Capitolo 25 - Lotta tra ragione e istinto.

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Inutile dire che il giorno dopo avevo le sembianze di uno zombie che sembrava essere appena uscito da una puntata di The Walking Dead.

Delle borse violacee e scure contornavano i miei occhi e, nonostante avessi tentato di coprirle con una buona dose di fondotinta e correttore, non avevo ottenuto i risultati che mi aspettavo.

La notte prima era stata distruttiva per me, per il mio umore e per la mia mente che stava perdendo sanità.

La lucidità, invece, era finita in coma.

Dopo essermi vestita con estenuante lentezza, perché mi ritrovavo ad essere svogliata come mai prima di allora, riuscii finalmente ad uscire dalla mia camera con al mio fianco Sharon.

Avevo bisogno che dentro al mio corpo scorresse una buona percentuale di caffeina o non ero sicura di farcela, probabilmente sarei finita con l'addormentarmi sul banco dell'aula.

«Sembri un cadavere, Ally. Sei messa davvero male», osservò la mia migliore amica.

La guardai male. «Grazie mille, questo si che mi fa sentire meglio», borbottai ironica.

Lei ridacchiò e mi prese a braccetto, per poi avviarsi verso la caffetteria del campus.

Io mi sedetti: ero già stanca e non avevo camminato nemmeno moltissimo.

E lei, fortunatamente, mi fece il favore di prendere per me l'ordinazione e di portarmi al tavolo un piccolo muffin al cioccolato e una gigantesca tazza di caffé caldo e fumante.

La adorai, in quel momento, nonostante le parole di prima.

Mangiucchiai velocemente e poi, notando che si era fatto tardi, mi alzai con ancora il bicchiere contenente la mia bevanda tra le mani e mi avviai insieme a lei verso l'aula di psicologia.

Almeno ero stata un po' fortunata sotto questo punto di vista: sopportare una lezione del professor Hilton non era poi così male come inizio, né così complicato.

Parlò ininterrottamente per tutta l'ora e così fecero anche gli altri insegnanti durante le cinque ore successive.

Alla fine dell'ultima ora, che mi ritrovavo nell'aula di letteratura, Mrs Rose ci informò del fatto che di lì a breve sarebbe cominciato il corso extracurriculare.

Saremmo andati nelle scuole elementari così da poter stare a contatto con i bambini.

Io li amavo, amavo tutto di loro: la spensieratezza, la voglia di imparare sempre cose nuove, la dolce ingenuità, l'immaginazione... ogni cosa che li caratterizzava.

Eppure sapevo che al mondo nulla era come sembrava, che i bambini potevano essere più intelligenti di quanto sembrassero, che riuscivano a capire alcune cose meglio degli adulti, che avevano concetti non del tutto sbagliati in mente seppur ingenui.

E, un giorno, avrei voluto aiutarli tutti.

Capire la mente umana era la cosa che più mi affascinava al mondo, tanto più quella dei bambini.

Io, perciò, interessata al progetto, le andai a parlare immediatamente, seppur mi fossi già iscritta in precedenza e mi informò del fatto che si sarebbe svolta la prima visita tra qualche giorno, forse la prossima settimana.

Perciò, elettrizzata più che mai dopo quella notizia, uscii dall'aula ponendo fine alle lezioni di quella giornata.

La mia intenzione, dunque, era quella di andare a riposarmi un po'.

Ma, naturalmente, la mia migliore amica amava fare in modo che ogni mio piano fallisse.

Quando arrivammo in camera dove posammo la borsa con dentro i milioni di quaderni e appunti, si sedette sul mio letto e mi guardò dritta in faccia con un'espressione totalmente comica stampata in viso.

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