It's a Cliché

By -Happy23-

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Hayden Miller è un eccellente pianista, vincitore di moltissime competizioni, prossimo prodigio della Juillia... More

Premessa
Prologo
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12 - Parte 1
Capitolo 12 - Parte 2
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42 - Parte 1
Capitolo 42 - Parte 2
Capitolo 43 - Parte 1
Capitolo 43 - Parte 2
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 49
Capitolo 50
Capitolo 51
Capitolo 52
Capitolo 53
Capitolo 54
Capitolo 55
Capitolo 56
Capitolo 57
Capitolo 58
Capitolo 59 - Parte 1
Capitolo 59 - Parte 2
Capitolo 60
Capitolo 61
Capitolo 62
Capitolo 63
Capitolo 64
Capitolo 65
Capitolo 66
Capitolo 67
Capitolo 68
Capitolo 70
Capitolo 71
Capitolo 72
Capitolo 73
Capitolo 74
Epilogo
Capitolo 1 Bonus - Parte 1
Capitolo 1 Bonus - Parte 2
Capitolo 1 Bonus - Parte 3
Capitolo 2 Bonus - Parte 1
Capitolo 2 Bonus - Parte 2
Capitolo 3 Bonus - Parte 1
Capitolo 3 Bonus - Parte 2
Capitolo 3 Bonus - Parte 3
Capitolo 4 Bonus
Capitolo 5 Bonus
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Capitolo 69

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By -Happy23-

Hayden

Lentamente mi sembrò riacquisire i sensi che non ricordavo di aver perso.

Un forte odore asettico solleticò il mio naso. Si sentiva un sonoro bip al mio fianco, era regolare. Mossi le dita della mano. Sentivo la testa pesante e provai a muovere le gambe ma questo causò solo un terribile dolore alla coscia destra. Mi lamentai in un grugnito. 

«Finalmente hai deciso di svegliarti, cuginetto.»

Udii la voce di Brandon e mi sforzai di aprire gli occhi. All'inizio era tutto sfocato ma quando riuscii a vedere in modo nitido, capii di essere in una stanza d'ospedale. Le pareti erano bianche, le tende tirate e la poca luce entrava dagli spiragli laterali.

I macchinari che controllavano i battiti erano a destra del letto e, mentre i miei occhi scandagliavano la stanza, ignorai la mia gamba destra sollevata con una cinghia. Mi resi conto di star indossando uno di quei camici azzurri e bianchi aperti sul retro. Provai a deglutire e avvertii tutta la gola secca.

«Acqua...» la mia voce uscì molto rauca.

Con la stanchezza che sembrava non voler lasciar andare il mio corpo, vidi Brandon avvicinarmi un bicchiere di plastica. Il liquido fresco scivolò velocemente nella gola dandomi sollievo.

«Ancora?»

Scossi la testa e riprese il bicchiere. Lo osservai. Aveva dei profondi cerchi sotto agli occhi, i capelli erano un disastro e le iridi erano attorniate da venature rosse.

«Hai pianto per me, cugino?» gracchiai con un lieve sorriso.

Sbuffò, scuotendo la testa, «non azzardarti a scherzare in questo momento, bastardo.»

Sospirai e osservai la stretta fasciatura bianca attorno alla mia coscia. Ricordavo quanto fosse successo. Mio padre mi aveva sparato.

«Sono nudo.» dissi, distogliendo lo sguardo dalla gamba.

«Sotto a quel grazioso camice, si

«Voglio i miei vestiti.»

L'idea di essere così esposto a gente sconosciuta mi stava dando la nausea.

«Non credo sia possibile al momento, principe,» sospirò e poi si alzò, «vado ad avvertire che sei sveglio.»

«Quanto ho dormito?» chiesi affaticato.

La testa era ancora pesante. 

Lui era già alla porta, si girò per guardarmi velocemente, «quasi due giorni. Hai perso molto sangue e hanno detto che ti saresti ripreso con calma.»

Quasi due giorni. Cristo. Che diavolo era successo in quei giorni? A Rojas, a Steven...

«Makayla--»

«Adesso pensa solo a non riaddormentarti mentre chiamo qualcuno, okay?»

Il dottore mi aveva spiegato di come avevano ricucito con una sutura dell'incisione l'arteria femorale, che era stata recisa a causa del proiettile -proiettile che ricordavo bene avesse colpito il punto che voleva mio padre-, avevo perso parecchio sangue e se non fosse stato per Brandon e per la cintura attorno alla mia gamba probabilmente non ero qua. Ero stato fortunato, aveva detto il medico, ma ora non ero in pericolo anche se mi avrebbero tenuto sotto controllo ancora per una notte.

«Potrò riprendere a giocare?» chiesi.

«Non immediatamente ma non avrai problemi a riprendere,» rispose con un leggero sorriso di incoraggiamento, «per qualche settimana è meglio tu stia a riposo.»

Nella mia vita non ero mai stato a riposo. Non sapevo neanche cosa volesse dire.

«Lo farà,» intervenne Brandon, notando la mia espressione contrariata, «la ringrazio, dottore.»

«Tra un paio di giorni potrai tornare a casa.»

Quando rimanemmo ancora una volta io e Brandon, lui si sedette sulla poltrona rivolta verso il mio letto e si passò le mani sul volto.

«Meredith sta arrivando.»

«Cosa?»

Perchè diavolo stava facendo venire qui lei?

«Volevi dei vestiti o sbaglio? Non ti lascio qui da solo. Ho mandato lei a prenderli a casa tua.»

