It's a Cliché

By -Happy23-

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Hayden Miller è un eccellente pianista, vincitore di moltissime competizioni, prossimo prodigio della Juillia... More

Premessa
Prologo
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12 - Parte 1
Capitolo 12 - Parte 2
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42 - Parte 1
Capitolo 42 - Parte 2
Capitolo 43 - Parte 1
Capitolo 43 - Parte 2
Capitolo 44
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 49
Capitolo 50
Capitolo 51
Capitolo 52
Capitolo 53
Capitolo 54
Capitolo 55
Capitolo 56
Capitolo 57
Capitolo 58
Capitolo 59 - Parte 1
Capitolo 59 - Parte 2
Capitolo 60
Capitolo 61
Capitolo 62
Capitolo 63
Capitolo 64
Capitolo 65
Capitolo 66
Capitolo 67
Capitolo 68
Capitolo 69
Capitolo 70
Capitolo 71
Capitolo 72
Capitolo 73
Capitolo 74
Epilogo
Capitolo 1 Bonus - Parte 1
Capitolo 1 Bonus - Parte 2
Capitolo 1 Bonus - Parte 3
Capitolo 2 Bonus - Parte 1
Capitolo 2 Bonus - Parte 2
Capitolo 3 Bonus - Parte 1
Capitolo 3 Bonus - Parte 2
Capitolo 3 Bonus - Parte 3
Capitolo 4 Bonus
Capitolo 5 Bonus
Profilo Instagram

Capitolo 45

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By -Happy23-

Sentii qualcosa muoversi dietro di me e un braccio sfilò da sotto la mia testa. Assonnata e intontita, mi girai tra le coperte e schiusi le palpebre gonfie per il sonno. Hayden si stava alzando dal letto.

«Che fai? È ancora presto...» borbottai.

Si voltò e lo vidi passarsi una mano tra i capelli disordinati, «lo so, vado ad allenarmi. Vuoi venire?»

Anche se le palpebre si erano già chiuse, dal tono saccente e ironico sapevo che stesse sorridendo.

«Col cazzo. Addio, Miller.»

Mi coprii fin sopra la testa con le coperte mentre ridacchiava.

Era sabato, era il primo giorno di vacanze di Natale ed era anche il diciotto dicembre ciò significava che era il giorno del regalo di Natale di Hayden a quella mostra, per questo il venerdì aveva insistito affinché restassi qui a dormire.

Dopo vari secondi di silenzio mi addormentai nuovamente e quando mi risvegliai la luce entrava dalle vetrate e in stanza non c'era ancora nessuno. Mi tirai su stropicciandomi gli occhi poi mi stiracchiai.

Scesi dal letto e afferrai il telefono sul comodino per vedere l'ora. Erano appena le otto e buttai fuori un sospiro di sollievo, non eravamo in ritardo sulla tabella di marcia.

Dopo essermi lavati i denti per togliermi il sapore impastato della notte, scesi al piano inferiore e nel mentre notai la porta di Brandon ancora chiusa segno che lui stesse ancora dormendo.

«Buongiorno, Adams.»

Salutò Hayden appena entrai in cucina, stava mangiando delle uova strapazzate con dello yogurt greco, gallette e un frullato. Dio, era sempre così noioso anche nella colazione.

«'Giorno, Miller.»

Era ancora in tenuta sportiva, con tanto di elastico che creava una tenera codina con i capelli.

«Pancake?»

«No, tranquillo. Mangerò i cerali con un po' di latte. Posso?»

«No, puoi mangiare solo l'erba del giardino.»

Ruotai gli occhi. Era mattina, doveva fare poco il simpatico.

«Certo che puoi, Kay.» sospirò.

Appena mi sedetti di fronte a lui per mangiare la mia tazza di latte con dei corn-flakes al cioccolato mi sentii osservata. Parecchio osservata.

«Che c'è?» domandai, affondando il cucchiaio della tazza fumante.

Diede un morso alla galletta, «allora, vuoi dirmi cos'è?»

«Cos'è cosa?» feci la finta tonta.

«Il mio regalo.»

«No.»

«Tra poco lo saprò lo stesso. Tanto vale dirmelo ora.» replicò, cercando di convincermi.

Sorrisi divertita, «non te lo dirò. Lo vedrai quando saremo lì.»

Alzò gli occhi e terminò l'ultima porzione di uova per poi alzarsi dallo sgabello.

«Almeno dimmi come mi dovrei vestire.»

