18 - Yaelin

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Mi alzai dalla tavola ed entrai diretta in camera mia, sbattendo la porta dietro di me. A pugni serrati, feci qualche respiro profondo giusto per calmarmi.

Le mie cose erano sparite da quando ero entrata al collegio e dopo nei KQ Fellaz. Rimaneva solo la scrivania, nemmeno una sedia, e un letto vuoto, freddo e polveroso. Bene. Nessuna borsa pesante da portare in spalla.

Avrei voluto gridare in faccia a mio padre, infatti mezz'ora prima ero andata a casa mia a trovare la mia famiglia e per annunciargli quello che era successo recentemente, ma era andato a finire che aveva parlato solo Chan e che l'unica volta che avevo provato a dire una cosa, era scoppiata una lite enorme.

Mi trattenni dal tirare un pugno al muro, poi mi avvicinai alla scrivania e presi un mazzo di chiavi da sopra la mensola. Le chiavi di riserva che mi avevano dato... Quasi come un segno materiale dell'incuranza verso di me.

Aprii la porta scorrevole della mia stanza e ritornai in cucina, dove mio padre riprese la sgridata, talmente rumoroso che pure i vicini ci avrebbero sentiti. Feci un altro respiro profondo, concentrandomi sull'inspirare ed espirare piuttosto che sulle parole di quello che non volevo fosse un mio parente.

Quando la sua voce fastidiosa si zittì presi la parola, il tono graffiante, il volto di ghiaccio. Non volevo fare un discorso articolato, ma almeno un addio decente dovevo darlo ai miei fratelli. "Chan, Hannah, vi verrò a trovare. Grazie di tutto, vi voglio bene."

Non ero solita a dichiarare il mio affetto per qualche parente vario, ma se ci fosse dovuto mai essere un momento per farlo, questo era quello giusto. Non mi sarebbe mai più capitato. Mi voltai verso i miei genitori, pronta a ferirli.

"Non mi sarei degnata di ringraziarvi, ma devo farlo," iniziai, trafiggendoli con gli occhi, "quindi grazie per le chiavi di riserva e per il fatto di lasciarmi andare via." Non era probabilmente la cosa giusta da dire come addio, ma poco importava.

Continuai. "Non curatevi di venirmi a trovare. Non chiamatemi. Non chiedete ai miei amici come sto. Non mi interessa." Gli occhi di mio padre si infiammarono di rabbia, ma lo precedetti, non l'avrei lasciato attaccarmi di nuovo. "Esattamente come avete fatto voi, vi dirò addio. Ma senza senso di colpa, anzi ne sono felice."

Mi girai verso la porta, la aprii ma prima di uscire la lasciai socchiusa, il giusto per farli sentire le ultime, sferzanti parole che gli avrei rivolto. "E ricordate che senza il vostro aiuto, presto diventerò più ricca di quanto la vostra intera eredità avrebbe potuto rendermi."

Chiusi la porta con un leggero tonfo, lasciandomi alle spalle due genitori incazzati, Chan scioccato e in lacrime, una sorella che avrebbe pianto tutte le notti se non avesse più sentito la mia voce che le dava la buonanotte.

Un rumore di passi mi distolse dalle mie soddisfatte riflessioni, ma feci in tempo a vedere un ragazzo abbastanza alto e con i capelli corti che correva nella direzione opposta a me, dileguandosi nel traffico di Seoul.

Decisi di seguirlo, un istinto mi spingeva a farlo, i miei passi si muovevano a qualche metro di distanza da quelli del ragazzo, completamente ignorante che qualcuno che aveva appena abbandonato la propria casa lo stava seguendo.

Il ragazzo svoltò in una via secondaria, proseguendo dritto per la sua strada. Presi qualche metro di svantaggio, di proposito. Lo seguii finché non girò un'altra volta a destra, e sparì dietro ad un muretto.

Mi nascosi dietro di quello, lasciando che solo la testa sporgesse nel vicolo buio in cui il ragazzo era entrato. Avevo intenzione di spiare ogni sua mossa, anche se non lo conoscevo. Almeno così credevo, finché non sentii una voce orribilmente familiare.

"Ho sentito quasi tutto," disse il ragazzo che avevo inseguito, infilandosi in un cerchio di ragazzi. C'era solo una lampada dalla luce giallastra che gettava un bagliore sopra le teste dei ragazzi, appena abbastanza per distinguere i loro volti.

