suo volto perfetto e mi abbandonai da un sospiro.

«Ho...sperato fosse tuo.»

Vidi i suoi lineamenti farsi sorpresi, «oh, sul serio?»

«Credo che una parte di me lo sperava ma non voglio assolutamente metterti fretta su questa decisione. Non dobbiamo nemmeno discuterne ora.»

Avrebbe voluto dire altro ma entrambi sapevamo che non era il luogo o il momento.

«Possiamo parlarne dopo.» disse cauta.

«Okay.»

Aprì quei boccioli divini in un magnifico sorriso e si mise sulle punte per baciarmi. La strinsi più forte e le lasciai approfondire il bacio. Appena le nostre lingue si mischiarono, il mio stomaco vibrò e persi il controllo. Avanzai, costringendola ad indietreggiare mentre si aggrappava al mio collo e capelli. Un soffice ansimo lasciò le sue labbra perfette quando scontrò la schiena contro la parete dell'ufficio e premetti il mio corpo contro al suo. Le protezioni erano d'intralcio ma lei le evitò e mi accarezzò da sotto la maglia della divisa e sotto la termica.

Sentire le sue sottili dita graffiarmi i fianchi mi trasportò i pensieri nei luoghi più sconci e inadatti al momento.

Cazzo, non era proprio il momento.

Una mia mano si aggrappò dietro al suo collo, mentre l'altra vagava lungo le sue curve. Per darmi un po' di sollievo, afferrai la sua coscia destra che allacciò dietro di me. Mi spinsi contro di lei, premendo i nostri bacini, non riuscendo a fermarmi, e questo mi fece gemere di gola.

Come sempre, lei era quella che riusciva ad essere più razionale in queste situazioni.

Ruppe il bacio umido e violento nel quale l'avevi trasportata e appoggiò una mano sul mio addome. I suoi occhi erano lucidi e le labbra gonfie.

«I cinque minuti sono passati, Hayden.» sussurrò a fiato corto.

Lo so.

«È colpa tua.»

Schiuse le labbra, «mia?»

«Non avresti dovuto baciarmi.»

Ruotò gli occhi, «avresti potuto evitare di sbattermi al muro.»

«Non riesco, sei irresistibile.»

Ridacchiò ma quando provai a baciarla ancora lei mi piazzò una mano sulla bocca.

«Il coach è già incazzato, non peggiorare il tutto.»

Aveva ragione. Dovevo tornare dagli altri.

Tuttavia, mi permisi di stare altri secondi lì. Appoggiai la fronte contro la sua e lasciai scorrere il desiderio di averla all'istante. Le sue dita scorrevano dietro alla mia nuca. Il suo profumo mi rilassò. Afferrai la sua mano sinistra stretta alla mia maglia e non potei non notare la differenza. Amavo il fatto che fosse così piccola in confronto alla mia.

Il mio pollice sfiorò il suo anulare nudo. Mi immaginai l'anello che avevo comprato a sua insaputa proprio sul suo sottile dito. Sarebbe stato perfetto.

«Manca qualcosa?» mormorò con una nota provocatrice.

Annuii.

«Ora che hai la mente più libera, riuscirai a concentrarti meglio.»

Abbozzai un sorriso e mi scostai per guardarla.

«È tenero il fatto che non riesci a dirmi che sto facendo schifo. Puoi farlo, Kay. Non mi offendo.»

«Non stai facendo schifo ma non stai giocando come sai fare.»

Stavo facendo schifo.

«La partita non è ancora finita, Miller.» sorrise.

«Lo so.»

Era un modo per dire, nessuno aveva già vinto o perso.

«Sto aspettando il mio touchdown.»

Scoppiai in una leggera risata. Il suo touchdown. L'ammirai ancora una volta. Quelle trecce stavano fomentando altri pensieri troppo perversi che avrei sicuramente ricreato più tardi. Tornai in me quando sbattè le lunghe ciglia e mi dissi che non era normale la mia ossessione e dipendenza nei suoi confronti.

«Arriverà, Adams. Te lo prometto.»

Quando tornammo in campo, il coach mi urlò di non fare più cazzate e io mi trovai d'accordo con lui.

Forse per noi il momento di avere dei figli non era ancora arrivato, forse sarebbe stato meglio aspettare, come avevamo già deciso.

Ma c'era in ballo quella questione. Che mi mangiava da dentro da due ogni a questa parte ogni volta che guardavo le sue mani e non vedevo il mio anello.

Volevo sposarla e, per farlo, dovevo vincere quella dannata partita. 

Makayla

Piangevo. Poi ridevo. Poi urlavo. Poi piangevo ancora.

I New England Patriots avevano vinto il Super Bowl.

Coriandoli blu e bianchi mi stavano coprendo ovunque.

