XXI

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Quella scena... lui su un letto d'ospedale, con la vita in mano ad un macchinario, in bilico tra il vivere e il morire. Io quella scena la rivivevo ogni minuto. Stavo diventando matta. Mi stavo quasi arrendendo, non avevo quasi più nessuna speranza, quella scena me le aveva spezzate tutte. Quelle parole me le avevano spezzate tutte:                                                                - " Signorì dalla prossima ora in poi, vivi anche per lui. Per lui confidiamo in un miracolo. Devi vivere da adesso in poi per due, per te e per lui. Mi hai capito? ".
Queste furono le parole del primario del reparto di terapia intensiva del Cardarelli, me le aveva dette con le lacrime agli occhi.
Io, che avevo sempre combattuto contro tutti e tutto, con un carattere molto forte, mi stavo facendo abbattere da quelle parole.
Trascorsi i giorni che seguirono come un vegetale, non sentivo neanche più l'esigenza di mettere qualcosa sotto i denti, avevo perso diversi kg, e mi ero presa una pausa dal lavoro,anche a scuola i professori avevano capito che c'era qualcosa che non andava, ma non facevano domande, nessuno faceva domande, forse la mia faccia diceva tutto. Chissà.
Quando ormai avevo perso tutte le speranze, e non mi rivolgevo nemmeno più a qualcuno lassù in alto, dopo 32 giorni e 17 ore, arrivò una chiamata. La chiamata.
Ero a scuola, quarta ora in palestra. Ero uscita in cortile per prendere una boccata d'aria, quando mi iniziò a vibrare il cellulare.
Era Lucia, sua cugina, la stessa che mi aveva accollato la responsabilità dell'incidente.
- " Carla, sei a scuola? Sei seduta? Ti volevo dire che Francesco si è appena svegliato. Però deve riprendersi, ci vorrà tempo, sarà difficile."
Non ci potevo credere, era successo, si era svegliato, l'amore della mia vita aveva ripreso a vivere. Piangevo come una disperata, ma di gioia finalmente. Entrai in palestra a chiamare kekka per dirglielo, stava ormai aspettando anche lei quella chiamata, lei ci sperava ancora.
Si era svegliato. Avevo sentito solo quello, per me aveva importanza solo quello. Non avevo però dato importanza al resto del discorso che Lucia mi aveva fatto. Quando poi raccontai tutto a mia mamma, lei mi spiegò cosa volessero dire in realtà quelle parole.
"Ci vorrà tempo, sarà difficile".
Francesco aveva battuto la testa, aveva subito un'operazione, ed era entrato in coma subito dopo. Le probabilità di una ripercussione a livello celebrare erano molto alte. Questo volevano dire quelle parole, ma io a 16 anni non le avevo capite, non ci ero arrivata.
Mi precipitai in ospedale, dovevo vederlo, riabbracciarlo, tornare a respirare il suo odore che per 32 lunghissimi giorni mi era mancato come l'aria. Per me importava solo quello, poterlo rivedere, accertarmi che fosse sveglio, che fosse vivo, era importante solo quello.
Quando arrivai in ospedale però capii quanto fosse veramente difficile la ripresa. Non aveva avuto nessuna ripercussione, nè a livello fisico, nè a livello celebrale, aveva solo perso circa il 60% di memoria.
Poteva ritornare a ricordare tutto però, ci tennero a ribadire i medici, aveva soltanto bisogno di tempo e terapie adatte. Tutto era possibile. Ed io ne ero certa, arrivata a quel punto ne ero veramente certa.
Dopo la premessa dei dottori, riuscii ad ottenere il permesso di entrare in camera, avevo 10 minuti massimo, poi lo lasciavo riposare.
Entrai in camera, e lui era girato su di un lato, gli appoggiai una mano sulla spalla, ci guardammo negli occhi e scoppiai in un pianto di lacrime. Lui mi guardava, con gli occhi lucidi, e con un sorriso come a dire " scema ma che ti piangi, sto qua, sono vivo. Ti potevo mai lasciare sola?".
Mi riconobbe, lo speravo davvero, mi strinse la mano e gli scese una lacrima. Anche all'uomo duro che era sempre stato era scesa una lacrima. Quella stretta alla mano era bastata. Non servivano parole.

Io e Te, il resto non conta ❤ Where stories live. Discover now