Capitolo 35 - Los Angeles.

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Stavo giocherellando con il bracciale legato non solo al mio polso, ma anche al mio cuore, contemplandolo in tutto il suo splendore.

Era una meraviglia, mi ero legata molto a quell'accessorio, che poteva sembrare stupido essendo pur sempre un oggetto, ma aveva un valore enorme per me.

Assurdo come le vacanze, che non erano iniziate proprio nel migliore dei modi, alla fine si fossero evolute per il meglio, regalandomi tanta malinconia all'inizio quanta gioia alla fine.

Il resto dei giorni, dopo il Natale, erano andate alla grande.

E, quando tutti tornarono alla propria vita e restai da sola con mia madre e mia nonna, io e i miei amici cominciammo a fare il conto alla rovescia: non vedevamo l'ora di passare il capodanno a Los Angeles, una delle città più belle e calde della California.

Amavo il clima che si respirava lì, nonostante non andassi pazza per il caldo afoso che caratterizzava perennemente quella città.

La cosa più bella era la grande distesa d'acqua che si poteva ammirare da quasi ogni angolo, l'oceano era fantastico e su questo nessuno poteva ridire nulla, tantomeno io.

«Siamo arrivati, finalmente», sentii sospirare Sharon che era seduta sul sedile anteriore, accanto al nostro Trevor.

Mentre io mi trovavo accomodata tranquillamente su quello posteriore.

Alzai gli occhi e guardai al di fuori del finestrino.

Inutile dire che rimasi a bocca aperta: la casa di cui parlava Paul, che lo zio gli aveva concesso per le vacanze, non era affatto una semplice casa che si affacciava sulla spiaggia dorata.

Era molto di più. Sembrava quasi una reggia.

La grandezza era sbalorditiva, mi chiesi quante persone ci abitassero generalmente, perché sembrava poter ospitare almeno una trentina di persone e forse - anzi, sicuramente - anche più.

E poi la bellezza esterna era indescrivibile.

Non osai immaginare come fosse all'interno.

Scendemmo dall'auto e chiudemmo gli sportelli tutti e tre contemporaneamente.

«Wow», mormorò Sharon.

«È una figata», contemplò Trevor.

Vidi una figura che si avvicinava verso di noi a passo svelto e quando i miei occhi riuscirono a mettere a fuoco notai che si trattasse proprio di Paul, che sorrideva.

Quando ci raggiunse, la prima cosa che fece fu abbracciare Sharon e sollevarla da terra, per poi farle fare una giravolta in aria.

«Mi sei mancata», disse lui e la mia migliore amica sorrise a trentadue denti, per poi stampargli un dolce bacio sulle labbra, facendo distogliere lo sguardo sia a me che al mio migliore amico.

Poi, Paul passò a salutare anche noi, me con un rapido abbraccio, Trevor con una stretta di mano amichevole.

«Benvenuti, vi piace il posto?» ci chiese subito dopo.

«Amico, è stupendo», esclamò Trevor facendo ridere il biondo.

«Mio zio non bada a spese, su, andiamo... vi aiuto a portare i bagagli», disse, per poi aiutare Trevor con le valigie.

Fecero qualche commento sul fatto che dovessimo stare meno di una settimana e che, di conseguenza, non c'era bisogno di portarsi l'intera casa dietro - secondo loro -.

Ebbene, eravamo pur sempre due ragazze, avevamo bisogno di portarci dietro un bel po' di roba.

E quelli a pagarne le conseguenze erano sempre i ragazzi, a cui toccava trascinare i nostri pesi, che non erano affatto leggeri come una piuma.

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