Capitolo Trentasettesimo

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MICHAEL'S POV


Fa fresco questa sera e mi ritrovo a ringraziare la felpa rossa che mi sono messo, sia per aver raccolto le brutte macchie di tinta che sfortunatamente mi sono cadute sul tessuto, sia per tenermi caldo nel momento del bisogno. Trovo sia assurdo che faccia freddo, qui fa sempre caldo, e non esagero se dico proprio sempre, era da almeno un anno prima di oggi che non mi trovavo costretto a dovermi stringere le braccia contro il petto. Ma forse non è solo quello a farmi quest'effetto.

Bethany non vuole sparire dai miei pensieri, dai miei sogni e dalla mia vita. E sì, mi manca. Mi manca il modo in cui mi sorrideva, facendo luccicare i suoi occhi scuri; mi manca come saltella quando è felice o eccitata, nonostante lei pare non notarlo; mi manca la sua concentrazione, quando fissa un libro in modo talmente tanto attento che pare bucarlo con lo sguardo, perché in quei momenti è più bella che mai, con le ciocche di capelli che le cadono distrattamente lungo la guancia. E mi manca baciarla, il modo innocente con cui iniziava a sfiorarmi le labbra e quello più passionale con il quale continuava, sorridendo sempre prima di staccarsi un attimo; mi manca il suono dei nostri baci e il gusto dolce di lampone che hanno le sue labbra.

Il cuore mi si stringe e io passo la mano tra i capelli, tirandomi leggermente le punte per distrarmi da questi pensieri distruttivi. È stato giusto così, se Beth avesse sentito le parole di Ashton mi perdonerebbe, magari mi capirebbe. Parlava così bene, con così tanto trasporto di lei, come se per lui Bethany fosse una principessa da conquistare, il più grande piacere della sua vita, e ogni volta che si metteva a sognare su di lei, a raccontarmi cose che non avrebbe mai detto a nessuno se non al suo migliore amico, un'enorme senso di colpa mi stringeva il cuore e faceva barcollare il senso di stabilità che con Ashton ho costruito mattone per mattone negli ultimi due anni. E io ho bisogno di stabilità, la mia vita ne ha bisogno.

È tardi quando la vedo uscire dal Paradiso. Già, non ne vado molto fiero, ma aspetto ogni sera di vederla uscire dal Paradiso, e ogni pomeriggio di vederla entrare, e ogni qual volta che posso cerco di sapere dov'è. Resto dietro l'albero, il cappuccio della felpa calato sui capelli tinti da poco e aspetto che superi il punto in cui sono prima di ritornare a guardarla. Seguo i suoi passi con lo sguardo, appoggiando il capo al tronco dell'albero e sospiro piano, osservando le curve del suo corpo. È l'unica cosa che Ash vuole, desidera poterla amare, forse come desidero farlo io. Ma se fossi io quello che stesse con lei le cose non andrebbero sicuramente a finire bene.

Vado in Paradiso e ci rimango per una mezzoretta circa, poi mi stufo e mi incammino verso i dormitori. Lei non c'è più e questo posto ha perso il suo fascino senza la sua presenza.

Allungo la strada, sperando di trovare Ashton già addormentato (d'altronde è quasi l'una del mattino) e gironzolo un po' per i corridoi sentendo a volte vari suoni per niente innocenti.

E quando arrivo alla mia camera trovo l'ultima cosa che mi sarei potuto aspettare: Bethany si è addormentata contro la parete alla destra della porta, la testa ciondolante e la borsa stretta alla pancia. Ma soprattutto un ragazzo è inginocchiato accanto a lei e le sfiora delicatamente la spalla.

«Che stai facendo?» domando a bassa voce camminando verso di loro. Il biondo si alza in piedi, scuotendo leggermente la testa e allontanandosi di un passo da lei.

«Stavo passando poco fa e l'ho trovata addormentata così. Mi sembrava brutto lasciarla qui quindi volevo svegliarla» ma a me Beth non sembra proprio propensa a svegliarsi.

«Oh» dico solamente. Resto a fissarla mentre il ragazzo guarda me, come a domandare "Allora? Cosa devo fare? Posso andarmene visto che sei arrivato tu?"

Multicolor || Michael CliffordWhere stories live. Discover now