Avevo persino abbracciato Meredith dalla foga. E anche un signore che avevo dietro di me, ricevendo una strana occhiata dalla moglie. Ma non mi importava, ero troppo felice. 

Hayden aveva vinto il fottuto Super Bowl.

Il secondo tempo era stato magnifico. Tutto ciò che non aveva fatto prima, lo avevo fatto dopo cento volte meglio.

Al primo touchdown segnato pochi secondi dopo l'inizio del secondo tempo, mi aveva indicato e aveva segnato una A con le dita. Inutile dire che ero arrossita ma avevo ricambiato con un bacio volante.

«Oddio,» mi asciugai le guance con un fazzoletto, «devo andare dagli altri.»

La mia famiglia si stava sicuramente divertendo nelle sale interne, godendosi tutto lo spettacolo dall'alto.

«No, ferma.» Meredith mi aveva bloccato il polso.

«Perchè? Hayden è bloccato dai giornalisti.»

Lei tolse la mano e si toccò con un gesto elegante i capelli.

«Ora è tutto incasinato. Molti stanno lasciando lo stadio. Restiamo qui.»

Mi guardai alle spalle. Effettivamente c'era un pesante flusso di persone sulle scale e tra i corridoio per raggiungere le gallerie di uscita. Forse sarebbe stato meglio aspettare ancora un po'.

«Mh, hai ragione.»

Mi rivolse un mezzo sorriso e appoggiai la schiena alla poltrona. In campo c'erano ancora tutti e questo perchè i giornalisti e telecamere erano lì a filmare la squadra vincitrice.

Passarono diversi minuti, nei quali avevo messaggiato con i miei amici, quando tra la folla qualcuno si fece largo e il mio cuore accelerò alla vista del numero 18 completamente sudato e con un sorriso perfetto stampato sul volto.

Chi era ancora sugli spalti si avvicinò alla ringhiera per salutarlo e chiedergli la maglia. Lui si limitò a fare un saluto generale perché continuò a camminare verso di me.

«Ehi, Adams!» esclamò a bordo campo.

Con un sorriso che non riuscivo a togliere, mi alzai e andai verso il parapetto.

«Vieni.»

Aprii bocca per ribattere quando si rivolse ad uno dello staff e gli disse che poteva farmi farmi dalle scale portavano al campo e che loro bloccavano per evitare l'accesso.

Ringraziai l'uomo della sicurezza e scesi le scale. Le gambe mi tremavano dall'emozione. C'era un pezzo di campo e poi un altro cornicione che separava la zona dal vero campo da gioco e che i giocatori di solito superavano saltando per salutare i tifosi. Appena fui davanti a quel separé, Hayden mi afferrò da sotto le cosce e mi sollevò. Allacciai le gambe e braccio attorno a lui per poi fiondarmi sulle sue labbra.

Si, era sudato. Si, eravamo in uno stadio ancora mezzo pieno circondati da telecamere e giornalisti.

E si, non ce ne importava.

Le sue spalliere erano un po' ingombranti ma le ignorai perché c'erano le sue labbra da fare da protagonista.

Mi staccai senza fiato e chiusi una mano sulla sua guancia mentre fissavo i suoi occhi blu luminosi.

«Hai vinto!» dissi ancora incredula.

Rise, «ho vinto.»

Sentii dei fischi e puntai lo sguardo oltre di lui mentre lui girava la testa. Alcuni dei suoi compagni avevano visto la scena e stavano facendo gesti di incitamento. Arrossii e lui rise ancora. Poi, mi fece scendere e afferrò il mio viso tra le sue mani.

«Devo fare una cosa.» disse, la voce roca.

«Cosa?»

«Seguimi.»

Sgranai gli occhi, «a-al centro del campo?»

«Ti imbarazzi, Adams?» ghignò.

Mi guardai attorno e arricciai il naso, «be', c'è molta gente.»

Strinse la mia mascella e mi stampò un bacio sulle labbra. Dio, quanto avrei voluto essere in una stanza da sola con lui

Allontanandosi, mi guardò, «concentrati solo su di me, Kay.»

Difficile farlo quando alle spalle sentivo applausi e urla. Tuttavia, intrecciai la mano nella sua e mi lasciai guidare da lui. Declinò i giornalisti ma qualche telecamera seguì i nostri movimenti e mi domandai se a casa i miei genitori stessero vedendo questa scena o ne stavano trasmettendo altre.

Pensai che la sua direzione fosse il centro campo ma in realtà ci allontanammo dalla folla e andammo verso la end zone. Da quel lato vedevo solo i tifosi affacciati dalle tribune. Molti se ne stavano andando ma una buona parte era ancora dentro ad assistere. Le loro facce dipinte di blu e bianco e cappelli a tema erano molto buffi e coloravano gli spalti.

Hayden salutò qualcuno che lo chiamò e poi mi fece mettere perpendicolare a loro. Lo guardai e sentii il cuore pompare talmente forte che credetti potesse scoppiare.