«Come vuoi. Ma penso ci sarà gente e se non vogliamo farci vedere insieme forse dovresti portarti un cappello. Niente occhiali da sole. Sembreresti scemo.» conclusi e masticai quei buonissimi cereali.

Annuì, «ricevuto. Vado a lavarmi. Se hai ancora fame, mangia quello che vuoi.»

«Si, grazie.»

Una volta sola terminata anche io la mia colazione, tornai al piano superiore e presi il mio zaino con tutto l'occorrente e andai nel bagno in corridoio dato che lui era ancora nel suo.

Essendomi già fatta la doccia, mi lavai solamente la faccia e nuovamente i denti, questa volta usai anche un po' di collutorio per rinfrescarmi la bocca. Dopo mi vestii con i vestiti portati da casa e cioè: una gonna scozzese aderente verde e blu scuro che mi calzava a pennello, un top scuro a coste a maniche lunghe e infine il cardigan dallo stesso motivo e colori della gonna e conclusi con i miei stivali alti in finta pelle che avevano un leggero tacco. Aggiunsi anche una bandana nera che utilizzai come accessorio per i capelli, mettendola come fascia e lasciando libere le due ciocche frontali boccolose che mi circondavano il viso.

Appena afferrai il pennino dell'eyeliner sentii un tocco alla porta e poco dopo venne aperta. Mi si seccò la gola quando con la coda dell'occhio trovai il padrone di casa già pronto.

I ragazzi tendevano a vestirsi allo stesso modo, lui era uno di quelli, e sempre con colori scuri. Ma ogni volta che lo vedevo in quegli outfit semplici ma eleganti il mio cuore sprofondava nel petto e veniva stritolato da uno stomaco infuocato.

Quei pantaloni scuri che sapevano stringersi nei punti più proibiti, il maglione nero a collo alto con fuori le catene dorate che era infilato nei pantaloni -decorati apparentemente da una semplice cintura ma che sapevo constasse più della mia stessa casa- era il modo in cui lui sapeva spiccare in mezzo a tutti. Eleganza e compostezza unita alla ruvidezza di quelle collane e degli anelli che abbellivano le sue mani era un mix che mi faceva tremare le gambe e letteralmente sbavare.

Appena salii sul suo viso perfetto lo trovai fissarmi con un leggero sguardo pungente che mi colpì dritto nel basso ventre.

«Vuoi una foto?»

Sbuffai, cercando di spezzare il mio imbarazzo per essere stata praticamente a fissarlo con la bocca spalancata come un pesce lesso, e borbottai tornando a guardarmi allo specchio, «solo se ci fai anche l'autografo.»

Sghignazzò e venne verso di me entrando nel riflesso dello specchio.

«Non avrai freddo?» domandò, finto preoccupato, mentre mi sfiorava la parte di pelle liscia scoperta della coscia.

Rabbrividii ma non per il freddo e gli diedi una sberla sulla mano facendolo sorridere, «levati. Devo truccarmi e non mi piace essere fissata.»

«Faccio io.»

Lo guardai perplessa dallo specchio, «tu?»

Mi sfilò rapidamente il pennino dell'eyeliner e mi voltai titubante.

«Non dovrebbe essere tanto difficile.» aprì il pennino e studiò la punta sottile.

«Quindi, non sai farlo.»

Mi lanciò un'occhiata asciutta, «so disegnare e ho visto Meredith farlo diverse volte.»

Aprii bocca per ribattere ma lui parlò prima di me, «zitta.»

Incrociai le braccia per niente convinta mentre lui si avvicinava e mi spingeva contro al ripiano. Appena fu quasi contro di me mi sentii avvolgere dalla sua colonia e mi trattenni dall'inspirare a fondo. Mi sollevò il mento con due dita e lo guardai. Mi studiò attentamente gli occhi e io mi chiesi se fosse davvero così bravo in tutto come credevo. E che avrebbe dovuto smetterla di fissarmi in quel modo perché il mio cuore era debole ormai.

«Chiudi gli occhi.» ordinò con voce bassa.

Deglutii e lo feci. Ero nervosa. Ero già stata truccata da altri ma sapere che fosse Hayden a farlo mi faceva battere selvaggiamente il cuore nel petto. Poco dopo sentii la punta bagnata del pennino appoggiarsi sulla mia palpebra, verso l'interno, e poi tracciò una linea che terminò fuori l'occhio. Lo sentii ripassare la punta una volta e poi ripetè la stessa azione sull'occhio sinistro.

«Apri.»

Sollevai le palpebre e non attesi un secondo di voltarmi per guardare il suo lavoro.

«Sei irritante, lo sai?»