E io quei volti li conoscevo, come mi resi conto, il cuore saltò un battito e ritornò a martellare nel mio petto.

"Cos'hanno detto?" chiese uno di loro, che distinsi come Yunho. Era preoccupato, non riuscivo a capire perché, quindi mi appoggiai al muro e attesi la risposta del ragazzo che avevo seguito, che si era scoperto essere San.

Fu lui a parlare, infatti: "Ha detto che se ne sarebbe andata, da casa, credo, poi ha salutato suo fratello e sua sorella. Poi ha detto ai suoi che sarebbe diventata più ricca della loro eredità senza il loro aiuto."

Sgranai gli occhi e schiusi le labbra, il minimo che potevo fare per non proiettare ombre sul terreno. Aveva spiato, esattamente come stavo facendo io proprio in quel momento. Un brivido mi percorse la schiena quando proseguirono la discussione.

"Quindi l'hanno abbandonata??" esclamò Mingi, sbarrando gli occhi e portandosi una mano alla fronte.

"O lei ha abbandonato loro," ipotizzò Wooyoung a braccia incrociate.

"O forse è lei che non voleva essere trattata come se non esistesse," si intromise Hongjoong, formulando la teoria che era giusta.

Mi chiesi se dovevo farmi vedere, o rimanere nascosta e scappare per un'altra via mentre loro se ne andavano. Ma quando se ne sarebbero andati? Dovevo prendere coraggio. Avrei fatto finta di passare di lì casualmente, per poi dirgli di aver sentito qualcosa.

E poi gli avrei rivolto tutte le domande del caso. Come facevano a sapere il mio indirizzo? Perché l'avevano fatto? Sapevano che sarebbe successo ancora prima che l'avessi saputo io? Non avrei dovuto parlargli così tanto dei miei.

Presi un profondo ma silenzioso respiro prima di stringere i pugni e lasciarli andare. La mia espressione ritornò normale mentre mi misi le mani in tasca e finsi di camminare tranquillamente per la strada sporca.

"Ciao ragazzi," dissi con un sorriso finto che sembrava fin troppo vero. "Che ci fate qui? Non è un bel posto." Come avrei potuto dirgli di quello che avevo sentito da loro? Non dissi niente per non fare errori.


"Yaelin!" esclamò Hongjoong, prendendo vantaggio e correndo appena dietro di me. Mi afferrò per il braccio e i suoi occhi scintillarono per un attimo quando incontrarono i miei. "Noi non volevamo..."

Strinsi gli occhi per scacciare le lacrime. Si mettevano loro a fare la predica contro di me? "Voi non potete capire! Non sapete niente di come mi sento io!" esclamai, facendo uscire qualche cliente da un bar trasandanto di fianco a noi.

"Per favore, Yaelin, ascoltaci! Non vogliamo fare niente contro di te!" rispose Joong, trascinandomi per il braccio verso dove erano gli altri ragazzi, che ci guardavano allarmati. I loro sguardi si spostavano da me a Hongjoong.

"Come no? Spiarmi mentre litigo con i miei è innocente, vero?" dissi, stavolta rivolgendomi a San. Il ragazzo abbassò lo sguardo, per poi rialzarlo e guardarmi con occhi quasi supplicanti. "Noi non volevamo spiare. Ho solo sentito qualcuno che gridava che loro figlia era un'inutilità ambulante, e mi sono preoccupato."

Non potevo dirgli niente contro. Avevano tutto il diritto di preoccuparsi, soprattutto dopo che avevano riconosciuto la mia voce. Non potevo biasimarli, sarebbe stato ingiusto. Quindi mi ridussi a sospirare. "Scusatemi, non dovevo arrabbiarmi in questo modo."

Yeosang mi sorrise, rassicurante, prima di venire verso di me. Tolse gentilmente il mio braccio dalla presa di Hongjoong e mi abbracciò. "Non scusarti. Siamo noi in realtà quelli che dovremmo chiederti scusa."

Annuii e lasciai che mi sciogliessi a contatto con il suo corpo, anche se le mie braccia erano dritte lungo i fianchi, non avevo la forza di muoverle.

"Ci dispiace, anche se eravamo preoccupati."

Preoccupati per me...


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