«Che facciamo qui?»

«Siamo nella end zone.»

Guardai il campo e ridacchiai, «lo vedo.»

Si leccò le labbra e fece un passo avanti. Sollevai il mento per poterlo guardare e deglutii. Perchè doveva essere così bello? Perchè doveva togliermi il respiro ogni volta? 

«Tu sei la mia end zone, Adams.»

Oddio. Oh, no. Affondai le unghie nei palmi sudati e mi obbligai a non andare in iperventilazione.

Purtroppo, quando lo vidi frugare nella banda dei pantaloncini della divisa, il cuore sprofondò nello stomaco.

«Hayden che vuoi...»

La voce scemò e risucchiai un sospiro quando si inginocchiò di fronte a me.

Oh, porca puttana.

No. Non doveva farlo. Avevamo già un patto. Perché doveva fare così? Perché doveva farmi venire un infarto di fronte all'intera nazione?

Tra le sue mani a coppa spuntò una scatolina nera che aprì, mostrandomi un fottuto anello con un diamante che ero certa gli era costato più di quanto avrebbe dovuto spendere.

Singhiozzai e mi portai una mano sulla bocca mentre non riuscivo a smettere di fissarlo. Avevo la vista appannata e dentro di me giuravo che lo avrei ucciso.

«Hayden, t-ti odio.» borbottai in un singhiozzo.

Lui non si scompose. Mi fissò negli occhi. Mi strappò l'anima e se la fece sua. Mi rubò il cuore e se lo custodì.

«Makayla Adams, mi faresti l'immenso onore di diventare tuo marito?»

La massa di persone alla mia destra che stava assistendo, dato che non sapeva del nostro patto, pensava dovessi decidere veramente e iniziò con un unisono 'ooh' per mettere tensione prima della mia risposta. Mancavano solo i rulli dei tamburi ed eravamo a posto. Alla mia sinistra, con la coda dell'occhio, vidi da lontano tre telecamere puntate addosso.

Hayden mi stava facendo la proposta in modo ufficiale in un fottuto stadio. Dopo aver vinto il Super Bowl. In diretta televisiva.

Posai nuovamente lo sguardo su di lui e cercai di risultare il più altezzosa possibile mentre rispondevo.

«Ti do l'immenso onore di diventare mio marito, Hayden Miller.»

In teoria avrebbe dovuto infilare l'anello al dito, ma in pratica si sollevò da terra e mi prese in braccio, incollando le nostre labbra. 

Nonostante lo stadio avesse ripreso ad urlare e fischiare, io riuscivo solo a sentire il mio battito rapido echeggiare nel mio timpano. Piansi mentre continuavo a modellare le labbra sulle sue e sentii la mia bocca incurvarsi per la felicità. Poco dopo, mi fece scendere ma senza interrompere il bacio che ero certa mio padre, se non avevano ancora spento la tv, stesse guardando non con estrema felicità. 

Quando mi staccai non sapevo se guardare le sue labbra che avrei voluto sentire ancora su di me o i suoi occhi lucidi. Abbassai lo sguardo vedendolo armeggiare davanti a sé con la scatolina. 

«Dammi la mano, Adams.»

Non la smettevo di sorridere. Mi stava facendo male anche la faccia. 

Sollevai la mano sinistra e lui tolse l'anello e lo infilò nel mio anulare sinistro. Era...wow. Era semplice. Un diamante al centro e ce n'erano altri laterali più piccoli e incastonati nel metallo dell'anello.

«Ti prego, dimmi che è finto.» dissi senza fiato, fissando il diamante che catturava tutta la mia attenzione.

«Se ti fa stare meglio.»

Alzai il mento ed ero certa potesse vedere la mia preoccupazione.

«Se hai intenzione di chiedermi quanto ho speso ti dico solo che il diamante è della categoria più pura.»

Oh, Cristo...

Scossi la testa, sgomenta, «tu sei pazzo.»

Sorrise. Afferrò il mio viso tra le sue grandi mani e mi sollevai sulle punte mentre mi aggrappavo alla sua maglia. 

«Mi sposo una sola volta, Adams. Devo fare le cose in grande, no?» soffiò sopra alle mie labbra.

Ridacchiai e allungai il collo per baciarlo. Un altro boato di fischi esplose e mi ricordai di non essere da sola con lui. Mi staccai abbastanza velocemente e un po' in imbarazzo. I suoi occhi, che brillavano tanto quanto il diamante che avevo sul dito, non si staccavano da me.

«Vai dagli altri ora. Io ci metterò ancora un po' qui.»

Avrei voluto chiudermi in una stanza con lui ma non era possibile. 

«Okay.»

«Vi consiglio di tornare in hotel, io ti raggiungo dopo.» aggiunse.

«Va bene.»

