Capitolo 3 - Gloria? -

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Passata la notte, decido che questo sarebbe stato il giorno, il giorno in cui dirò tutto. Non dovevo aspettare. Le luci dell'alba mi accecano per qualche secondo, come al solito non ho dormito. Deve accadere oggi. Si. Con uno scatto mi alzo dal letto e faccio tutto quello che devo fare: pulizie, ridecorare la casa, arredare la mia casa a mio piacimento e poi colazione. Alzo lo sguardo verso l'orologio a pendolo, sono le 09:00. Prendo un foglio e incomincio a scrivere la lista di cose da fare.

- Jogging

- Chiamare Alan e Anthony

- Provare un cibo tipico di New Orleans

- RIVELAZIONE!!

Ok. Posso farcela. Con addosso un completo sportivo - che mi rende molto sexy tra l'altro - esco di casa e incomincio a correre. La musica EDM entra nelle mie orecchie e si diffonde nel mio corpo tramutata in energia. Ho sempre pensato alla musica come un rifugio per me. Dopo qualche minuto mi accorgo che sto correndo troppo velocemente per un'umana. Riprendo la corsa umana e mi giro dietro, sono passati pochi minuti e ho percorso dieci chilometri. Ma chi se ne frega. Riprendo la corsa, cercando di non perdermi per le strade di New Orleans.
Sono passate quattro ore e non riesco a smettere di correre. Ho un nodo alla gola, una grande pietra si è appoggiata sul mio petto. L'ansia. Vecchia bastarda, non mi sei mancata per niente. Devo correre, ripercorro il percorso all'indietro.
Se fosse stata una brutta idea?
Assolutamente no, non devo cambiare idea, non adesso. Solo il destino sa la risposta a questa domanda. Per diciannove lunghissimi anni ho desiderato con tutto il cuore di avere un padre, un altro genitore che mi doveva stare accanto in qualsiasi situazione. Il desiderio di avere un padre cresceva di giorno in giorno sempre di più dalla morte di mia mamma. Poi John mi ha salvato, ma quella sensazione di bisogno paterno, non se ne è mai andata. Ogni giorno mi chiedevo: <<Perché me li hanno portati via?>>, ma ora eccomi qui. Apro la porta di casa e mi butto in doccia, decido di mettermi una cosa non troppo elegante: una maglia bianca, un jeans e il mio amatissimo giubbino di pelle. Tutti gli scenari possibili mi attraversano nella mente, il mio istinto dice che non andrà a finire bene e di solito non sbaglia mai. Ora vi chiederete perché io lo faccia nonostante il mio istinto dica di non farlo. Perché io sono così: combatto contro il mio istinto pessimista da una vita, per dimostrargli che si sbaglia, che non tutto deve finire in modo tragico.
Andrà tutto bene
Dopo essermi vestita, prendo lunghi e profondi respiri ed esco di casa.
<<Alexandra>>
<<Dottoressa>>
<<Come stai?>>
<<Sto bene>> dico guardandola negli occhi. Dio! Ha fatto di nuovo quell'espressione odiosa. Sta cercando di capire i miei sentimenti.
<<Dimmi la verità Alexandra>>
<<Vuole la verità dottoressa?>>
<<Certo>>
<<La verità è che ho capito di essere cattiva>>
<<In che senso tesoro mio?>>
Mi alzo di scatto.
<<Nel senso che io sto alimentando la mia parte oscura non quella buona, non so come fermarmi! E non mi chiami tesoro!>> urlo.
<<Va bene, ora siediti>>
<<Non dirmi cosa fare>>
<<Sta calma Alexandra>> si è alzata anche lei, le sue mani sono sulle mie spalle.
<<Non ci riesco>> dico sedendomi. La mia mano sta sanguinando.
<<Mi ascolti?>> annuisco.
<<Ora ti insegno una cosa>>
<<Per?>> chiedo in tono brusco.
<<Per aiutare a controllare la tua ansia e la tua rabbia, poi dopo parliamo di quello che hai detto prima>>
<<Okey>> dico quasi in un sussurro.
La mano sul mio petto sembra riscaldarmi il cuore. La dottoressa sarebbe fiera di me, la sto gestendo in modo grandioso. I miei respiri sono regolari e profondi. Sto camminando verso la grande e possente casa con una "M" sul cancello dove sono passata facendo jogging. E' il momento.
<<Tu non sei una persona cattiva Alexandra, sei una persona a cui sono capitate cose cattive e brutte. C'è una bella differenza tra le due>>
Entro dentro il cancello e mi avvio verso la porta. Devo...bussare?
La porta è aperta. Entro di nascosto e spero con tutte le mie forze che non mi prendano per una ladra. Sento delle voci.
