Capitolo Trentaseiesimo

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Stare qui da sola, senza nemmeno una minima voglia di compagnia mi logora l'anima. Semplicemente avere un contatto umano con qualcuno, in questo momento, non è nelle mie corde.

Michael sparisce, lo vedo solo di rado alle lezioni di astronomia ma arriva sempre in ritardo per non sedersi accanto a me e scappa appena l'ora finisce, scomparendo oltre la porta della classe. Ho quasi perso la speranza, non provo nemmeno più a rincorrerlo, nemmeno a parlargli perché tanto so che mi ignorerà.

E ora sono qui, in Paradiso, seduta a gambe incrociate su una panca a fare i compiti. È decisamente orribile la sensazione che provo a non potergli nemmeno più parlare, e anche i miei amici hanno notato il mio cambiamento. Calum dice che non dovrei struggermi così tanto per lui, che sono una persona troppo solare per farmi condizionare da una cosa di questo tipo, ma non posso farci niente se adesso sto male come se mi avessero frantumato il cuore, come se fosse un vaso di cristallo in un paio di mani distratte.

E sono troppo distratta per riuscire a fare i compiti, adesso. Appoggio il viso sul libro, un respiro carico di stanchezza e angoscia lascia le mie labbra mentre una nuova ondata di tristezza mi avvolge il corpo.

Fisso l'entrata del Paradiso. Magari ora entra, magari ora viene qui vicino a me e mi stringe in un forte abbraccio, magari ora tutto quello che è successo nel giro dell'ultimo mese sparisce, lasciando carta bianca sulla quale scrivere cose decisamente più belle di quelle che sono accadute nella realtà. Ma non accadrà niente, nulla di nulla, e io rimarrò semplicemente qui a cercare di fare i compiti e a non piangere.

Ma sono distrutta, inutile negarlo. Inutile mentire ormai: sono innamorata di quello stupido ragazzo dai capelli verdi scoloriti che mi ha spezzato il cuore.


Quando diventa sera ignoro le chiamate dei ragazzi, dei sicuri inviti a cena, e rimango a stomaco vuoto a guardare le stelle, come quella sera. Trovo la stella di Michael, piccola e poco luminosa, e provo ad immaginarmelo ancora al mio fianco mentre parla e mi stringe la mano, mentre spiega quanto quella stelle sia importante per lui. Ma dovrei smetterla, sicuramente, perché a certi pensieri il cuore non risponde bene.

Quindi la smetto seriamente, guardo le stelle in silenzio, senza pensieri per la testa. È solo spirito di autoconservazione, penso, si cerca di evitare quello che fa male.

Ma non seguo molto questo metodo quando mi alzo e, prendendo le mie cose, inizio a camminare diritta verso i dormitori maschili. Tanto in camera mia ci sarà sicuramente Luke, mezzo addormentato e mezzo ubriaco perché Molly e Calum l'avranno sbattuto felicemente fuori. E non ho proprio voglia di stare affianco ad un locomotiva che dorme mentre io non ci riesco.

Stringo la cinghia della borsa a tracolla, aprendo la pesante porta di vetro che fa da ingresso. Salgo gli scalini, percorro un paio di corridoi (perdendomi leggermente) e poi busso alla porta numero 516. Non so cosa mi aspetto, diciamo solo che non sentivo nemmeno le gambe muoversi mentre venivo qui, non le sento neppure adesso che aspetto pazientemente che qualcuno mi apra.

«Ciao Beth» Ashton sbadiglia, socchiudendo gli occhi e tenendosi alla porta con la mano «Mi dispiace informarti che non lo vedo da stamattina» fa lui.

Mi sento quasi in colpa. Ormai passo da lui quasi solo per sapere se ha visto Michael, se gli ha parlato o qualcos'altro, e se fossi nel ricciolo non so quanta pazienza avrei ancora per me.

«Ti voglio bene Ashton» dico facendo un passo avanti. Forse ho le lacrime agli occhi, forse mi tremano le mani e forse quello che ho appena detto è dato da un senso di colpa, ma è la verità.