Erano perfette. Migliori di quelle che facevo io dopo anni e anni di esperienza. La forma mi piaceva e allungava ancora di più l'occhio dando un'espressione quasi più "felina."

«Prego, Adams.» rispose soddisfatto alle mie spalle.

Gli feci il verso e poi terminai il trucco con un po' di mascara e un lucidalabbra chiaro. Lui restò ad osservarmi tutto il tempo ma io cercai di ignorarlo.

«Albert è qui.» disse una volta che mi indossai il mio cappotto scuro e pesante.

Anche lui indossò il cappotto, quello lungo che lo faceva sembrare inglese e professionale, con tanto di sciarpa e cappello, entrambi della stessa marca di lusso.

«Si, ci sono.»

Presi la borsa, controllai contenesse i nostri biglietti, e poi insieme lasciammo la sua stanza e anche la casa. Albert ci aspettava con il suv nello spiazzo davanti al portone ed era fuori dalla vettura. Salutò Hayden e poi me.

«Sali in macchina, Miller.» ordinai, aprendogli la portiera.

«Perchè?» si accigliò.

«Devo dare ad Albert l'indirizzo e non puoi sentire.»

«Cristo Santo, che palle.» borbottò ma salì.

«Filtro.» lo presi in giro.

Ricevetti una brutta occhiata ma che mi fece solo sorridere allegramente. Dopo aver detto la destinazione ad Albert, aprii la portiera posteriore ed entrai.

«Finito di fare la misteriosa?» domandò Hayden seccato.

«Certo. Tra un'ora, più o meno, saprai tutto.» E spero ti piacerà.

«Quindi stiamo andando fuori Greenville.»

«Smettila. Non pensarci.»

Sospirò e mi guardò storto, «la cintura, Adams.»

Non replicai perchè sapevo sarebbe stata una battaglia persa. Lui essendo nel posto centrale mi fece stare contro il finestrino di sinistra e io allungai le gambe sulle sue.

«Dammi un indizio.» disse poco dopo.

«Dio, sei proprio un bambino.»

«Da che pulpito,» ruotò gli occhi e voltò la testa per guardarmi, «dai, solo uno.»

Sospirai rumorosamente e incrociai le braccia appoggiando la nuca al sedile.

«Non posso darti un indizio senza che tu capisca cos'è.»

«Provaci.»

Fissai fuori dal finestrino opposto al mio e pensai a cosa dirgli.

«Um...ti ho già detto che ci sarà gente.»

«Tutto il tempo?»

«Si.»

«È all'aperto?»

«No.»

Annuì pensieroso e iniziò ad accarezzarmi le cosce che erano sopra di lui.

Quando aprì nuovamente la bocca, gliela tappai e lui mi fissò con la coda dell'occhio.

«Basta. Non rovinarti la sorpresa. Già sono nervosa se fai così peggiori tutto.» sospirai, togliendo la mano.

«Sei nervosa? Perché?»

«Perchè spero ti possa piacere. Non è stato semplice cosa regalarti. Puoi permetterti tutto.» ammisi, quasi sconsolata.

«Mi piacerà di sicuro, Kay.»

«Non lo puoi sapere e neanche io. Quindi, per adesso non pensiamoci.»

Sospirò e si arrese, dovendo mettere da parte le domande.

⚜️

Un'ora dopo Albert ci informò di essere arrivati e il mio cuore accelerò.

Mi voltai verso il finestrino scuro e notai che la massiccia costruzione di pietra con pilastri in marmo, era da quella parte, in fondo alla strada e si vedevano anche i cartelli che promuovevano quella mostra, appesi proprio sulle ampie colonne.

Sentendo Hayden muoversi mi voltai di scatto e lo spinsi contro al sedile facendolo imprecare.

«Ha detto che siamo arrivati. Fammi scendere.»

«No, aspetta...» mi morsi il labbro e mi misi davanti a lui ostruendogli la vista fuori dal finestrino.

Mi arricciai al dito una ciocca e sospirai per calmarmi, «facciamo cosi...ora abbasso il finestrino e tu capirai dove stiamo andando. Se- se l'idea ti piace, ci andremo, ho già i biglietti, altrimenti--»

«Puoi smetterla di parlare e dirmi cos'è?» mi interruppe quasi esausto.

Premetti le labbra e tornai contro al sedile per poi abbassare il finestrino. Avevo le gambe accavallate e il piede destro mi tremava dall'agitazione.

Lui si sporse dopo essersi slacciato la cintura e fissò in lontananza.

«È un museo.» dissi.

