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I giorni che seguirono furono i più dolorosi, erano segnati da quell'amara consapevolezza che tutto stava andando per il verso storto, che io non avevo potere su un corpo che già da un bel po' di ore non rispondeva agli stimoli esterni, e dal fatto che anche i medici non trovavano soluzioni.
Ero inavvicinabile in quei giorni, me la prendevo con chiunque per qualsiasi cosa, e al tempo stesso scoppiavo in lunghissimi pianti all'improvviso. Quante lacrime versavo, quante notti senza dormire passai a cercare su internet storie di persone che erano uscite dal coma. Io non mi volevo arrendere. Ma soprattutto LUI non si poteva arrendere. Lui che aveva sempre avuto tanta forza, non aveva mai avuto paura di niente, non si era mai arreso dinanzi a niente, adesso non poteva arrendersi.
Pensarlo su un letto d'ospedale vivo grazie ad un macchinario mi straziava il cuore.
A casa si erano accorti tutti del mio star male, e avevano collegato il motivo all'incidente che c'era stato in paese. Mia madre due giorni dopo, entrò in camera e mi diede un lungo abbraccio, come mai aveva fatto. Aveva capito tutto. Una madre conosce sua figlia, quando a tavola non ero riuscita a trattenere le lacrime, perchè mio padre inconsciamente riportava notizie di quel ragazzo che aveva avuto quel brutto incidente, io stavo morendo. Il mio corpo stava man mano morendo insieme a Francesco. E mia mamma l'aveva capito.
Dopo qualche giorno, avere soltanto sue notizie non mi andò più bene. Dovevo vederlo, decisi che avrei fatto l'impossibile per andare in ospedale.
Non ero riuscita fino ad allora ad andare. Subito dopo l'incidente, sua cugina mi aveva chiamata per dirmi che non dovevo assolutamente andare in ospedale, che se Francesco era in quella situazione, la colpa era in gran parte anche la mia.
Io non potevo crederci. La colpa era la mia? Io che stavo morendo insieme a lui? Io che se avessi potuto, gli avrei dato la mia vita? Io che ero felice solo quando anche lui lo era?
Quelle parole mi avevano bloccate per un paio di giorni. Fino a che decisi di seguire il mio cuore, il mio istinto mi diceva che dovevo andare in ospedale, Francesco aveva bisogno di me, io ero convinta che anche se incosciente riuscisse a sentirmi, ci speravo. Avevo ancora tante cose da dirgli, tanti Ti Amo che ancora non gli avevo detto, tanti sogni che avrei voluto realizzare con lui, tanti progetti che idealizzavo insieme... una casa, dei bimbi e il nostro amore.
Una mattina, accompagnata da Ubaldo, il suo migliore amico, decisi di andare da lui.
Prendemmo la metropolitana ad Aversa. In quei minuti riuscii a dimenticare tutte le cose brutte, la mia mente aveva un solo pensiero : rivedere la mia ragione di vita.
Facemmo l'interscambio dei treni a Piscinola, e dopo un paio di fermate arrivammo a Napoli.
Dopo dieci minuti a piedi arrivammo al Cardarelli di Napoli. Stavo per rivedere Francesco. A me importava solo quello, io avrei potuto aiutarlo, il nostro amore poteva funzionare.
Mi cadde il mondo addosso quando arrivammo nel reparto in cui da quasi 72 ore era ricoverato. Non potevamo entrare, potevamo solo guardarlo da un vetro. Così mi dissero dei dottori. Un vetro. E un corpo.
Le lacrime mi rigavano il viso senza smettere, era straziante il modo in cui quel maledetto incidente aveva ridotto il mio ragazzo. Lo vedevo da un vetro e quasi non lo riconoscevo. Io che ero cresciuta con lui, proprio io quasi non riuscivo a riconoscerlo. Gonfio e con un colorito strano.
Mi mancò il respiro e poco dopo persi i sensi. Tutto quello era troppo per noi, a sedici anni ci sono altre esperienze da fare, una vita da vivere, e se veramente esisteva qualcuno dall'alto, di certo non ci stava aiutando.

Io e Te, il resto non conta ❤ Where stories live. Discover now