«Bethany, anch'io ti voglio bene» risponde lui, accigliandosi e svegliandosi leggermente «Come stai?» chiede.

«Sto bene» rispondo automatica «Mi dispiace tanto Ash»

«Ma per cosa?» domanda lui. Con le mani mi sfiora le spalle, sorridendomi «Come stai?» ripete.

«Non bene» rispondo con un groppo in gola «Ma è così. Ashton, sono stanca» continuo.

Sorride tristemente tirandomi in un abbraccio e io affondo il viso nel suo collo: il profumo non è paragonabile a quello di Michael, ma mi tranquillizza ugualmente un pochino.

«Sarà almeno mezzanotte, forse di più» mi dice a lui all'orecchio «Dovresti tornare in camera a dormire»

«Non ci riesco» mi sembra quasi di singhiozzare contro la sua pelle «Ho gli incubi la maggior parte delle notti»

E mi sembra un segreto inconfessabile, come se ridursi così per un ragazzo sia fin troppo esagerato da dire ad alta voce «Torna a dormire Bethany, ti prego, andrà tutto bene e farti una bella dormita ti aiuterà sicuramente»

Sospiro un'ultima volta contro il suo collo. Ho i nervi a fior di pelle, agitata come non mai e con il cervello fuso «Ok. Ti voglio bene»

Mi allontana e mi guarda, come a chiedersi se io stia bene oppure no, come a chiedersi cosa mi turbi ancora così tanto dopo almeno tre settimane, ma la stanchezza sembra essere decisamente più forte, così mi bacia la guancia, mi stringe un'ultima volta e mi dà la buonanotte.

«Va' a dormire, per favore» mi dice, guardandomi ancora una volta prima di chiudere delicatamente la porta. Abbasso lo sguardo, passandomi una mano tra i capelli e sospirando. Ash ha ragione, dovrei dormire.

Mi stringo le braccia al petto e mi appoggio con la schiena alla parete alla destra della porta, le gambe non hanno la minima voglia di rimettersi a camminare. Mi abbandonano piano piano, facendomi lentamente scivolare per il corridoio poco illuminato finché non mi ritrovo seduta a terra a stringermi la borsa sulla pancia.

I piedi non hanno abbastanza energia adesso, e io non ho voglia di tornare in camera. Lo aspetterò qui, dovrà tornare per forza per dormire, e lo voglio vedere.

Questa sensazione, chiamiamola anche certezza, mi fa sorridere e io butto la testa all'indietro contro il muro, prendendo un respiro per calmare il mio cuore. È da due giorni che dormo male, malissimo la notte, e so che se riesco a calmarmi la stanchezza si sentirà di meno.

Ascolto il silenzio, a volte spezzato da qualche rumore proveniente dalle camere dei dormitori (alcuni si posso immaginare, si può dire solamente che sono in compagnia) e uno strano torpore inizia a scaldarmi le braccia e le gambe mentre le palpebre cadono. Michael deve arrivare, deve venire prima che mi addormenti. Forse era il caso di andarmene, di tornarmene in camera, ma questa vicinanza platonica con Michael mi tranquillizza da morire.

Il mondo oltre i miei occhi ondeggia e sfuma, contagiato dalla notte e dal sonno. E Morfeo mi coglie nel momento in cui non vorrei mai cadere nelle sue mani: quando l'ombra di un ragazzo oscura la luce del corridoio. 


Ok, sono abbastanza compromessa in questo momento. Per me la grammatica è piuttosto importante (almeno quella di base), anche nei messaggi normali (lo so, è strano ma per me è così) quindi spero capiate quanto ci sia rimasta male quando un mio compagno mi ha scritto, una decina di minuti fa "Ciao.domani ti posso parlarti?" e vi giuro, stavo per buttare il telefono fuori dalla finestra per non dover più vedere quelle parole.  Ma, tornando al capitolo, spero che vi sia piaciuto nonostante non succeda molto. Alla prossima, spero sia ancora interessante per voi la storia <3

Multicolor || Michael CliffordWhere stories live. Discover now