«Si ma lei non sa niente di--»

«Lo sa, Hayden,» mi bloccò, l'espressione cupa, «tutti lo sanno.»

«Tutti sanno cosa?» strinsi i denti.

«Non so cosa ricordi ma hanno arrestato Steven e Albert. I federali ti hanno portato qui in modo anonimo e nessuno ha sospettato che tu fossi nella villa, ma ieri quella stronza di tua madre è stata fotografata mentre andava a trovare Steven in carcere, e ha dichiarato ai paparazzi che era preoccupata per te, perchè anche tu eri con loro e non sei tornato a casa.»

Chiusi gli occhi, rilasciando aria dal naso. I federali mi avevano promesso che qualsiasi cosa fosse successa a me dentro la villa, non sarebbe mai stata divulgata ai media. Lei aveva appena rovinato tutto. 

«Molti si chiedono perchè tu non sia dentro con loro...»

Me lo sarei chiesto anche io, se fossi stato al posto loro. E probabilmente me lo meritavo pure.

«Cos'altro dicono?» domandai, aprendo gli occhi e fissando la mia gamba.

«I federali stanno tenendo tutto piuttosto silenzioso ma le notizie parlano comunque di organizzazione criminale,» sospirò, «in fondo non è impossibile fare due più due.»

No, non era impossibile.

«Hanno- hanno chiamato i nonni.»

I miei occhi saettarono su di lui. Una fitta al petto mi fece stringere i pugni.

«Cosa gli hai detto?»

«La verità.»

La verità era quella bastarda che ti faceva perdere le persone quando eri nel torto marcio.

«Non ce l'hanno con te, Hayden. Sanno che non avresti mai fatto niente di tutto questo se non fosse per i tuoi genitori.»

Non cambiava il fatto che fossi in mezzo anche io.

«Makayla,» cambiai argomento, «voglio chiamarla.»

Dovevo chiamarla. Era da due giorni che non aveva notizie da me. E se io fossi stato al suo posto, avrei dato fuoco a qualsiasi cosa.

Brandon mi fissò con incertezza ma poi tirò fuori il suo telefono e me lo lasciò.

«Vado giù ad aspettare Meredith.» disse mentre andava verso la porta.

Notai che il registro chiamate fosse per lo più con il suo nome. Sbuffai, però, a come l'avesse salvata: Dolcezza.

Feci partire la chiamata e attesi con ansia che rispondesse. Era martedì pomeriggio e doveva aver già finito le lezioni. Cristo, gli allenamenti. Dovevo chiedere a Brandon se avesse avvisato la scuola.

«EhiBrandon...» rispose poco dopo, «novità

Il suono della sua voce apprensiva ma delicata mi colpì come una freccia nello stomaco.

«Giusto un paio, Adams.»

La sentii risucchiare un respiro e mi venne da sorridere. Quanto cazzo avrei voluto averla qui.

«H-hayden?» singhiozzò, «oddio- cazzo- sei sveglio

Scoppiò a piangere e avrei voluto smettesse perchè mi stava facendo più male del proiettile alla gamba.

«Scusa se ci ho messo un po' a svegliarmi.» scherzai.

«Oddio...» la sua voce tremò, «sei vivo

«Pensavi ti saresti sbarazzata di me così velocemente?»

«N-non scherzare,» pianse, «Dio, Hayden. Mi hai fatto prendere un colpo. H-ho creduto...avevamo litigato e h-ho creduto che--»

«Ehi,» la bloccai prima che potesse agitarsi maggiormente, «sono qui. Sto bene. Un po' ammaccato ma sto bene, okay?»

«Stai bene?»

Fisicamente, si. Psicologicamente un po' meno. Mio padre mi aveva sparato.

«Sto bene,» sospirai, «tra un paio di giorni mi dimettono.»

«Okay,» tirò su col naso, «quando torni da me--cioè a casa

Non riuscii a non sorridere, «tornerò da te il prima possibile, bellissima.»

«Ti aspetto.» mormorò.

Dio, quanto avrei voluto baciarla. «Sei andata a scuola, vero?»

«Si,» ridacchiò amaramente, «mi guardano come se fossi la moglie di qualche mafioso. Non sanno niente loro

«No, esatto. Non sanno niente perciò credono a quello che leggono. Ignorali e basta, okay?»

«Brandon te l'ha detto? Di tua madre...»

«Si,» deglutì, «mi ha aggiornato sulla situazione. Sinceramente, mi aspettavo una mossa del genere da parte sua.»

«Parlerai con gli agenti, vero? Sistemeranno questa cosa

Effettivamente avrei dovuto avvertirli che fossi vivo e sveglio. Lo avrei fatto appena avrei smesso di parlare con lei.

«Parlerò con loro.»

Il silenzio calò tra noi e sapevo ciò che la tormentava.

«Senza Brandon non sarei qui,» fissai la gamba, «mi dispiace aver sbottato contro di te quel giorno. E ti ringrazio per aver mandato Brandon qui.»

Quando avevo scoperto che Makayla fosse da sola a Greenville, ero impazzito. L'idea che mia madre avesse potuto farle ancora del male mi aveva accecato e mi ero incazzato con lei. Ignorando, poi, anche i messaggi che mi aveva mandato quella sera. Ero stato uno stronzo ma non potevo che ringraziarla.

Avvertii il suo respiro farsi ancora pesante e mi si strinse lo stomaco. Non volevo farla piangere.