«Lo vedo,» sollevò un angolo della bocca guardandomi di striscio e poi aggrottò la fronte, probabilmente leggendo gli striscioni, «è una...mostra sui serpenti e lucertole?»

«Ogni volta che qualcuno lo dice ad alta voce suona idiota e mi fa sentire scema per la scelta,» commentai, «ma si. È su quello. E sono vivi.»

Un brivido mi percorse la schiena ma cercai di essere forte.

Restò a fissare la struttura con le labbra schiuse e il cipiglio in fronte.

Cosa pensava? Gli faceva cagare?

Sapevo che non era chissà che regalo ma era il pensiero che trovavo carino. No?

«Se ti fa schifo, puoi dirlo--»

«Hai già i biglietti?»

Il mio cuore sprofondò. Ecco, non gli piaceva.

Annuii, mordendomi il labbro, «si, ma non c'è un orario. Ho voluto andare al mattino perché ci sarà meno gente e puoi vedere quelle...cose con calma ma se non ti piace--»

«Smettila.» scattò infastidito, tirandosi indietro e contemplò un punto davanti a te.

«A, um, cosa pensi?»

«A quanto vorrei ringraziarti. Ringraziarti a modo mio, ovviamente.»

Un calore improvviso si estese dal mio collo e arrivò fino alla punta delle orecchie. Lo guardai con occhi sgranati e boccheggiai, «ti...ti piace?»

Voltò la testa rapidamente. I suoi occhi erano brillanti ma le pupille dilatate.

«Quella gonna è l'errore più grande che tu abbia potuto commettere oggi.» mormorò.

Deglutii a secco e strinsi le cosce dopo aver sentito una piacevole e dolorosa fitta provenire dalla mia intimità che si era sentita toccata da quelle parole.

«Dovresti ringraziarmi dopo averla vista, non prima.» dissi flebilmente.

Agguantò il mio viso dalla mascella con una mano e lo spinse verso di se. Sbattè le palpebre fissando prima le mie labbra piene e poi tornò a i miei occhi eccitati.

Si leccò le labbra, «oppure potrei ringraziarti adesso, durante la visita e dopo a casa mia.»

«Sono tanti grazie per una misera mostra.» bofonchiai.

Scosse la testa e il suo sguardo si fece più profondo, «nessuno ha mai pensato a qualcosa di così semplice e geniale allo stesso tempo.»

Arrossii e accennai un sorriso timido.

«Anche se, solo a te poteva venirti in mente una cosa del genere. A te che hai il terrore dei serpenti.» scosse la testa, incredulo e divertito.

«Questa notte ho fatte qualche incubo a riguardo.»

Sogghignò, «me ne sono accorto dai calci che ho ricevuto.»

«Oh, um, scusa.»

Sospirò a fondo, «ti ringrazierò come si vede più tardi. Ora, andiamo prima che cambi idea e lo faccia adesso.»

Ridacchiai e si staccò per sistemarsi sciarpa e cappello mentre io allacciai i bottoni del cappotto.

«Oh, ed è probabile tu veda il prezzo dell'ingresso quindi--»

«Parla ancora di soldi e mi incazzerò.»

Lo guardai offesa ma mi tappai la bocca e poi aprii la portiera. L'aria fredda mi colpì in pieno ma ero ben coperta quindi dovetti solo resistere per le cosce.

Quando Albert uscì dal parcheggio, io rimasi a fissare la struttura in fondo alla strada che sembrava già attirare diverse persone. Per lo più famiglie.

«Ehi.»

Sollevai lo sguardo verso Hayden. Il cielo grigio sopra le nostre teste faceva risaltare il colore oceano cristallino dei suoi occhi.

«Grazie, Kay.» mormorò.

Poi mi afferrò il mento e chinò il volto. Sul momento pensai mi baciasse sulla bocca ma poi si spostò e premette le labbra sulla guancia lasciandomi di sasso.

Non credevo mi avesse mai baciata sulla guancia prima d'ora. Un bacio così semplice ma che io captai dolce e intimo.

Arrossii istantaneamente e quando tornò a torreggiare su di me mi regalò un sorrisetto impertinente prima di parlare, «andiamo, non vedo l'ora di doverti afferrare ogni volta che sverrai.»

Il momento magico svanì e gli tirai una leggera spinta superandolo e iniziando a camminare.

«Spero ci sia qualche guardia figa a prendermi, così tu puoi goderti i tuoi spaventosi animaletti.»

«Nessuna guardia figa ti prenderà se non vorrà perdere le braccia.»

«Come vuoi, Grinch.»

«Cos'è?»

