Capitolo 47 - Non comanda il cuore.

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Dopo la sera precedente, il mio rapporto con Kyle sembrava essere migliorato di gran lunga.

Sembrava che tutto fosse tornato alla normalità, con noi che non facevamo altro che indispettirci a vicenda e gli altri che ci osservavano divertiti.

Era come se fossimo ritornati alle origini.

Eppure, dentro me, sapevo benissimo che erano cambiate molte cose.

Ad esempio, i sentimenti che nutrivo verso di lui.

Sapevo benissimo ciò che accadeva dentro di me ogni qual volta che lo avevo vicino, ogni qual volta che i suoi occhi si incrociavano con i miei e mi guardavano in quel modo... talmente intenso.

Sapevo bene che, oramai, era inevitabilmente in ogni mio pensiero, come se fosse un punto indelebile dentro la mia mente che non riuscivo a cancellare, nonostante ci avessi provato più e più volte.

Se ripensavo alla prima volta in cui mi fossi scontrata con lui, sorridevo.

Era assurdo il modo in cui il nostro rapporto fosse radicalmente mutato.

In quel momento, avrei voluto polverizzarlo con lo sguardo e farlo sparire dalla faccia della terra.

A distanza di pochi mesi invece, sapendo che da lì a poco avrei dovuto salutarlo - ahimé - ero consapevole del fatto che mi sarebbe mancato da morire.

Ma, nonostante ciò, restava ugualmente il ragazzo più irritante e stronzo esistente sulla faccia della terra.

Riusciva a far scattare i miei nervi in meno di un minuto come, per l'appunto, stava accadendo in quel momento.

Dopo aver pranzato con i miei amici al Mc Donald's mi era venuto un forte mal di testa, a causa del casino che quei matti causavano ovunque andassero, decisi quindi di voler rimanere un po' in pace e in tranquillità.

Mi rinchiusi all'interno della biblioteca del campus con l'intenzione di leggere e studiare qualcosa tramite i miei appunti di letteratura.

Poteva sembrare stupido, dato che il giorno dopo avrei dovuto abbandonare per un po' quel posto, ma ciò non voleva dire affatto che avrei dovuto gettare in aria tutti i sacrifici che sia io sia mia madre avevamo fatto per l'università; ciò non voleva dire che avrei dovuto rinunciare a studiare.

Anche perché, comunque, non l'avrei fatto mai.

Non volevo sprecare nulla.

Ma, tralasciando ciò, la mia tranquillità non durò a lungo, poiché venne interrotta da qualcuno, da lui, che si sedette di fronte a me, poggiando poi i gomiti sul tavolo di ciliegio.

«Cosa fai?» mi domandò, sollevando entrambe le sopracciglia.

Alzai per un momento gli occhi e lo guardai confusa.

Insomma, mi sembrava strano avere una conversazione normale con lui, poiché non c'era mai stata. Mai. Fin dal primo giorno.

Non avevamo mai parlato o chiacchierato del più del meno come fanno le persone normali, anche perché ero certa che in noi di normale non ci fosse nulla.

Anche se, in ogni caso, nessuno stabiliva il limite di normalità.

Ma quella era un'altra storia.

Nonostante ciò, però, non diedi voce ai miei pensieri e mi limitai a rispondere: «Uhm, niente di particolarmente interessante».

Lui, per tutta risposta, si allungò verso di me, lungo il tavolo e quando captai la sua esagerata vicinanza cominciai ad entrare in iperventilazione.

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