«Brandon ha detto che hai perso m-molto sangue...» mormorò.

«Si,» avevo i ricordi ben impressi nella mia mente, «ma non voglio parlarne adesso. Non voglio farti stare male. Raccontami cos'hai fatto in questi giorni.»

Tutto quello che volevo era distrarla e sentire la sua voce, perchè sentirla parlare aiutava me. Distraeva me.

«Niente,» disse, «oltre ad aver ignorato le continue domande dei miei genitori, sono andata a scuola volendo uccidere tutti e poi sono andata a casa tua, per stare con Ares

Sorrisi, e me la immaginai nel mio letto, «e come sta Jack?»

«Bene, purtroppo

«Stronza.»

Rise e questo mi fece stare decisamente meglio.

Rimanemmo al telefono a chiacchierare fino a che in stanza non arrivarono Brandon e Meredith. L'occhiata che mi regalò la mia amica fu terribile. Dovevo spiegarle molto.

«Piccola, ora devo andare. Ci sentiamo più tardi, va bene?»

«SiA dopo.»

Chiusi la chiamata e Brandon si avvicinò per riprendere il suo telefono.

«Devo avvisare gli agenti che sei sveglio,» mi avvisò Brandon, «lo faccio e poi torno a casa. Ho bisogno una doccia.»

«Fai con calma.» dissi.

Meredith era vicino alle finestre e mi dava le spalle.

«Stai attento ai paparazzi.» disse.

«Ci sono i paparazzi?» chiesi accigliato.

«Erano a casa tua,» mi lanciò una rapida occhiata, «mi avranno seguito, capendo che ti avrei raggiunto.»

Annuii e dissi a Brandon di tornare a casa.

Appena fummo soli, lei si girò. I lunghi capelli neri erano raccolti con un mollettone, lasciando libere due ciocche frontali. Gli occhi erano affilati come sempre ma sapevo che dietro il suo aspetto apparentemente da stronza si nascondesse molta sofferenza e anche dolcezza.

«Ti devo spiegare un po' di cose...» mi leccai le labbra e provai a mettermi più seduto.

«Tu dici?»

Premetti due dita sulla tempia, «se non ti ho mai detto è stato solo per il tuo bene.»

«Risparmia queste stronzate mielose per la tua ragazza.»

La fulminai con lo sguardo.

«Sono la tua migliore amica, cazzo,» sibilò, «e vengo a scoprire dalla tv che tuo padre è un criminale e che apparentemente anche tu e tua madre lo siete. Per di più, scopro anche che ti hanno sparato e che hai rischiato di morire.»

Apprezzai il fatto che non stesse urlando, ma gli occhi mi gridavano quanto fosse incazzata. 

«Siediti e ti spiegherò tutto.» le indicai la poltrona.

Ruotò gli occhi ma alla fine si sedette a gambe accavallate e braccia conserte.

«Parla o ti rovino anche l'altra gamba.»

«Ti voglio bene anche io, Mar.» sorrisi.

E così, le raccontai tutto. Tranne la piccola parte in cui le confessavo che Juliette fosse ancora viva.

Makayla

Era passata una settimana dall'attacco.

Una settimana in cui per i primi giorni vivevo solo in attesa di sentire la voce di Hayden e negli altri attendevo il suo ritorno.

Era stato faticoso andare a scuola, ora che tutti sapevano di me e Hayden, mi guardavano come se c'entrassi anche io in tutto questo. E mi infastidivano quelle occhiate, le voci bisbigliate...loro non sapevano niente né di me né di Hayden. Non sapevano cosa avesse passato e temevo che quando sarebbe arrivato, non lo avrebbero lasciato in pace.

Le uniche persone che non mi stavano col fiato sul collo per questa faccenda erano i miei amici e i miei genitori. A loro avevo detto che non volevo parlarne e, dopo diversi tentativi, avevano rispettato la mia decisione.

«Arrivano questa sera, giusto?» chiese Donna.

Si. Brandon e Hayden sarebbero tornati oggi. Ieri c'era stata una partita in trasferta della squadra e mi chiesi quando avrebbe potuto riprendere. Mi chiesi se i college che lo volevano avrebbero cambiato idea per quanto successo. Mi chiesi quanto questo avrebbe influito sul suo futuro.

«Tra un paio d'ore atterrano.»

Io e Donna eravamo a casa di Hayden. C'era un bel sole caldo ed eravamo sul divano in giardino a prendere il sole.

«Hai novità su suo padre?»

«Il caso è in mano ai federali quindi non so molto.»

Hayden non mi aveva detto molto. Non aveva nemmeno voluto parlare di cosa fosse successo esattamente quella sera.

«È davvero assurdo,» mormorò, «spero che ad Hayden non succeda nulla.»

«Non succederà, me l'ha promesso.» dissi.

Quando Donna se ne andò erano quasi le sei di pomeriggio. Io mi feci una rapida doccia e mi infilai una felpa di Hayden e un paio di boxer. Avevo i miei vestiti ma preferivo indossare i suoi perchè avevano il suo odore. In quei giorni avevo sempre qualcosa di suo addosso. Sembrava che mi stesse toccando anche se era in un altro stato.

Girovagai per il soggiorno non riuscendo a mantenere la calma. Volevo solo riabbracciarlo e baciarlo. Vedere con i miei occhi che stesse bene e non dietro ad uno schermo. Ares mi seguiva strusciando la testa contro le mie caviglie.

«Tra poco saranno qui, Ares.» parlai al gatto, stando sdraiata sul divano.