Mi baciò a stampo e poi mi lasciò un rapido bacio sulla guancia che mi fece avvampare più del resto. 

⚜️

«Mamma, ci sentiamo domani, okay?»

«Okay. Ma mandami la foto dell'anello. Oddio, sono così emozionata! Diglielo anche tu, tesoro...anche tuo padre è emozionato! Tutti lo siamo--Ashley, smettila di piangere. Non è il tuo ragazzo.»

Risi e scossi la testa, «a domani, mamma. Buona notte.»

«Salutami i tuoi fratelli. Buona notte!»

Chiusi la telefonata e incrociai gli occhi di Ethan, «non ti ho mai visto alzare così tanto gli occhi.»

«Non la smetteva di parlare.» sospirai.

«Forse perchè ha appena assistito alla proposta di matrimonio di sua figlia in televisione?»

Be'...

Sorrisi innocuamente, «forse.»

«Ti giuro che è vero--oh, ecco, ha finito di parlare...»

Mi voltai sentendo la voce di Donna avvicinarsi mentre attendevamo l'ascensore. La guardai perplessa e poi mi sbatte il telefono all'orecchio mimando 'è Malcolm'.

«Mal?» afferrai il telefono della mia amica e la osservai andare da Travis.

«Che cazzo ho appena visto, Makayla fottuta Adams-Miller

Makayla Adams-Miller. Non era male.

Ridacchiai, «sorpresa...»

Io e Hayden non avevamo detto a nessuno del nostro patto. Lo avevamo tenuto segreto per tutto questo tempo ed era magnifico vedere le loro reazioni. Appena avevo raggiunto tutti nella sala interna, i miei fratelli mi erano saltati addosso e non smettevano di chiedermi se fosse uno scherzo o se fosse tutto vero. Anche Gabe si era commosso. Mia madre mi aveva chiamata piangendo e mi aveva tenuto al telefono per quasi un'ora.

«Ho urlato così forte che due agenti mi stavano buttando fuori dal bar!»

Scoppiai a ridere ed entrai in ascensore insieme agli altri. I miei fratelli che erano arrivati questa mattina avevano prenotato in un B&B qui vicino quindi loro li avevo già salutati. Brandon aveva fatto cambio con Travis, per quella notte sarebbe andato a dormire con i miei fratelli per lasciare la stanza a loro due. Brandon e Meredith erano gli unici che sapevano qualcosa e lo avevo capito perchè il cugino mi aveva fatto un occhiolino d'intesa e Meredith era stata piuttosto insistente nel farmi restare sugli spalti ad aspettare.

«Quanto è grande il diamante?»

Mi guardai la mano, «abbastanza grande da farmi venire un infarto.»

«Porca puttana, amica,» disse, «e pensare che se non fosse stato per il mio preferiresti incatenato non saresti in questa situazione

«Ora non esagerare. In un qualche modo ci saremmo avvicinati lo stesso.»

«Non rubarmi la scena, stronza. Io sono il vostro cupido, chiaro?»

Sorrisi, «chiaro.»

«Dove siete ora?»

«Stiamo per entrare nella mia suite.» dissi, appoggiando la tessera della stanza contro il lettore.

Avevamo deciso di passare ancora un po' di tempo insieme e Hayden mi aveva detto che avrei potuto ordinare col servizio in camera tutto quello che volevo.

«Mh, devi celebrare il momento sporcacciona?»

«Non c'è Hayden, idiota,» dissi, «ma lo farò.»

Ethan avrebbe potuto farsi portare dei tappi per le orecchie.

Dopo aver salutato anche Malcolm, passai nuovamente il telefono a Donna che si era seduta con Travis sul divano della mia stanza. 

«Vieni qui, devo rivederlo ancora.» ordinò lei.

Mi avvicinai con un mega sorriso e lei fece una smorfia emozionata mentre afferrava la mia mano.

«Te lo aspettavi?» domandò Violette, vicino a Ethan. Nash era nel suo passeggino che dormiva come un sasso.

«Si e no,» dissi e poi mi spiegai meglio, «se fosse stato per Hayden, saremmo già sposati da due anni.»

«Che cosa?!» esclamarono Donna e Ethan.

«Scusa, puoi spiegarti meglio?» continuò mio fratello.

Così raccontai della festa di compleanno di Hayden, durante il suo ventunesimo e del patto che avevamo fatto. Vidi i loro volti farsi sempre più sorpresi. Spiegai, perciò, che sapevo già che alla fine mi avrebbe dato l'anello ma non mi aspettavo lo facesse in quel modo. Poi ricevetti una sberla sul braccio dalla mia amica.

«Perchè non me l'hai mai detto?» disse lei, le labbra imbronciate.

«Perchè volevamo fosse una cosa nostra.»

L'espressione offesa si tramutò presto in commossa, «aw, è adorabile.»

