Capitolo Ventisettesimo

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Annuisco, sentendo le parole bloccate in gola e rimango solo a guardarlo finché non mi sento arrossire. Gli tengo la mano mentre ascolto la lezione. È bello giocare con le sue dita.


Schiaccio l'erba con i piedi, passando tra il terzo e il quarto albero e arrivando alla siepe. Sposto qualche ramo ma prima di superare le foglie il mio telefono suona, segnalando l'arrivo di un messaggio. Lo tiro fuori leggendo le parole di Ashton "Ci vediamo domani. Passa dalla mia stanza, avrò poco tempo prima che inizi il film e dovrò farmi una doccia veloce. È la numero 516. Ash xx"

Sorrido, rispondendogli che va bene e che sarò in tempo per l'appuntamento. Supero la siepe sentendo un sottile e lieve suono di chitarra, così mi volto cercando Michael con lo sguardo. Non è seduto sulle panche come al solito, è in mezzo al piccolo prato che si estende oltre le panche. E ha una chitarra. E la sta suonando.

Mi avvicino piano, iniziando a sorridere sentendo la dolce e calma melodia che proviene dalle corde pizzicate. Alza lo sguardo su di me, lasciandomi un sorriso e continuando a pizzicarle.

«Non sapevo sapessi suonare» indico la chitarra con un cenno, sedendomi al suo fianco e lasciando la borsa al mio fianco.

«Non sai tante cose di me» risponde, guardando le corde che continua a suonare. Fa una scala, salendo e scendendo con le note, prima di intonare una melodia orecchiabile e ripetitiva.

«Allora dimmele» lo incito, inclinando la vita e sorridendogli. Quando mi guarda ridacchia e scuote la testa «Puoi iniziare parlandomi della telefonata che hai fatto a casa mia. È da quel momento che hai iniziato ad essere taciturno, e non mi piace tu sia così»

Fissa lo sguardo sul prato, non distogliendolo per almeno un minuto, poi la sua melodia cambia, diventando più malinconica e lenta «Ho problemi a stare con la gente» inizia «è una specie di fobia. Anzi no, è una fobia vera e propria. Ogni volta che passo del tempo con tante persone intorno mi agito, mi sento a disagio e ho solo voglia di scappare più lontano possibile. È un difetto della mia personalità che non riesco a correggere» le dita rallentano fino a fermarsi definitivamente. Le mani rimangono ferme sullo strumento, senza muoversi.

Rimango a guardarlo, cercando di intercettare il suo sguardo «Allora perché sei qui? Perché sei in un'università e perché sei qui con me? Non che non ti voglia, è stupendo stare con te»

Un sorriso quasi amaro gli increspa le labbra «Non puoi capire quanto mi senta male ogni giorno. Durante le lezioni mi siedo sempre dietro, lontano il più possibile da tutti, come quando mi hai trovato tu il primo giorno. Voglio studiare, non rinunciare. Ma con te... Tutto è diverso. Non sembravi come gli altri, non mi pressavi perché parlassi con te e non ti disturbava stare con me in silenzio. Ma parlare con te è molto meglio che stare zitti» alza gli occhi verdi e li fissa nei miei «Se ho mai fatto una cosa buona nella vita è stata decidere di parlarti»

Mi mordo il labbro per trattenermi, la voglia di sorridere è troppa. Mi avvicino a lui, sfiorando il suo orecchio con le labbra «La cosa migliore che io abbia mai fatto è stata quella di sedermi affianco a te il primo giorno di lezioni» come se fosse un segreto. Nessuno deve sapere quanto io sia stata fortunata quel giorno.

Mi circonda i fianchi con un braccio e appoggia la fronte contro il mio collo, inspirando mentre anch'io lo stringo.

«Ho chiamato il mio compagno di stanza» mormora contro la mia pelle «Sa della mia situazione e si è preoccupato quando non mi ha visto tornare. È molto gentile e lo adoro, gli voglio molto bene» gli metto una mano sul collo e lo stringo di più. Ha qualcuno che lo sostiene, ha qualcuno che si preoccupa per lui e a cui lui tiene. Sono più tranquilla.

«Ci sono anch'io per te, Michael, voglio che tu lo sappia»

«Lo so» risponde. Il suo respiro mi pizzica la pelle «E grazie» rimango ad abbracciarlo, sentendo la pelle fredda della nuca sotto le dita. Poi lui si allontana, tornando a pizzicare la sua chitarra con le guance rosse.

«Allora? La cosa che volevi farmi vedere? Che sai suonare la chitarra?» mi sporgo un po' di più verso di lui. Michael mi sorride, poi posa lo strumento sull'erba e si alza, porgendomi la mano.

«In effetti no» prendo la sua mano. Mi tira in piedi talmente veloce che finisco contro il suo petto con il suo respiro sul volto. Resta un attimo in silenzio, senza fiato come me, poi mi fa fare un passo indietro e riprende a respirare «Ehm... Sì. Vuoi venire con me in un posto? Ti piacerà»


Qualche idea? Premonizioni di qualche tipo sul posto dove andranno? Non ci sono quasi più commenti, non vi piace più la storia? Mi dispiace, ma penso che apprezzerete di più il prossimo capitolo. Lasciate un commento? Arriviamo a 6 stelline per il prossimo, credo di poter assicurare che le stelline saranno spese bene :-) Ciao ciao <3

Multicolor || Michael CliffordWhere stories live. Discover now