Non mi accorsi nemmeno del tempo che passava fino a che non sentii un rumore fuori casa. Il cancello automatico si stava aprendo.

In fretta catapultai giù dal divano e andai all'ingresso. Avrebbero preso sicuramente l'ascensore e mi piantai davanti alle porte chiuse col cuore a mille.

Ares era accovacciato vicino ai miei piedi e muoveva lentamente la coda a destra e sinistra.

I minuti sembravano infiniti ma quando avvertii l'ascensore muoversi, ecco che il mio respiro si bloccò.

Appena le porte di metallo si aprirono, aspettai solo che i miei occhi trovassero il mio ragazzo prima di correre verso di lui. E' qui. Mi tuffai e avvinghiai le braccia attorno al suo collo mentre lui circondava la mia schiena con le sue. Forse ero stata troppo irruenta perchè perse leggermente l'equilibrio ma allontanai quel pensiero quando inspirai il suo profumo. Era tornato da me.

«Cercate di non scopare in ascensore...» sentii borbottare da Brandon.

Non gli risposi perchè al momento Hayden era il mio unico interesse. Mi ritrovai a piangere di felicità e sollievo mentre mi sollevava con un solo braccio e mi faceva allacciare le caviglie dietro al suo bacino.

«Ehi, Adams.» disse, il volto premuto nascosto nell'incavo del mio collo.

Ridacchiai e premetti le labbra sopra al suo orecchio, «ehi, Miller.»

Era qui. Stava bene.

«Non farlo m-mai più.» soffiai, il groppo in gola.

Non provare ancora a lasciarmi per sempre.

Mi strinse forte e pensai di rimanere senza fiato. Hayden lo sentivo cucito sulla pelle, nel cuore, e il pensiero che qualcuno avesse provato a strapparmelo, mi aveva davvero lasciato nuda e grondante di sangue.

Prese a muoversi per uscire dall'ascensore e subito mi allarmai.

«Lasciami. Non dovresti fare sforzi.»

«Pesa di più Ares.»

Ruotai gli occhi per la sua esagerazione ma non riuscii a staccarmi. Avrei dovuto farlo per la sua salute ma erano successe troppe cose e avevo bisogno del suo tocco. Di sentirlo addosso a me.

Le scale le fece con leggera fatica ma non osò farmi scendere. 

Una volta arrivati nella sua stanza, si sdraiò sul letto e mi tenne contro al suo petto.

Mi piantò le mani sulle cosce nude mentre mi sollevavo per guardarlo in volto. Studiai ogni centimetro mentre gli scostai i ciuffi dalla fronte. Sembrava stesse bene. Probabilmente fisicamente si stava riprendendo velocemente, ma sapevo che psicologicamente essere stato sparato dal proprio padre, non era facile da accettare. Nemmeno in un rapporto come il loro.

Per un istante, quando Brandon mi aveva detto che gli avesse sparato, avevo creduto che non avrei mai più rivisto quelle gocce d'oceano che sapevano strapparmi il fiato. Che non avrei mai più assaporato quelle bellissime e piene labbra rosate. Che non avrei mai più sentito le sue ciocche soffici tra le mie dita. Era stato un istante ma mai mi ero sentita così persa, svuotata. Così addolorata. Era come se qualcosa mi avesse lacerato e non avrei mai più voluto sentire un dolore del genere.

Mi risvegliai da quella trance, quando mi sfiorò la guancia raccogliendo una lacrima libertina.

«La prossima volta che ti fai sparare, ti uccido.» dissi con voce la spezzata.

Sorrise ampiamente, «che strana dichiarazione di amore, Adams.»

Mi morsi l'interno della guancia per non piangere e lui premette una mano dietro il mio collo per poi far scontrare le nostre bocche.

Come se non aspettassimo altro, sentii l'elettricità scorrere e vagare nei nostri corpi. Le sue labbra mi diedero quella spinta, quell'energia, che si era dissolta in quei giorni. Assaporai con fame quelle labbra che avevo sognato ogni volta che chiudevo gli occhi e lasciai che lui divorasse le mie.

Sentivo i suoi polpastrelli affondare e bruciare nel retro delle mie cosce, sentivo gli anelli premere nella mia carne. Gli morsi le labbra e lasciai intrecciare le nostre lingue mentre premevo il corpo contro al suo, facendogli capire quanto avessi bisogno di lui. Ogni fibra di me non poteva vivere in sua assenza.

«Volete la piz--»

Mi staccai di colpo dalle labbra di Hayden e girai il busto colta sul fatto.

Brandon era entrato senza bussare e ora ci fissava alquanto ghignate.

«Il medico ha detto che devi stare a riposo ancora per qualche giorno.» disse, senza smettere di sorridere.

Provai a scendere dal suo bacino ma strinse la preda sui miei fianchi e rimasi ferma.

«Non mi hanno sparato al cazzo.»

«Ma ti hanno sparato alla gamba, coglione.»

Brandon aveva ragione. Era ancora presto per andare oltre.

Hayden sbuffò e lo fulminò con lo sguardo, «ordina quello che vuoi ed esci dalla mia stanza.»

«Forse dovrei lasciare la porta aperta per controllare meglio voi giovanotti in calore.»

Socchiusi gli occhi verso Brandon, «esci.»

Lui sorrise scuotendo la testa ma, appena fece per andarsene, lo fermai e scesi dal corpo di Hayden per andare da lui.

