Capitolo 8 - Comportamenti strambi.

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«Hai idea di quanto io odi questa materia?», sbuffò Sharon, mentre vagavamo per il campus dirette alla lezione successiva.

Tenevo i libri stretti al petto e scrollai le spalle. «Io la amo invece e Mrs Browne è molto simpatica», dissi mostrandomi in disaccordo con lei.

Anche su questo eravamo molto differenti. Non le piaceva tentare di capire le persone, al contrario mio, i misteri della mente umana non la intrigavano più di tanto, nemmeno se esposti sottoforma di filosofia.

Io, la trovavo meravigliosa.

Lei scosse la testa fortemente e mi prese sottobraccio. «Vabbe', odio a parte, mi tocca seguire le sue lezioni. Perciò andiamo, non possiamo arrivare in ritardo», esclamò e mi trascinò con sé velocizzando il passo.

Ridacchiai: era fatta così. Nonostante qualcosa non le andasse particolarmente a genio s'impegnava comunque, puntando al massimo e - in un modo o in un altro - raggiungendolo.

Arrivammo nel giro di dieci minuti davanti l'aula e quando varcammo la soglia notai che era ancora quasi vuota.

Soltanto alcuni studenti si trovavano seduti nei primi posti a leggere alcuni appunti o parlottare a bassa voce tra di loro.

Guardai l'orologio sul mio polso e notai che eravamo in anticipo: era sempre così che accadeva con la bionda maniaca della puntualità al mio fianco.

Ci sedemmo nei posti al centro, né troppo lontani dalla cattedra né troppo vicini e posai sul banchetto di fronte a me il raccoglitore per gli appunti.

Altri studenti cominciarono a fare il loro ingresso ma non feci caso a nessuno di loro.

«Guarda com'è combinata quella lì», mormorò Sharon avvicinandosi al mio orecchio e indicandomi con un cenno del capo la direzione da guardare.

Vidi una ragazza con i capelli color verde vomito, vestita di nero e borchie da capo a piedi, che metteva una certa soggezione solo a guardarla, raggiungere altri ragazzi dallo stile dark seduti in fondo.

«E beh?», domandai.

«Non mi farei mai vedere in giro conciata così, come si fa?», fece lei.

Scossi la testa. «Ognuno è libero di far ciò che vuole, Shar», obbiettai.

«Senza dubbio, solo che non capisco che motivo ci sia di combinarsi in questo modo. Sembra che le abbiano dato un pugno su entrambi gli occhi, con tutto quell'ombretto nero che li circonda», osservò.

Ridacchiai leggermente, mettendomi la mano davanti la bocca.

Era straordinaria. Non giudicava, non insultava chi era diverso da lei, non l'avrebbe fatto mai, semplicemente non riusciva a capire certe cose e non poteva fare a meno di commentare tutto ciò che vedeva e le sembrava, in qualche modo, strambo.

Nonostante lei stessa dicesse che la normalità è soggettiva, che nessuno poteva permettersi di accusare qualcun'altro di essere strano.

Ad un tratto, due figure si sedettero accanto a me e alla mia migliore amica.

«Paul?», esclamò lei sorpresa.

Mi voltai nell'altra direzione e spalancai gli occhi.

«Kyle?», esclamai io guardandolo seduto al mio fianco.

Loro ci guardarono divertiti e risero.

«Bellezze», disse Paul, posando un braccio sul retro della sedia di Sharon.

«Che diavolo ci fate qua?», chiesi facendo una smorfia.

«Non sei contenta di vedermi, angelo?», mi stuzzicò Kyle ed io gli mollai una gomitata allo stomaco.

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