Lo guardai sconcertata mentre ci fermavamo ad un semaforo.

«Non hai mai visto il Grinch

Alzò le spalle, «avrei dovuto?»

«Certo che si! È il Grinch,» scossi la testa scioccata e gli lanciai un'occhiata seria, «a casa lo guarderemo. Non esiste che tu non sappia cosa sia. Non in mia presenza.»

⚜️

Se avessi potuto lanciarmi dalle finestre, lo avrei fatto, ma questo significava lasciare andare la mano di Hayden e non ero pronta a farlo.

La mostra si alternava tra sale di serpenti e lucertole. C'erano moltissime teche di vetro di diversa grandezza. Non in tutte ci si poteva avvicinare fino a toccare il vetro, e in quelle in cui si poteva molti bambini avevano quasi il naso spiaccicato per vedere quegli animali esotici.

Gli spazi delle diverse sale erano immerse in luci soffuse mentre le zone con i cartelli di spiegazioni delle varie specie erano più illuminate per permettere di leggere meglio.

Inoltre, dagli altoparlanti uscivano rumori di fruscio, acqua che scorreva, grilli. Era per simulare un ambiente naturale e questo rendeva tutto più reale.

Ad ogni modo, l'inizio per me fu piuttosto difficoltoso. Molto. Perché quei pazzi avevano deciso di piazzare nella prima sala dei serpenti velenosi.

E io non lo sapevo.

Ero entrata sicura di me. Decisa di regalare ad Hayden una bella esperienza. Lui mi aveva promesso che sarebbe stato al mio fianco e che non ci saremmo avvicinati troppo se non volevo.

C'era un grosso cartello all'inizio della sala che diceva: Coral Snakes.

«Mh, sono molto colorati e sembrano anche piccoli...» dissi, osservando le teche. E poi aggiunsi anche molto convinta di me, «perchè non hai uno di questi? Sono meno spaventosi rispetto a Jack.»

E poi Hayden me lo spiegò perché. Molto rapidamente. Con tranquillità.

«Perchè sono velenosi.»

Sentii il cuore fermarsi e mi bloccai a fissare una teca con dei piccoli serpenti gialli e neri. A quel punto pensai: sei circondava da una ventina di esemplari striscianti con del veleno nel corpo, Makayla. Quanto sei felice?

Hayden mi dovette trascinare fuori dalla prima sala prima che mi venisse una crisi.

Mi scusai per la mia reazione e lui mi disse di non farlo.

Dopo di che incrociò le nostre mani e proseguimmo nelle altre sale.

A volte lui si avvicinava con gli occhi di un bambino e quando tornava al mio fianco mi raccontava tutto quello che sapeva su quella specie. Sul mondo delle lucertole non sapeva molto e fu particolarmente sorpreso di scoprire tutte quelle informazioni dalle scritte sui pannelli e anche brevi filmati sui vari televisori.

«Ehi, ci sei?» lo sentii dire mentre mi stringeva la mano.

«Guarda...» risi, indicando una teca di due lucertole che di stava dando alla procreazione, «quando si dice "sesso selvaggio".»

Purtroppo, proprio in quel momento passò davanti a me una signora con un bambino in braccio, il quale chiese immediatamente cosa volesse dire sesso selvaggio e la madre mi lanciò un'occhiataccia.

Mormorai delle scuse imbarazzate mentre Hayden rideva alle mie spalle.

Gli diedi un colpo al braccio, «smettila.»

«Questo è il karma per la battuta di merda.»

«Zitto, era molto divertente.»

Proseguimmo nelle sale. Preferivo di gran lunga le lucertole ai serpenti anche se erano simili, perché erano tutte piccole. I serpenti invece...ce n'era uno gigante. Appena lo vidi, sgranai gli occhi e feci dietrofront dicendogli che se voleva poteva entrare lui da solo. Non entrò e insieme andammo in un'altra sala.

Lo osservai raggiungere una teca libera dalle persone e guardò il serpente attorcigliato ad un grosso ramo. Era grande quanto Jack. Raggiungeva un metro di sicuro.

Mi fece segno di raggiungerlo e nonostante la titubanza lo feci perché lo vedevo spensierato e mi piaceva sentirlo parlare. Mi piaceva sentire la sua voce.

«È della stessa specie di Jack.»

«Pitone Reale.» dissi.

«Te lo ricordi.»

Gli lanciai un'occhiata e lo trovai con un piccolo sorriso, «certo che lo ricordo. Mi ha quasi fatto venire un infarto.»

«Una delle cose più divertenti mai viste.» mormorò.