Non lo avevo ancora ringraziato come avrei dovuto. Lo abbracciai forte e lui ricambiò immediatamente.

«Grazie.» sussurrai con gli occhi lucidi al suo orecchio.

«È il mio dovere.»

Mi staccai e mi baciò la tempia prima di lanciare uno sguardo alle mie spalle.

«Andateci piano, dico sul serio.»

«È lei che mi è saltata addosso.» rispose Hayden.

Spalancai la bocca offesa e, appena Brandon ci lasciò da soli, tornai vicino a lui e risposi piccata.

«Di certo non per fare sesso, Miller.»

Dopo avermi fatto il verso, mi afferrò i polsi e mi trascinò nuovamente sul suo bacino. Era passata solo una settimana ma ero già in astinenza del suo tocco, del suo profumo...di lui.

«Ti fa male?» chiesi, accarezzandogli il torace.

«Un po', ma niente di insopportabile.»

«Hai già preso le medicine?»

«Più tardi, mamma.»

«Ehi,» gli diedi un buffetto sulla fronte, «non fare lo spiritoso.»

«Sto bene, Adams,» sorrise e mi tirò giù, accarezzandomi il viso con le nocche, «mi rimetterò in fretta, non preoccuparti.»

«Non preoccuparti, bella questa.»

Sospirò, «ormai non può succedere più niente.»

In realtà, non sarebbe dovuto succedere neanche questo, e il fatto che fosse successo, mi spaventava da morire. Suo padre era davvero capace di qualsiasi cosa.

«Ne...ne vuoi parlare?» azzardai poco dopo, «non mi hai ancora raccontato com'è andata.»

Assistetti la lotta con se stesso nei suoi occhi. Voleva ignorare quel fatto il più a lungo possibile, ma prima o poi doveva parlarne.

«Voglio solo stare con te,» mi fissò, «in questo momento, non voglio pensare ad altro che a te.»

Sentii il nodo alla gola farsi pungente e annuii, stringendo forte i denti. Cercai di non farmi sovrastare dalle emozioni, così, mi sporsi e lo baciai dolcemente. Niente di troppo spinto come era successo poco fa.

«È mia questa felpa...» mormorò, appena mi staccai.

«Sono tuoi anche i boxer.»

I suoi occhi si illuminarono di malizia mentre le sue mani trovavano le mie natiche coperte. Mi diede una pacca, facendomi ridere.

«Cristo, Kay. Non ti vedo da una settimana, ti presenti con indosso solo una mia felpa e i miei boxer-» grugnì, «-come diavolo dovrei fare ad andarci piano?»

«Contieni i tuoi ormoni, giovane.» schioccai e mi spostai da lui prima che fossi io quella a perdere il controllo.

«Forse è meglio scendere.» disse, fissandomi le gambe nude.

Forse si.

Raggiungemmo Brandon in soggiorno e Hayden non staccò mai la mano dalla mia. Mi sedetti sulla parte lunga del divano e lasciai che Hayden si sistemasse contro di me. Appoggiò la testa sul mio seno nel mentre accarezzava le mie gambe vicine al suo bacino.

Brandon fece zapping in tv finché non si fermò su un film comico che avevo già visto. Non prestai molta attenzione al film perché le mie mani erano nascoste sotto la maglia che indossava Hayden. Toccai i suoi muscoli e tracciai il contorno dei tatuaggi che preferivo, conoscendo a memoria la loro posizione.

Il mio sguardo era fisso sulla coscia destra. Indossava una tuta per cui non vedevo la fasciatura ma me la immaginai. Hayden aveva un'altra cicatrice, un'altra storia da raccontare. Tra tutte era sicuramente quella che faceva più male. Qua, aveva rischiato davvero la morte, e non era qualcosa che superavi in fretta.

Circondai il suo collo con le braccia e sospirai a fondo premendo le mie labbra contro la sua testa.

«Ti amo.» sussurrai al suo orecchio.

Lui si scostò per potermi guardare. I suoi occhi brillavano e il mio stomaco si ribaltò. Poi, mi strinse il viso e mi stampò un bacio sonoro sulle labbra.

«Io di più, bellissima.»

«Siete nauseanti.»

Guardai Brandon seduto dall'altro lato e gli sorrisi.

«Lo so che ci adori.»

«Vi adoro quando non vi succhiate la faccia davanti a me.»

«Sei solo invidioso di noi.» replicò Hayden annoiato.

Di noi.

«Dai, vieni qui.» aprii il braccio destro per invitarlo.

«Solo se fa spazio sul cuscino.» provocò Hayden facendo un'allusione alle mie tette.

«Posso anche farlo ma poi sarà l'ultima cosa che toccherai, cugino.»

Ruotai gli occhi e gli diedi un colpo alla fronte prima di invitare Brandon a sdraiarsi vicino a me.

«Cosa vuoi? La principessa insiste.» sogghignò verso Hayden che probabilmente lo guardava male.

Si sistemò al mio fianco e avvinghiò il mio braccio e rimanemmo tutti e tre uniti su quel divano. Hayden lo stuzzicò piazzandogli il medio davanti alla faccia e lui rispose con una smorfia. Ruotai gli occhi perché erano due bambini ma entrambi erano diventati essenziali nella mia vita. Senza di loro non sarei più stata la stessa.

⚜️

«Sicuro che non posso aiutarti?»

«Sicuro.»

Sbuffai e incrociai le braccia. Hayden si stava medicando la ferita. Lo doveva fare ogni giorno e solo una volta lo avevo fatto io e be'...non era andata come uno si poteva immaginare.