Mi nascondo dietro a uno dei pilastri, la villa è davvero grande, sembra di più un palazzo però. Un uomo di colore è al centro della sala open space e ha lo sguardo verso qualcuno che non riesco a vedere. Sento i battiti di sette persone.
<<I turisti calano, Kol non può lasciare cadaveri per le strade di New Orleans!>>
Ho capito chi è l'uomo che parla! Ringrazio la me secchiona. Entro in scena, con un gesto delle dita spezzo il collo di Marcel ed esco dall'ombra.
<<Povero Marcel, non capisce che comandano i Mikaelson nel quartiere francese>>
Sussulto e sbarro leggermente gli occhi. Il mio sguardo si posa di fronte a me. C'è l'uomo del dipinto.
Mio padre. L'ibrido.
Giro lo sguardo e noto con grande piacere che ho davanti tutti i Mikaelson, non riesco a riconoscerne due però. Una delle due è una ragazza che avrà all'incirca quindici anni. I suoi capelli rosso ramato si potrebbero notare da un miglio. Assomiglia tanto alla donna accanto a lei.
Hope? La mia sorellastra!
<<Ma che fai?>> chiede urlando Kol, ma viene trattenuto da una donna che presumo sia Rebekah.
<<Gloria?>> ha appena detto il nome di mia madre?
Mi...mi ha riconosciuto?
<<Gloria Barker?>> domanda Rebekah.
<<Sono sua figlia>> ok! Non ho balbettato!
<<Che ci fai qua?>> chiede un uomo con indosso un completo. Elijah. Se ve lo state chiedendo, si, ho fatto i compiti.
<<Mia madre è morta>>
Un brivido percorre la mia schiena come un fulmine, ci stiamo guardando dritti negli occhi.
<<Non ho mai conosciuto mio padre->>
<<Non vogliamo sapere la storia della tua vita vogliamo sapere chi cazzo sei!>> urla Kol, interrompendomi.
Non mi scompongo.
<<Fammi parlare, per favore>> dalle loro facce deduco che sono rimasti stupiti dalla mia calma.
<<Mia madre mi disse che mio padre morì a causa dei vampiri>>
<<Cazzate>> continuo
Guardo dritto nei suoi occhi.
<<A quanto pare sono tua figlia>>
Bomba. Silenzio. MERDA!
Abbasso lo sguardo, sento qualcosa che fa meno male di un pugnale nel petto. La sua risata. Alzo lo sguardo e li guardo tutti. Lui ride sonoramente mentre gli altri hanno abbassato lo sguardo e ridono "sotto i baffi". Sembra che io abbia detto la cazzata del secolo per tutti, tranne per Elijah. Mi sta guardando, sta cercando di capire se mento o no.
Rimango impassibile, come se nessuna emozione mi toccasse.
<<Come lo spieghi questo?>> chiedo rivolgendomi a Klaus.
Mostro i miei occhi da Ibrido. Tutti zitti. Ora non ridono più.
<<Quanti anni hai?>> chiede Elijah.
<<Quasi venti>>
Sposto lo sguardo su Klaus e vedo la sua espressione, quella arrabbiata che sicuramente lo rende famoso come "Il Grande Male".
<<Tu non sei mia figlia!>>
<<Niklaus!>>
<<Io non ho un'altra figlia! Sei solo una stupida orfana che cerca una famiglia, io non voglio un'altra figlia!>>
Le urla sembrano rimbombare dentro il mio corpo. Ho la nausea. Avevo immaginato tutti gli scenari possibili, ma non avevo immaginato questo. Ho fatto una delle mie stronzate. Dovevo rimanere a casa mia, a casa con Alan e Anthony, con John, con tutto il branco. Non riesco a dire niente. Hope prende parola.
<<Quindi io e te siamo...siamo sorellastre?>>
<<Credo di si>>
Mi sorride e quel sorriso mi da un po' di conforto. Accenno un mezzo sorrisetto. Mi giro e mi avvio verso la porta. Prima di uscire mi giro.
<<Ci vediamo presto sorella>>
Intenta ad uscire, sento di nuovo la sua voce.
<<Lei non frequenta persone che non conosco>>
Ora basta. Ritorno davanti a lui e con tutta la rabbia che ho in corpo gli dico: <<Non vuoi fare il padre? Va bene! Ma nessuno ostacolerà il rapporto che avrò con mia sorella>>
Alzo l'indice e lo indico. <<Nemmeno tu!>>
La rabbia, sta arrivando. Devo uscire di qui.
<<Noi non abbiamo finito ragazzina>>
Stringo i pugni ma non mi giro.
<<Hai detto abbastanza, non credi?>>
Sto per cedere, non sono abituata a cedere davanti alle persone.
Uscita da quella maledetta casa, inspiro l'aria gelida di New Orleans e mentre mi allontanano correndo senza volerlo sento la voce di Hope.
<<Papà! Perché?>>

Alexandra Mikaelson - the eldest childDove le storie prendono vita. Scoprilo ora