«Non ci credo che quel bastardo non mi abbia detto nulla.» borbottò Travis.

«Non per fare lo stronzo ma-» tossì mio fratello, «-perchè ha fatto cagare nel primo tempo?»

«Be', credeva che--»

Mi bloccai a metà frase e boccheggiai. Cazzo.

«Credeva che?» si accigliò.

Mi schiarii la gola e lanciai una rapida occhiata a Donna, «um, ha interpretato male una situazione e aveva la mente altrove. Sono andata a parlargli durante la pausa.»

Mi ero persa tutto lo show ma non importava. Avrei visto i video.

«Te l'ho detto che pensava ad altro.» disse Travis, dando una leggera gomitata a Donna.

Lei, però, sembrava aver capito esattamente cosa volessi dire e non si mosse al suo tocco. Rimase a fissare il pavimento con sguardo perso.

«Donna?»

«Devo parlarti.» sputò lei, alzandosi in piedi di botto.

Travis la guardò perplesso, «okay.»

La mia amica mi guardò, «non voglio rovinare il momento--»

«Non rovini proprio nulla.» dissi sinceramente.

Lei mi fece un sorriso nervoso e poi si dileguò verso la porta. Travis mi guardò confuso ma alla fine si alzò e seguì Donna fuori la stanza. 

«Be', io vado. Metto a letto Nash» disse Violette, lanciando uno sguardo a Nash nel passeggino.

«Si, arrivo tra poco.»

Salutai Violette e mi sedetti sul bordo del letto dopo che uscì dalla porta, lasciando me e mio fratello da soli. Mi chiesi cosa stesse succedendo tra Donna e Travis in quel momento.

«Ehi...» mormorò Ethan, sedendosi al mio fianco.

Afferrò la mia mano sinistra e lo guardai. Aveva la mascella serrata.

«È strano,» disse, «mi sembrava solo ieri che dovevo aiutarti ad allacciare le scarpe e ora ti sposi.»

Mi morsi il labbro sentendo già l'emozione trasformarsi in lacrime. Girò il capo per trovare i miei occhi lucidi.

«Non mi interessa quanto grande diventerai, sarai sempre il mio mostriciattolo.»

Scoppiai in una risata mista alle lacrime e lui mi tirò in un abbraccio fraterno e affettuoso. Appoggiai il mento sopra la sua spalla e lui mi accarezzò la schiena.

«Sono felice per te, Mak. Te lo meriti.»

Tirai su col naso, «grazie.»

«Hayden sembra davvero disposto a darti il mondo e non potrei desiderare di meglio per te.»

Mi staccai piangendo e con un sorriso vero. Lui mi aiutò ad asciugarmi le guance e glielo lasciai fare.

«Sarebbe troppo chiedere di non festeggiare tra di voi questa sera? Vorrei dormire.»

Scoppiai a ridere e poi sospirai, «proverò a convincerlo.»

Lui fece una smorfia e poi annuì, «ottimo. Meglio che vada, allora.»

Lo accompagnai alla porta e appena l'aprii, trovai qualcuno con un borsone e una tuta dei Patriots.

«Oh, ehi.» salutò Hayden, guardando mio fratello.

Ethan sorrise e allungò una mano per dare una pacca sulla spalla al mio fidanzato.

«Congratulazioni, per tutto.»

Hayden fece volare gli occhi su di me e poi tornò a lui, «grazie, Ethan.»

Mio fratello uscì dalla stanza ma prima di voltarsi del tutto guardò ancora una volta Hayden.

«Se proprio devi, almeno tappale la bocca.»

Risucchiai un sospiro scioccato mentre Hayden annuiva visibilmente divertito.

Ma che cazzo...

Ethan andò verso la sua stanza e Hayden mi spinse dentro nella nostra. In un secondo, buttò a terra il borsone e afferrò il retro delle mie cosce, sollevandomi e facendomi allacciare le gambe attorno al suo bacino. 

«Ehi, fidanzata.»

«Ehi, fidanzato.» sogghignai.

Camminò fino ad arrivare al letto e buttarmi sopra. Non mi lasciò andare un secondo e si sdraiò su di me. Le mie gambe erano aperte per farlo stare in mezzo. Aveva i capelli umidi e la sua pelle profumava di muschio bianco.

«Voglio vedere tutti i trofei che ti hanno dato.»

Sbuffò, «hai quello più importante sopra di te, Adams.»

Sorrisi e mi incantai nell'accarezzargli il volto. Lui scrutò il mio con fare delicato.

«Ci sposiamo, bellissima.» mormorò.

«Lo dici perchè ancora non ti sembra vero?»

«Esatto.»

Scossi la testa divertita e gli feci vedere il dorso sinistro. Il suo anello brillava quanto lui.

«Ci sposiamo, Miller.»














































Tre mesi dopo 

Hayden

«Sei nervoso.»

«No.» mentii.