«Giuro che non piango.» dissi, fissando la finestra sopra al suo letto.

«Me lo avevi promessi anche l'altro giorno,» ribadì, «e mentre a me è venuto duro perché continuavi a toccarmi, tu stavi piangendo.»

Se uno ci pensava bene faceva ridere come scena. Sul momento, però, Hayden non sapeva cosa fare dato che io stavo singhiozzando in modo disperato mentre lui aveva un'erezione nelle mutande.

«È colpa tua,» dissi, «perchè ti devi eccitare per cosi poco? Ti stavo solo medicando la ferita.»

Da quel momento, tutte le volte che doveva medicarsi mi obbligava a girarmi e non guardarlo.

«Perchè mi hai palpato il cazzo per ben due volte.»

«Filtro, Miller. E non ho fatto apposta.»

Per sbaglio, avevo appoggiato la mano troppo vicino al suo inguine e avevo preso dentro ciò che si nascondeva sotto ai boxer.

Era troppo sensibile.

«Be', non ricapiterà più...ho finito.»

Mi voltai e lo trovai in piedi al letto mentre sistemava la benda tubulare sulla coscia. Purtroppo i miei occhi caddero su ciò che aveva in mezzo alle gambe, che con quei boxer bianchi risaltava ancora di più le sue misure, e sentii il mio corpo scaldarsi fino alla punta dei piedi.

«Stai fissando, Adams.»

Sollevai lo sguardo, rossa in volto, ma feci l'annoiata, «lui fissava me.»

Sorrise e scosse la testa mentre andava in bagno a sistemare ciò che aveva utilizzato. Nel tragitto non potei che fissargli il culo.

«Hai parlato col coach oggi?»

Hayden aveva passato una settimana a casa dopo il suo rientro e quel lunedì era tornato beccandosi occhiate a non finire. Aveva ignorato ogni voce, ogni sguardo con estrema professionalità. Avevo saputo che Jordan lo avesse provocato ma lui non era caduto nella trappola e lo aveva lasciato parlare. Mi faceva piacere che Travis non si fosse allontanato da lui, anzi, diverse volte aveva risposto malamente a chi non la smetteva di fissarlo come se fosse una sorta di animale in esposizione.

Tornò a letto e cercai di non sbavare sul suo corpo seminudo. Piegò un braccio sotto la testa e mi fissò mentre mi mettevo a cavalcioni su di lui.

«Mi ha chiesto quando potrò riprendere a giocare,» sospirò, «gli ho detto che potrei riprendere gli allenamenti anche subito ma non so quanto riuscirò a recuperare.»

«Non sforzarti troppo,» dissi, «fai quello che riesci.»

«Ho paura di perdere la borsa di studio della Stanford se non torno in campo a giocare,» ammise e aggiunse, «e ho paura di perderla anche per quello che è successo.»

«Hai un accordo con i federali. Non ti preoccupare.»

«Ma sarebbe una cattiva pubblicità--»

«Se dovessero pensarlo, non ti meritano come alunno e come giocatore.»

«Perchè sei sempre positiva con me e con te stessa no?» aggrottò la fronte.

Perchè era più facile riuscire a far star meglio gli altri, che me stessa.

«Ho detto a mia zia quello che ha fatto mia madre e ci penserà lei.»

«Non voglio approfittare di voi.» sospirai.

«Non approfitti di nessuno. Voglio solo darti ciò che meriti. Il posto alla Juilliard è tuo.»

Accennai un sorriso e mi abbassai per baciargli la guancia, «grazie.»

L'improvvisa vicinanza dei nostri visi, accese quella fiamma che stavamo controllando da diversi giorni ormai. Incastrai le dita nelle ciocche arricciate mentre le sue mani si intrufolarono sotto alla gonna. Come accordato, in quei giorni stavamo tenendo a freno i nostri ormoni. La gamba gli dava ancora qualche problema e non volevo che si affaticasse troppo, ma era difficile stargli lontano, era difficile ignorare il profumo della sua pelle e non rabbrividire quando mi toccava. La sua presenza era abbastanza per farmi sentire su un altro pianeta.

«Dormi qui?» chiese, la voce grave.

«Sai che posso solo nel weekend.» E domani c'era scuola.

Inspirò a fondo e sentii le sue dita premere nel retro delle mie cosce, facendomi bruciare lo stomaco. Strofinai il naso contro al suo e provò a baciarmi ma mi tirai indietro in modo giocoso. Socchiuse gli occhi infastidito e io sogghignai. Poi, premetti il pollice sul suo labbro inferiore. Schiuse le labbra e afferrò con i denti la punta del mio dito. Deglutii rumorosamente, sentendo il calore espandersi in me. Mi mancava. Incrociai i suoi occhi e li trovai neri.

Sapevo che mi voleva. Lo capivo da come avesse iniziato a stringermi e da come strofinava le mani nella mia carne con più intensità. Abbassai il volto e lo baciai sotto alla mascella per poi proseguire lungo la sua gola e soffermarmi per lasciargli un segno. Un verso strozzato uscì dalla sua bocca e fu abbastanza per farmi andare avanti.

