Capitolo 2

7.3K 143 7
                                    

I paramedici non riuscirono a far nulla se non comunicarmi la sua morte.

Mi lasciò sconvolta a tal punto che iniziai a cercare indizi per casa, come una pazza, forsennata e addolorata figlia.

L'unica cosa che mi saltò all'occhio era un piccolo quadernino, simile ad un diario, lo presi e iniziai a sfogliarlo ma non trovai nulla al di fuori di poesie scritte di fretta e pasticciate.

Dopo l'arrivo dei paramedici chiamai pure Bethany spiegandole la situazione e mi rispose che si sarebbe precipitata da me.

Quando suonò il campanello, aprii e vidi che si trattava di Bethany, mi abbracciò senza darmi modo di staccarmi e fui costretta ad avvertirla che mi stava soffocando.

«Si sa' qualcosa?»

Le risposi con un cenno di testa in forma di dissenso e lei sospirò. «È meglio se torni a casa per riposarti.»

«No Bethany, non posso andarmene facendo finta che non sia successo nulla.» Risposi un po' inviperita.

Anche se lei non c'entrava nulla, ero talmente ferita che non sapevo come sfogare la mia delusione per ciò che avevo visto.

Salii al piano superiore ed entrai nella mia oramai abbandonata stanza, i ricordi riaffiorarono come fulmini a ciel sereno e mi sembrò di vedermi ancora seduta alla scrivania di legno un po' invecchiato dal tempo mentre ascoltavo la mia musica preferita e scrivevo nel mio diario personale i miei pensieri, scossi la testa e fissai la porta, mi sembrò di vedere mia mamma entrare nella mia stanza e portarmi i suoi tipici pancake con lo sciroppo d'acero che tanto adoravo.

Chiusi gli occhi e cercai di concentrarmi su ciò che dovevo fare, richiusi la porta della stanza dirigendomi verso quella di mio papà.

Sull'uscio della porta notai subito il caos che regnava sovrano nella stanza, pezzi di fogli sparsi sulla sua scrivania, mozziconi di sigaretta nel posacenere oramai pieno e bottiglie di whisky vuote.

Rimasi allibita, mio papà era una persona molto attenta all'ordine e alla pulizia, non lasciava mai nulla fuori posto, sicuramente c'era qualcosa che non stava andando bene nella sua vita per ridursi in questo modo ed io non ero lì mentre lui si autodistruggeva, forse è qualcosa che non mi sarei mai perdonata, lo abbandonai e probabilmente meritavo di sentirmi così.

«Papà, perché hai fatto questo?» Sussurrai tra me e me.

Guardai attentamente i fogli sulla scrivania e trovai dei strani calcoli matematici, sembravano dei debiti da pagare.

Chi doveva pagare?

«Signorina, cosa ci fa qui?»

Mi voltai di scatto e vidi un uomo sulla trentina raggiungermi, avvolto in uno smoking nero con un cappotto coordinato.

Sbuffai scocciata non capendo chi fosse e cosa voleva da me.

«Lei chi è?» Domandai con una nota evidente di rabbia.

«Sono il detective Jones, lei sta occultando delle prove.» Esclamò ricambiando il mio disprezzo.

Assottigliai lo sguardo e mi avvicinai, mi irritava che un uomo dello Stato si credesse così importante da decidere sulla mia persona, avevo più diritto di qualsiasi altra persona nel stare in quella casa e non sarebbe stato un detective da strapazzo a buttarmi fuori.

«Io sono la figlia della vittima e se permette, avrei cose più importanti da sbrigare che discutere con un estraneo!» Sputai inviperita.

«Come si chiama?» Mi chiese prendendo un taccuino dalla tasca del suo cappotto.

«Eve Roberts, ora posso continuare a fare quello che stavo facendo o vuole verificare se possiedo qualche arma?» Chiesi con ironia e anche con un po' di presa in giro.

Si avvicinò ad un palmo dal mio viso e di riflesso mi allontanai infastidita.

«Stia attenta a come parla, le consiglio di parlare di meno se non vuole finire al fresco stanotte.» Sussurrò senza alzare minimamente la voce e senza far trapelare alcuna emozione.

SegretoWo Geschichten leben. Entdecke jetzt