Brandon sbuffò, «continui a rigirarti l'anello che ti ha regalato Mak.»

Abbassai lo sguardo e realizzai che fosse vero. L'anello che mi aveva regalato per il mio diciannovesimo compleanno, con la sua iniziale incisa.

«Andrà bene, cuginetto.» strinse la mia spalla.

«Lo so che andrà bene. Solo, c'è tanta gente-» guardai oltre le mie spalle e poi puntai gli occhi sul palco di fronte a me, «-so che è agitata e non posso tranquillizzarla.»

La Juilliard aveva organizzato un'esibizione musicale al Peter Jay Sharp Theater per l'imminente termine dell'anno. Makayla si sarebbe laureata a breve e non potevo che essere più orgoglioso di lei. Molti studenti, quella sera, si sarebbero esibiti da soli ma anche in coppia e c'era addirittura l'orchestra.

Mi piacevano i concerti, soprattutto se di musica classica. Nonostante avessi abbandonato il suo mondo competitivo non lo avevo lasciato del tutto. Continuavo a scrivere e a suonare per sfogarmi e perché sapevo quanto piacesse a Makayla vedermi farlo. Avevamo anche provato a suonare insieme ma l'idea di condividere con lei certe sensazioni mi faceva bollire il sangue di eccitazione e dovevo smettere se non volevo prenderla sul pianoforte, cosa che era successa parecchie volte.

«Sono certo tu le abbia già dato una dose di calmante Miller.» schioccò.

Ovvio che sì ma non doveva dirlo in quel modo saccente.

«Dov'è Angelina? Perché stai stressando me e non lei?»

«Dovrebbe--oh, eccola.» agitò una mano alle sue spalle.

Guardai in quella direzione e la vidi camminare nel lungo corridoio della platea mentre ci raggiungeva in seconda fila.

«Ehi, scusate il ritardo.»

«Tranquilla, sei in orario.» dissi con un lieve sorriso.

Li osservai mentre si salutavano con un bacio a stampo, poi, Brandon l'aiutò a togliersi la giacca e si sedettero. Lei era alla sua sinistra.

Ero contento per lui. Angelina era una ragazza determinata e simpatica. Sicuramente avevano la stessa energia perché per sopportarlo tutto il tempo non potevi non essere un po' simile a lui.

«Grazie per essere venuta.» mi rivolsi a lei, spingendomi in avanti per guardarla.

Tirò dietro l'orecchio una ciocca bionda e corta e mi sorrise facendo spuntare due fossette ai lati delle guance.

«Mi piacciono i concerti. E poi non vedo l'ora di vedere Mak suonare dal vivo. Mi fa venire i brividi ogni volta.»

Già. Anche a me. A volte credevo che ancora non l'avesse capito quanto fosse eccezionale.

Aveva vinto la Chopin Piano Competition due anni prima. Vederla prendere quel trofeo era stata per me la vittoria più bella. Se lo meritava. Lei aveva qualcosa in più, lo aveva sempre avuto. Restavi a bocca aperta nell'ascoltarla perché sentivi nelle ossa la storia che stava raccontando tramite la sua melodia.

Oggi novecento persone avrebbero assistito al suo talento e io ero sempre tra quelli che l'avrebbero sostenuta fino alla fine.

Il concerto iniziò.

Ascoltai tutti con piacere. In fondo, quando andavi in un'università di quel calibro non potevi non essere bravo, ma Makayla era migliore, e infatti si sarebbe esibita per ultima con una sua composizione. Non me l'aveva fatta sentire ed ero curioso.

Anche io ne avevo una nuova e avevo intenzione di suonarla durante il nostro matrimonio. Questo lei non lo sapeva ancora.

Cazzo. Il nostro matrimonio. Non era magnifico dirlo?

Ogni volta che ci pensavo c'era questo sfarfallio nel mio stomaco e non riuscivo a non sorridere.

Avrei sposato Makayla.

Il primo Settembre avrei sposato Makayla. Era il giorno in cui ci eravamo conosciuti. Il giorno in cui aveva deciso di entrare di notte in casa mia.

Avevo chiesto il permesso alla società di avere qualche giorno di pausa per poter partire per il mio matrimonio e dopo alcune trattative avevano accettato. La sua famiglia, la mia che non era così grande, e tutti i nostri amici saremmo andati ad Aruba, in Venezuela, e ci saremmo sposati sulla spiaggia. Era già tutto organizzato. Non voleva qualcosa di molto appariscente, nonostante le avessi dato carta bianca, e la composizione del catering era molto elegante ma semplice. Però, mi aveva detto che il vestito che aveva in mente non fosse bianco e se questo fosse un problema per me.

"Bianco, rosso, verde, giallo...metti quello che vuoi, Adams. Tanto la fine che farà è sempre quella." Le avevo risposto.