Indietreggiai leggermente e nel farlo mi preoccupai di strusciare la mia intimità contro la sua e di non sedermi sulla sua ferita. Sentivo i suoi occhi carichi di piacere e roventi su di me ma per il momento non lo guardai. Premetti i palmi sui suoi pettorali e tastai a fondo i suoi muscoli. Il suo corpo era bollente e ad ogni bacio lo sentivo respirare più forte. Lasciai una scia umida che raggiunse gli addominali gonfi e duri e sollevai lo sguardo su di lui mentre leccavo la striscia di pelle tra l'ombelico e l'elastico dei boxer.

L'attesa era la peggior tortura e Hayden stava impazzendo. Le vene sul collo e le nocche bianche ne erano una conferma.

«Vuoi la mia bocca?» mi morsi il labbro mentre premevo la mano sopra la sua erezione stretta nell'unico indumento che indossava.

«Ti voglio tutta

Sorrisi e lo osservai crescere e indurirsi al mio tocco. L'attesa però stava facendo impazzire anche me, perciò gli abbassai i boxer quanto bastava per liberare la sua lunghezza di marmo. Gli procurai un gemito strozzato quando afferrai la base e leccai la punta rossa e umida. Raccolse i miei capelli in una coda disordinata mentre usavo mani e bocca per stimolarlo.

«Aspetta-» gracchiò prima che potessi prenderlo in bocca, «-siediti sulla mia faccia.»

Avvampai alla richiesta e, colta alla sprovvista, non mi mossi.

«Subito, Adams.»

Deglutii. Mi girai e Hayden afferrò la mia vita tirandomi indietro, verso di lui. Ora avevo lo sguardo verso il suo membro d'acciaio che pregava il mio tocco. Sollevò la mia gonna e lo sentii spostare di lato il perizoma già fradicio.

«Ogni volta che ti fermi, io mi fermo.»

Non risposi alla direttiva e tornai ad afferrare la base della sua eccitazione, e nel mentre, lui accarezzò il mio centro con due dita facendomi tremare.

Ansimai contro di lui e dedicai attenzione alla sua punta gonfia sapendo che lui avrebbe imitato i miei gesti. Quando chiusi le labbra attorno alla sua lunghezza e succhiai, lui portò la sua bocca contro di me e mi fece gemere. Rafforzò la presa sulle mie cosce e mosse la lingua tra le mie pieghe mentre lavoravo su di lui.

Dentro di me sentivo il mio stomaco aprirsi in una voragine potente. Sembrava risucchiare ogni briciola della mia anima, lasciando spazio solo alle sporche fiamme del desiderio profondo.

Come sempre, era troppo grande per me e cercai di rilassarmi mentre la punta picchiava il retro della mia gola. Vedevo i suoi muscoli contrarsi e sentivo i miei sciogliersi ad ogni suo tocco fugace e mirato. Più lui mi divorava e più la mia mente perdeva il focus, tuttavia mi obbligai a non fermarmi.

Le mie gambe si facevano molli ad ogni minuto che passava e la mia gola chiedeva pietà ma avrei continuato fino a che non avrei sentito il suo sapore colarmi dentro.

«Basta...» gracchiò, lasciandomi su un precipizio.

Mi lamentai e liberai con uno schiocco la sua eccitazione che stava per esplodere come me.

«Ti voglio sentire, Kay.» mi baciò l'interno coscia.

Lo volevo anche io.

Cambiai nuovamente posizione, con la mia intimità che piangeva per quell'intenzione proprio sul punto più bello, e lui trafficò col primo cassetto del comodino per recuperare un profilattico. Mentre io lo sistemavo sulla sua lunghezza, lui ruppe le mie mutandine con un'espressione angelica.

«Potevo spostarle di lato, sai?» socchiusi gli occhi.

«Così è molto meglio, bellissima.» sorrise prima di posizionare la punta contro di me.

Avvinghiò la mia vita e mi fissò mentre lentamente scendevo su di lui e lo accoglievo fino in fondo. In questa posizione sembrava che mi spaccasse a metà ogni volta. Raggiunse quella voragine nel mio stomaco e mi aggrappai alle sue spalle ansimante. Le mie pareti bruciavano per lo sforzo che stavano facendo per trattenerlo ma mi sentivo piena, al completo. 

«Sei troppo vestita.» ansimò contro al mio collo.

Le sue mani trovarono il bordo della polo e me la sfilò lasciandomi in reggiseno. In poco tempo restai con solo la gonna.

Iniziai a muovermi su di lui, scivolai con facilità ma rimaneva sempre troppo grande da accettare e questo mi faceva bruciare i muscoli interni. Trovò la mia bocca con un bacio sporco e premette i nostri petti nudi mentre mi muovevo a ritmo costante, su e giù. Rubò ogni mio gemito, ogni ansimo, e quando prese a succhiarmi il seno e a morderlo, dovetti chiudere gli occhi in estasi. Trovai il ritmo ideale e lui mi aiutò a mantenerlo con le dita premute nei miei glutei. Gli tirai indietro i capelli con un movimento brusco e tornai a baciarlo sentendo di nuovo di star arrivando a quel precipizio diretto alle bocche dell'inferno.

«Cazzo-» piagnucolai stringendomi a lui e continuando a dirigere i giochi, «-sto per venire, Hayden.»

Avvolse il mio seno in un palmo e lo strizzò, «lasciati andare, vieni su di me.»

I muscoli del suo corpo erano contratti e sentivo le mie gambe indolenzite per lo sforzo. Poi, l'ondata elettrica di calore mi travolse facendomi annegare e annaspare contro la sua bocca. Venni su di lui. Le mie pareti lo soffocarono a piccoli spasmi e grugnì di piacere.