Si beccò una mia gomitata e mi guardò male, «oggi è la mia giornata, non puoi farmi male, Adams.»

«Non è la tua giornata, Miller. È solo il tuo regalo di Natale. E dura ancora un'ora.»

«Per ancora un'ora non puoi farmi male.» mi avvisò e ruotai gli occhi. Poi abbassò il volto e mi sfiorò l'orecchio con le labbra, «se lo fai, dovrò punirti e sono molto propenso a provare l'acustica del bagno.»

Gli diedi una spinta mentre avvampavo e lui ghignò sotto i baffi.

«Be', comunque,» tornai a guardare la teca, «Jack è più bello.»

Questo aveva i colori sul marrone mentre Jack essendo bianco aveva quel non so che di raffinatezza e rarità.

«Ovvio. È mio.»

«Ciò che è tuo è bello?»

Mi guardò negli occhi e le sue labbra fremettero, «sempre

Sentii uno sfarfallio potente nello stomaco e lo tirai via per non fargli vedere le mie guance rosse.

E qualcosa in quelle ore trascorse con lui, mano nella mano, come se non fossimo solo amici, mi fece davvero desiderare di avere sempre tutto quello. Di avere lui. E capii che quella per Hayden non era una semplice infatuazione o cotta. Era qualcosa di molto più profondo e che accettarlo era stato complicato ma ormai non potevo più fare finta di niente.

Ciò che provavo per quel ragazzo dagli occhi tanto freddi quanto profondi era amore. Il più puro e semplice. Quello con la a maiuscola.

Mi ero innamorata di lui.

Nel realizzarlo, mi bloccai in mezzo al corridoio.

«Stai bene? Sei pallida.»

Guardai Hayden e e boccheggiai, «s-sto bene. Stavo solo-» deglutii, «mi è venuto in mente il serpente gigante.»

«Mi ritengo offeso. Sono molto più di quello, Adams.»

Schiusi la bocca scioccata e lui ridacchiò sotto i baffi tirando il mio braccio per riprendere a camminare.

Cazzo.

Mi ero innamorata di Hayden.

E ora cosa si faceva?

Hayden

Solo lei. Solo Makayla poteva decidere di regalarmi una visita ad una mostra di animali di cui aveva letteralmente il terrore.

Avrei voluto baciarla ad ogni sala solo perché ringraziarla e anche perché non riuscivo a trattenermi da quanto fosse bella.

Non riuscivo a spiegarmi perché ma ogni volta che la guardavo, ogni giorno che passava, diventava sempre più difficile distogliere lo sguardo da lei.

Era una calamita. Tutto di lei mi attraeva, ma non credevo riguardasse più solo la questione fisica. E questo mi spaventava. Ma non riuscivo a farne a meno.

Mi stava fottendo talmente tanto che non mi interessava essere in piedi contro ad un muro ad osservarla seduta su una sedia, decisamente piccola per lei, mentre disegnava su un tondo tavolo insieme ad altri bambini di età massima dieci anni.

E poi non potevo dire che era una bambina.

Mi aveva trascinato in quella sala multi didattica per bambini e aveva corso per occupare l'ultima sedia e iniziare a disegnare con entusiasmo.

E io ero qua, a guardarla come un maniaco perché le cose che avrei voluto farle si potevano leggere dai miei occhi e da come la fissavo.

«Ehi, scusa...»

Dovetti distogliere l'attenzione da lei quando sentii qualcuno picchiarmi sulla spalla e mi voltai accigliato.

Era un ragazzo con una macchina fotografica attorno al collo. Precisamente una Canon di cui solo il corpo arrivava sui novecento dollari.

«Scusa,» sorrise e poi lo vidi lanciare un'occhiata a Makayla, cosa che mi fece infastidire, «so che può sembrare strano ma sono un fotografo e ho visto te e la tua ragazza in una delle sale e non ho potuto non farvi uno scatto...»

Andò in secondo piano il fatto che ci avesse fotografati perché rimasi un momento assuefatto da come ci aveva definito.

Tu e la tua ragazza.

Non è la mia ragazza. È solo Makayla. È solo un'amica, avrei dovuto dire.

Ma per qualche assurdo motivo non lo negai e questo mi causò uno formicolio al petto.

Mi risvegliai quando dallo schermo della macchina mi mostrò la foto. E quel formicolio, raggiunse anche lo stomaco e anche più in basso. Serrai i denti perché il mio corpo non doveva reagire così. Era solo una foto.