Di notte, in quelle settimane che avevo avuto di pausa, mi svegliavo ripensando al fatto che avrei passato ogni istante della vita con lei e la sensazione che mi causava era talmente forte da farmi stare male per il bene che mi faceva. Pensavo a quanto non desiderassi altre braccia che mi circondavano se non le sue. Non desideravo altre labbra. Altri occhi. Lei, volevo solo lei.

E tra pochi mesi, sarebbe stata davvero mia. E io suo.

Dopo quasi un'ora e mezza, arrivò l'annuncio dell'ultima studentessa. Il mio corpo si tese nel sentire il suo nome e il battito aumentò. Era sempre questo l'effetto che mi provocava. Applaudii insieme agli altri e mi sistemai meglio sulla poltrona.

Eccola.

Entrò da dietro le quinte e rivolse a tutti un cenno con la testa e un timido sorriso. Si sedette al pianoforte che le avevano portato sul palco poco prima e udii un leggero scricchiolio. Aveva il vizio di farsi scrocchiare le nocche prima di iniziare a suonare.

E poi, toccò la prima nota e io mi lasciai trasportare dalle sue emozioni.

Lei era sempre stata un libro aperto per me. Quando le dicevo che sapevo quando mentiva non scherzavo. I suoi occhi non riuscivano a nascondermi nulla. Ciò che non vedevo, era perché non volevo vederlo. 

Ma quando suonava era come se si aprisse in una nuova realtà. Riusciva a mostrarmi qualcosa di nuovo, a parlare di se stessa, in un modo che poteva fare solo tramite la musica. Era liberatorio anche per lei ma in modo diverso. Per lei non era sfogo delle emozioni, lei riusciva ad incanalare in un percorso specifico e decideva poi di renderle pubbliche. Farci scoprire cosa provava, cosa pensava, in quella storia.

La musica che cullava il mio cuore al momento era leggera e fresca. Sembrava di stare sdraiati sulla spiaggia, durante il tramonto. La sabbia era già fresca ma gli ultimi raggi del sole ancora caldi mentre li osservavi perdersi nell'oceano infinito. Sentivo il profumo di salsedine. Il vento debole che faceva muovere le palme e il rumore rilassante delle onde che si dissolvevano a riva.

Poi, la musica accelerò. Divenne più cupa, più potente. Come se in lontananza stessero per arrivare grosse nubi nere. Il vento si alzò all'improvviso e tu dovevi correre al riparo per evitare la tempesta. 

Qualcosa mi disse che era rivolta a noi due. Alla nostra storia. Potevo sentire la rabbia e la paura in quelle note, dall'intensità con cui premeva i tasti. E dal profondo del mio stomaco sentii rappresentasse il momento della nostra separazione, quando ancora non eravamo niente anche da lei avrei voluto tutto. 

C'erano eventi passati che ci avrebbero sempre perseguitati, perchè facevano parte di noi, della nostra relazione. Ancora oggi, dopo tutto quel tempo, lo vedevo come si perdeva nei suoi pensieri quando osservava la cicatrice sulla mia gamba dovuta allo sparo. Certe situazioni non le dimenticavi facilmente, io ero il primo che faticava a farlo. A volte mi svegliavo rivivendo quegli incontri. Rivivendo la notte in cui Makayla era lì e aveva visto di cosa fossi capace. Quei ricordi erano velenosi e si nascondevano negli anfratti della nostra mente per poi attaccarci quando meno ce lo aspettavamo, per farci dubitare ancora di noi, per farci stare male. Ma poi, ritornavo alla realtà, mi svegliavo e mi trovavo accanto lei, la mia ragione di vita, e pensavo che alla fine avrei rifatto tutto dal principio se questo era il risultato. 

Tornò la quiete e sentii la passione nella melodia. La paragonai al cioccolato fuso sopra a delle dolci fragole. 

Quando terminò di suonare avrei voluto riprendesse a farlo perchè riusciva a calmarmi come poche cose al mondo. Tuttavia, sapevo avrei potuto chiederle di suonarla nuovamente a casa, solo per me. 

Applaudii e sorrisi al suo breve inchino. Incrociò i miei occhi mentre camminava sul palco per tornare dietro le quinte e le feci un occhiolino. Lei premette le labbra imbarazzata e poi sparì. 

Al termine della sua esibizione, ci fu un ringraziamento generale e un breve discorso da parte del direttore. Quando si accesero le luci, il vociare si alzò e molti si alzarono dalle poltrone per aspettare i ragazzi uscire. Molti erano genitori e amici. 

«Vi aspettiamo fuori.» disse Brandon, mentre si alzava con Angelina.

«Va bene.»

Mi alzai anche io ma solo per mettermi contro la poltrona ad inizio fila e aspettare Makayla. Sentii gli occhi dei presenti addosso e qualcuno venne a chiedermi una foto. Raramente rifiutato. Succedeva solo se stavo mangiando o era un'uscita importante e non volevo distrazioni. 

