14 - Seonghwa

5 1 0
                                    

Seguii con gli occhi Yaelin, pietrificato. Non potevo né volevo farci niente con quello che avevo appena visto. Ma, prima che potesse andarsene oltre la porta, le gridai: "Dove vai? Ritorna qui!" Ma lei non mi ascoltò, ovviamente, e tirò dritta per la sua strada.

Ci guardammo, a parte Yunho e Mingi, che evitavano il contatto visivo tra di loro. Unica cosa positiva: Yaelin aveva zittito una volta per tutte le sue compagne di classe, che stavano antipatiche a tre quarti della scuola. Ma aveva zittito anche Yeosang, che fissava il punto dove la ragazza era scappata via.

Il clima era davvero divertente.

Fui il primo ad alzarmi, seguito da Hongjoong e Wooyoung. Li salutai prima di uscire e mettermi a vagare per tutti i piani senza una precisa meta, come al solito.

Camminare in quel modo mi calmava sempre. Ma quella sera, il silenzio era più rumoroso di qualunque grido, la solitudine più inquietante del solito... ma forse perché non ero neanche da solo. Lo sentivo...

Mi voltai, ma, contrariamente a quanto mi sarei aspettato, non ero né stressato né spaventato. Quello era proprio il giorno delle eccezioni! Non c'era nessuno dietro di me. Magari era solo un sentimento o un presagio di qualcosa. Però, poco ma sicuro, non c'era nessuno dietro di me.

Mi girai allora dall'altra parte, sollevato, ma quella sensazione non mi abbandonava. Magari se l'avessi lasciata perdere, anche lei se ne sarebbe andata, lasciandomi in pace di conseguenza. Quindi presi a provare a distrarmi in tutti i modi, guardandomi intorno, accelerando il passo, ma niente funzionava. 

Era tutto troppo statico, troppo fermo, troppo liscio. Troppo normale. Anzi, quello non era neanche normale, era anormalità mascherata... E quello peggiorò drasticamente la sensazione che si ostinava a seguirmi con ogni passo che facevo.

Sicuramente, quella notte avrei passato le ore a rigirarmi sotto le coperte come una trottola impazzita al solo ricordo di cosa mi stava succedendo in quel momento... ma ero piuttosto calmo, il cuore non mi martellava nel petto, non stavo sudando...

Ero insensibile, come se tutto mi stesse scivolando addosso come gocce di pioggia su un ombrello. Niente mi coinvolgeva, tutto era troppo distaccato, come se non stessi vivendo ma stessi solo guardando me stesso che camminava in quel corridoio.

Fu solo in un istante in cui persi il controllo.

Un brivido mi percorse la schiena, simile ad una scarica elettrica, e le mie gambe insistevano per trascinarmi dritto in un corridoio buio, poi sentii il freddo metallo della maniglia di una porta sotto la mia mano, anche quella stranamente fredda, e la porta che si apriva.

Era una stanza buia, con un letto rosso sporco, da almeno una piazza e mezzo, quindi più grande di tutti quelli dei dormitori... Al posto di una lampada, un paio di candele appoggiate su un candelabro sul tavolo. Era tutto così strano.

Poi un rumore di passi, di un'anta di armadio che si apriva, e dei singhiozzi che vennero subito mascherati da un silenzio esattamente uguale a quello che mi aveva circondato fino a pochi momenti prima. 

Una sagoma scura si muoveva nella stanza, avvolgendosi nel buio come un'ombra che si materializzava in un punto e si smaterializzava in un altro. Era inquietante. Un'emozione di cui non conoscevo ancora il nome mi attraversò da capo a piedi, facendomi rabbrividire. Non avevo mai avuto paura di niente... o no?

Istintivamente, feci dei passi verso la figura. La mia mente era completamente vuota, riempita solo da quella sensazione che mi premeva in testa e non mi permetteva di riflettere. Presi le spalle del ragazzo, perché solo da quelle si capiva che era un maschio. 

Era più basso di me di una decina di centimetri, cosa che mi fece insospettire. Era più piccolo di me... ma chi era? Cominciai a rabbrividire mentre le mani del ragazzo si spostavano dalle mie spalle per appoggiarsi sui miei avambracci. 

Una scarica di dolore mi percorse il corpo dal petto in giù quando il ragazzo affondò le unghie nella pelle dei miei bicipiti, premendo sulle mie braccia, con fare sempre più aggressivo. Mi ritrovai a voltarmi dall'altra parte e mordermi il labbro per non gemere. Ma sapeva chi ero io? Mi sentivo impotente contro un ragazzo più piccolo di me.

"Cosa vuoi, eh? Perché sei qui?" sibilò lui. Aveva una voce familiare... ma, proprio in quel momento, non riuscivo a capire a chi apparteneva. Se solo avesse acceso le candele sul tavolo, magari avrei scoperto la sua faccia una volta per tutte.

"Parla!" esclamò, distogliendomi dai miei pensieri. La mia mente si offuscò per qualche secondo quando realizzai a chi appartenevano quella voce e quella forza inaspettata che mi stava inchiodando impotentemente al muro.

"Shotaro...?" balbettai abbassando lo sguardo su di lui. No. Non poteva essere Shotaro. Non poteva essere quel ragazzo timido quasi carino, che aveva avuto bisogno delle consolazioni di Sunghoon. Non poteva essere quel ragazzo che aveva 'innocentemente' rubato col suo amico, Wonbin. Ma come poteva essere che aveva la stessa identica voce?

"Oh, sì sono io."


"Chi? Come Shotaro?" chiese Jongho con gli occhi sgranati. Ovviamente, dato che anche lui partecipava sempre alle riunioni notturne delle nostre, conosceva perfettamente Shotaro. Ma a quanto pareva gli avevamo dato un'immagine sbagliata.

Credevamo fosse introverso e forse anche freddo. Ammettevo che non mi sarei mai aspettato una cosa del genere da lui. Ma, contemporaneamente, quella era la prova materiale che Sunghoon non sbagliava mai. In qualche modo, era riuscito a leggergli dentro le sue vere intenzioni.

'Potrei farti di tutto, Seonghwa, solo che tu non lo sapresti.' Le parole che mi aveva detto qualche minuto prima, come un avviso di qualcosa che sarebbe successo molto presto... avevo dovuto riconoscermi la paura che si faceva sempre più insistente in me. 

Non avrei mai pensato a Shotaro come un ragazzo davvero ribelle, che avrebbe potuto effettivamente infliggere dolore a qualcuno che non fosse suo fratello più piccolo. Sembrava un ragazzo a posto, completamente ordinario. E proprio lì stava l'errore. L'apparenza...

Mi ricordai di tutta l'ansia che mi aveva fatto provare. Non era poi così debole, se mi aveva fatto pure male. Guardai le mie povere braccia, ancora doloranti da come mi aveva graffiato così a lungo, così di proposito, così spudoratamente, come se avesse saputo di essere meglio di me.

Solo prima avevo realizzato e dato un nome all'emozione che mi faceva tremare. Non era paura. Era paura folle. Era terrore.


EVERYTHINGWhere stories live. Discover now