Una foto che mostrava me, contro ad una parete e lei con la schiena contro il mio petto. Le mie mani che le stringevano i fianchi stretti e la sua testa contro la mia spalla. Le stavo dicendo qualcosa all'orecchio- le stavo dicendo che a casa le avrei mostrato quanto fossi grato di quel regalo.
Lei aveva lo sguardo che puntava su una teca ma non lo stava davvero guardando. Perché sapevo leggere il suo corpo, la sua mente, si stava mordendo il labbro e gli zigomi erano leggermente pronunciati da segnare un lieve sorriso. Stava immaginando quello che le avrei fatto. E solo dalla foto potevo sentire nuovamente il suo corpo sciogliersi contro al mio. Un grande ruolo lo avevano le luci che erano soffuse, dai colori blu e verdi, e giocavano ombre su di noi. Quasi nascondendoci dagli altri e lasciandoci liberi di essere noi nonostante tutta quella gente.

Noi che non eravamo davvero un noi.

«Non mi capita spesso di fotografare persone senza il loro permesso ma è stato così veloce...» la voce del ragazzo mi risvegliò e sbattei più volte le palpebre ma non riuscii a staccare gli occhi dallo scatto, «volevo dirvelo ma siete spariti subito dopo e non vi ho più rivisti fino adesso.»

«Cosa vuoi?» chiesi. Forse in modo troppo brusco. Makayla mi avrebbe ripreso.

«Oh, niente, mi chiedevo se fossi interessato ad averla. Posso inviartela sul tuo profilo Instagram.»

No, disse il cervello, ne hai già troppe di sue foto nascoste.

«La voglio ma ti chiedo se puoi eliminarla dopo.»

Lo vidi incerto ma poi annuì, «si, certo.»

Lanciai una rapida occhiata alla ragazza che notai stesse discutendo con i bambini su quale disegno stesse venendo meglio.

Diedi al ragazzo il nome del mio profilo.

«Oh, cazzo. Sei--»

«Si,» lo interruppi prima che potesse dire quello che già sapevo, «sono io.»

Mi sorrise in modo di scuse e poi, dopo aver fatto il download sul suo telefono, me la inviò.

Diedi un'occhiata al suo profilo nel quale promuoveva le sue foto e dovevo ammettere che non fossero niente male.

Lo ringraziai e mi congratulai con lui per i suoi scatti perché, al contrario di quello che pensava Makayla, non ero sempre stronzo. E riconoscevo il lavoro degli altri.

Quando mi avvicinai a lei, mi dovetti abbassare e appoggiare le mani sullo schienale di quella seggiola fatta per bambini su cui lei stava senza problemi.

«Leonard dice che il mio serpente è brutto, digli che non è vero.» girò la testa per guardarmi.

Capii che stesse parlando del bambino alla sua destra con una grossa caccola che usciva dal naso. Disgustoso.

Puntai lo sguardo sul disegno di Makayla e...dovevo ammettere che il bambino-caccola avesse ragione.

«Diciamo che io non lo appenderei sul frigorifero.»

Si imbronciò. «Sei proprio uno--»

«Ci sono dei bambini, bambina

Lei sbuffò e girò la testa oscillando i capelli per tornare al suo disegno. Era un serpente che sorrideva, in più non era assolutamente proporzionato. La coda era quasi più grossa della testa. Per non parlare dei colori, sembrava che un unicorno gli avesse vomitato addosso.

Era davvero brutto.

«Non sei capace.» la prese in giro il bambino, ridendo e mostrando diversi buchi di denti caduti.

«Be', la tua lucertola sembra un grassa iguana.»

«L'iguana appartiene--»

«Non ho chiesto la tua opinione, professore.» mi spinse via.

Ruotai gli occhi e mi drizzai infilando una mano tra le sue onde naturali fino ad appoggiare le mani sulle spalle.

«Davvero non lo vuoi?»

E quando mi guardò con quegli occhioni scuri da sotto le lunghe ciglia, il mio cuore fece un sobbalzo innaturale. Premetti le labbra pensando a quanto mi stesse entrando sotto la pelle.

«Guarda...gli ho fatto anche il cappellino di babbo natale in testa.»

L'aveva fatto. E ne aveva disegnato uno anche sulla coda.

Trattenni un sorriso perché era alquanto adorabile. Il disegno, non lei.

Bugiardo.

Sospirai, arrendendomi, «devi firmarlo o potrei confonderlo con uno dei miei, Adams.»

Mi guardò male. Gli diedi un colpetto con le dita sulla guancia che la fece arrossire poi allegramente lo firmò e si alzò dalla sedia tutta soddisfatta.