Con un movimento repentino, ribaltò le posizioni e mi ritrovai con la testa affondata nel cuscino, le ginocchia piegate, i polpacci sopra alle sue spalle e lui che martellava incessantemente dentro di me. Ancora sensibile dall'orgasmo appena avvenuto, mi sembrò di non respirare più. Le sue spinte profonde e mirate riuscirono a ricreare in poco tempo un'altra ondata di piacere, che questa volta colpì entrambi allo stesso momento. Però, era decisamente più forte rispetto a prima. Più potente. Gridai il suo nome e graffiai i suoi bicipiti mentre mi beavo del quadro più erotico di questa terra.

Quando uscì da me, le mie gambe tremavano come se avessi appena fatto una seduta di elettroshock. Dopo aver buttato il profilattico usato nel cestino, afferrò la coperta in fondo al letto e, stringendomi a sè, coprì entrambi.

Rimanemmo in silenzio per qualche momento con ancora i respiri pesanti e i corpi sudati. Lo sprint che aveva fatto mi aveva uccisa, letteralmente. Non mi sentivo più le gambe. Lo stomaco era sottosopra e il cuore stava per esplodere.

«Stai bene?» mi baciò la fronte.

Annuii nascondendo il volto nell'incavo del suo collo e intrecciai le nostre gambe. Lui indossava solo i boxer mentre io solo la gonna, ma entrambi quegli indumenti sarebbero finiti in lavatrice perché erano conciati molto male.

Mi appisolai nascosta sotto la coperta e contro il suo corpo che emanava molto calore. Le sue dita scorrevano lungo la mia schiena e il suo respiro regolare mi dava un senso di tranquillità.

«Miller...» mugugnai contro la sua pelle, «penso di avere una dipendenza per il tuo amico

Il suo corpo vibrò mentre una risata genuina riempiva la stanza.

«Pensi?»

Mi scostai per poterlo guardare in faccia. Scrutò il mio volto e appoggiò una mano sulla mia guancia prima di baciarmi a fior di labbra.

«Sono distrutta,» mormorai contro la sua bocca, «ma ti voglio ancora.»

E dopo lo avrei voluto ancora. Perché era come una droga. Ed ero stata in astinenza per troppi giorni.

«È difficile andarci piano con te,» mi baciò sopra l'arcata del sopracciglio, «mi mandi a puttane il cervello e l'unica cosa che penso è che voglio farti mia e che voglio sentirti urlare il mio nome.»

«Mi piace quando non ci vai piano.»

Incrociò il mio sguardo e incurvò un angolo della bocca, «lo so.»

«Mi piace anche quando sei dolce.» dissi, le guance che bruciavano.

«Lo so.»

Premetti le dita dietro al suo collo e lo spinsi contro la mia bocca. Schiusi le labbra lasciandogli l'accesso alla mia lingua e premette il corpo al mio. Il mio seno sfregava contro di lui e ansimai nel bacio.

«Sicuro non ti faccia male la gamba?»

«Ti riuscirei a scopare anche con le gambe rotte.»

Si posizionò sopra di me e la coperta che scivolò sul bacino. Affondai le unghie nella sua schiena e sollevai il bacino, strusciandomi contro di lui. Lo sentii già vivo sotto i boxer, pronto a riprendere il lavoro. Le sue labbra si spostarono sul collo, sulla gola e sulle mie clavicole. Succhiò il mio seno e lo morse. Aveva la bocca attorno al mio capezzolo, quando il suo telefono prese a suonare.

Lo ignorò e continuò a torturami tutto quello che aveva a disposizione.

«Hayden...»

Sollevò la testa con fare irritato e guardò il comodino. Presto vidi l'irritazione tramutarsi in confusione e si scusò con me prima di scivolare al mio fianco e rispondere al telefono.

Strinsi la coperta fin sopra alle spalle mentre lui era sul bordo del letto e mi dava le spalle.

«Si, sono io...che succede?»

Non sentii cosa disse l'altra persona -che non sapevo nemmeno chi fosse- ma mi preoccupai per lo scatto che fece nell'alzarsi.

«Cosa- Lei ne è sicuro?»

Un profondo cipiglio era stampato sul suo volto e fissava il letto con la testa altrove.

Che diavolo stava succedendo?

«Si,» la voce si abbassò di diversi toni, «no- certo. La ricontatterò più tardi. Grazie...grazie per avermi avvisato.»

La chiamata finì e lui lasciò cadere il telefono sul letto.

«Ehi, cos'è successo?» chiesi immediatamente.

Lui non parlò. Continuò a fissare un punto indefinito e i suoi occhi--erano vuoti.

«Hayden,» mi misi a sedere con la coperta stretta al petto, «cos'è successo?»

«Mio padre...» buttò fuori, il volto cupo.

Aggrottai la fronte, «cos'ha fatto?»

«Mio padre è--»

L'istante successivo uno strano suono si amplificò nella villa. L'allarme

Hayden uscì fulmineo dalla stanza con solo i boxer mentre io mi infilai la mia polo mentre scendevo dal letto, cercando di non inciampare nei miei stessi piedi. Corsi giù dalle scale e chiamai più volte il nome di Hayden.

Non rispose ma lo trovai in soggiorno. L'espressione scioccata mentre osservava la persona che aveva appena scassinato una delle porte finestre.

Juliette.


S/A.

Ciao Juliette 👋👀

➡️ Cos'è successo a Steven Miller?

Lasciate una stellina e un commento, se vi è piaciuto!

A presto, Xx ❤️👽

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