«Hayden!» sentii una voce chiamarmi.

Girai la testa verso destra e trovai mia zia, o meglio la zia di Brandon, Cindy, che lavorava alla Juilliard e che ormai conosceva molto bene Makayla.

«Ciao zia-» l'abbracciai, «-non ti ho visto. Altrimenti sarei venuto a salutarti. C'era anche Brandon.»

Lei mi rivolse un dolce sorriso e mi sembrò tanto simile a quello di zia Helen. A volte pensavo a quanto mi sarebbe piaciuto che lei e Kay si fossero incontrate.

«Tranquillo. Ero nel backstage coi ragazzi. A proposito, Makayla sta arrivando.»

«Bene.» Era sempre l'ultima ad arrivare.

«Ci sarai alla sua proclamazione?» chiese.

«Ovvio. Non posso perderla.»

Ci sarebbe stata anche tutta la sua famiglia.

Sorrise, «è una delle migliori pianiste che abbiamo mai avuto. Sono felice tu l'abbia spinta ad entrare.»

«Sono contento anche io.»

Ed ero sincero. Makayla era destinata a fare quello nella vita e non accettavo altre opzioni per lei. 

Sentii la sua voce in lontananza che chiedeva scusa e permesso. I miei occhi si posarono su di lei e vagai sulla sua figura coperta da una tutina elegante rosso scuro. Il suo volto si illuminò e appena fu ad un passò da me, buttò le sue braccia attorno al mio collo. 

«Sei stata magnifica.» mormorai, stringendo un braccio attorno alla sua vita.

«Grazie.»

Quando si allontanò si rese conto di un'altra presenza e arrossì, «oh, ciao.»

Cindy ridacchiò, «Hayden ha ragione ma non dirlo agli altri, non posso avere preferenze.»

«Chi l'ha detto?» dissi.

Makayla mi diede un colpo sul petto, «è una professoressa, Hayden. E' così che funziona.»

«Funziona male. Se sei la migliore, sei la migliore e basta.»

Lei ruotò gli occhi e io le diedi un pizzico sul fianco. 

«Non voglio rubarvi altri minuti ma volevo lasciarti questo...» Cindy passò un cartoncino a Makayla che lo prese con perplessità.

New York Philharmonic-Symphony Orchestra.

«Oh...s-sul serio?» balbettò.

Cindy annuì, «sono interessati a te, vogliono parlarti appena ti laurei.»

Makayla sollevò la testa per guardarmi e potei vedere lo shock nei suoi occhi scuri.

«Ora ci credi che sei la migliore?» chiesi con un mezzo sorriso.

«L'orchestra di New York--Hayden, ti rendi conto?»

Ridacchiai e le accarezzai la schiena, «io mi rendo conto, sì.»

Abbracciò Cindy, ringraziandola e poi ci salutammo per separarci in strade diverse. Mentre camminavamo lungo il corridoio che ci avrebbe portato all'uscita, lei non la smetteva di fissare il biglietto. 

«Potrei suonare con l'orchestra più antica di New York. Non ci credo.» disse con stupore.

«Be', credici, Adams.» dissi e le baciai la testa.

Eravamo davanti alle porte quando si fermò e io feci lo stesso. Le sistemai una ciocca dietro l'orecchio e inclinai leggermente la testa.

«Cosa c'è?» chiesi piano.

«L'hai capito, vero?» sbattè le ciglia, fissandomi.

Trattenni un sorriso, «che parlava di noi? Certo.»

Sorrise e poi scosse la testa, facendo scivolare una mano dietro al mio collo, «e ti è piaciuta davvero?»

Perchè faceva queste domande inutili?

Le sollevai il mento con le dita e chinai la testa. Le sfiorai le labbra con le mie che si incurvarono quando mi strinse i capelli, già pronta al dopo.

«A casa ti mostro quanto, okay?»

Ridacchiò teneramente e annuì, «non vedo l'ora, Miller.»

Dio, quanto l'amavo.

Mi spinsi per baciarla e lei accolse le mie labbra. Cercai di contenermi essendo ancora dentro al teatro e dovendo ancora trascorrere il resto della serata con Brandon e Angelina. Ma certo che era davvero difficile staccarmi da quelle labbra mortali.

«Andiamo...» mi staccai con un controllo che doveva essere premiato.

Si leccò le labbra e distolsi lo sguardo per non tornare a baciarla. Intrecciò le nostre mani e uscimmo. Sentii il suo anello premere contro le mie dita e fu una sensazione fantastica.

Ora, mancava solo un 'si, lo voglio'.






S/A.

Già, manca solo quello.

Non sono adorabili?🥹🤧

Lasciate una stellina e un commento, se vi è piaciuto!

A presto, Xx❤️👽

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