«Dovrai appenderlo sul frigorifero, Miller. Tutti devono vedere questa opera d'arte. Capito?»

Non lo avrei mai fatto.

«Certo.» mentii, piegando il foglio e mettendolo nella tasca interna del cappotto.

Appoggiai il braccio sulle spalle e la spinsi a camminare verso l'ultima sala.

«Stavo pensando...» mi schiarii la gola appena ci fermammo davanti ad una grossa teca con al suo interno vari serpenti a sonagli.

Notai che non mi stesse ascoltando e le lanciai un'occhiata.

Stava fissando la vetrata, o meglio, stava fissando uno dei serpenti e il serpente la stava puntando di rimando.

«Mi ha visto, Hayden.» sussurrò.

«È chiuso dentro, non ti può fa niente.»

«Tipo uccidermi?» Non staccò gli occhi dal serpente.

Non avrei dovuto dirlo.

Sospirai e cercai di distrarla, «vuoi venire con me a Charleston?»

Si girò di scatto e finalmente ebbi la sua attenzione. Mi costava molto ammetterlo ma mi piaceva essere la sua attenzione principale.

«Dai tuoi nonni?»

«Si,» dissi, «stiamo lì un paio di giorni.»

Perché la stavo invitando? Non ne avevo idea. Ma da quando avevo saputo che le piacesse il mare d'inverno fare un salto dai miei nonni e portarla con me, era stata la prima cosa che mi era venuta in mente. E con la pausa dalle lezioni sarebbe stato il momento perfetto.

«Solo noi?» si morse il labbro.

Era nervosa. Nervosa in senso positivo. E questo mi fece sorridere mentalmente.

«Si. È un problema?»

Mi fissò in silenzio e potei giurarci che il suo cervelletto si stesse surriscaldando di domande. Domande alle quali difficilmente avrei potuto rispondere. Poi accennò un sorriso e scosse la testa.

«Nessun problema, Miller,» disse, «ma dovrò chiedere ai miei. Ti faccio sapere.»

Le afferrai nuovamente la mano e ripresi a camminare con lei al mio fianco. Non lo avrei mai ammesso ad alta voce ma mi piaceva sentire le sue piccole dita incastrate nelle mie. Aveva davvero delle mani piccole per essere una pianista fantastica ma erano agili e sottili. E sapeva usarle molto bene anche per altre attività.

«Vuoi mangiare qualcosa?» chiesi, uscendo dall'ultima sala della mostra.

«Mh, mi andrebbe un cappuccino. Tu hai fame?» mi guardò velocemente.

Mi morsi il labbro e mormorai, «ciò che vorrei mangiare io non penso sia possibile averlo in questo momento.»

Lei arrossii violentemente e mi trattenni dal baciarle e morderle le guance rosse. Sapevo che non sopportasse quando la prendevo in giro per le guance da scoiattolo ma erano così tenere.

«Magari non è possibile neanche più tardi.»

Buttai fuori un piccolo sbuffo, «sai che se dici le bugie finisci nella lista nera di Babbo Natale?»

Rise e non potei non guardarla perché era stupenda quando rideva e quel suono dolce mi riusciva ad alleggerire il petto. Riusciva a farmi dimenticare quanto marcio fossi dentro. Riusciva a darmi uno spiraglio di calore nel mio cuore anestetizzato e ormai morente che neanche lei era mai riuscita a farmi provare.

No.

Non dovevo paragonarla a lei. Perché se iniziavo a farlo, significava che ormai era troppo tardi.

Ma quando la vidi correre nell'area di souvenir della mostra e raggiungere degli scaffali con dei pupazzetti a forma di serpente, il mio cuore sembrò fare i capricci come se sentisse già la sua mancanza.

Mentre la osservavo mettersi al collo uno dei pupazzi colorati come se fosse una sciarpa e far finta di sfilare verso di me, realizzai che forse era già troppo tardi e io già troppo fottuto.



S/A.

Ovviamente Hayden per 'altre attività' intende i massaggi alla schiena😌

➡️Finalmente Makayla si è data una risposta...ma Hayden quanto tempo ci metterà? Lo accetterà mai?

Il prossimo capitolo sarà sempre nell'arco di questa giornata del museo ma se lo avessi inserito qui sarebbe venuto molto lungo e magari anche stancante per voi.

MA...vi do un piccolo spoiler, sarà 🌶😶‍🌫️ e Hayden inizierà ad aprirsi a modo suo e per il viaggio a Charleston...be', lo scoprirete👀🖤

Lasciate una stellina e un commento, se vi è piaciuto!

A presto, Xx ❤️👽

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