4 - Seonghwa

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Una sequenza d'immagini improvvisa riempì il mio sonno.

Una ragazza che si addormentava con la fronte appoggiata al petto di un ragazzo... Due persone in una camera... Una ragazza in un vicolo.

Poi, buio.

Mi svegliai di soprassalto, perplesso. Cosa significava tutto quello? Ripensai al 'sogno' che avevo appena avuto, durato solo una decina di secondi. Le immagini non tornarono vivide come lo erano state, ma un po' distorte.

Ragionando con tutta la logica che trovavo nel cervello, realizzai con orrore che quel ragazzo ero io.

Ma se ero io, chi era l'altra ragazza?

Un pensiero improvviso mi attraversò la mente, per poi sfumarsi velocemente com'era arrivato. Yaelin, sussurrò la voce della mia coscienza.

Ma non era lei di sicuro. 'Sono solo stanco,' mi dissi per rassicurarmi, ma il pensiero che potesse essere lei mi attorcigliava lo stomaco e mi faceva quasi paura.

Ero a letto da poco meno di un'ora, ero appena tornato dalla riunione di quella sera, che era durata più del solito. Abbiamo deciso di far spiare qualcuno a Yaelin.

Mi strofinai gli occhi, assonnato, i contorni delle cose intorno a me erano ancora sfocati per quanto poco tempo mi ero svegliato. Posai lo sguardo sul letto accanto al mio.

Shotaro.

Ripensai a quello che gli aveva detto Sunghoon, come era passato dall'intimidirlo al confortarlo e rassicurarlo. Mi presi un attimo giusto per riflettere sul perché l'avrebbe mai potuto fare, e una vocina sussurrò nella mia testa.

'Senso di colpa.'

Senso di colpa? Adesso mi immaginavo pure le voci, per caso? Fissai il ragazzo, come sembrava innocente davanti a me. Avevamo cinque anni di differenza, lui era al primo anno e io al quarto. Il penultimo.

Eravamo ancora a metà settembre, ce ne sarebbe voluto di tempo prima di dover salutare tutti i ragazzi.

Avvertii una leggera stretta al cuore quando realizzai che uscire finalmente dal collegio voleva dire abbandonare tutte le riunioni, niente più piccoli furti nascosti, e se quello significava niente più notti insonni, mi sarebbe mancato comunque.

Anche se andare alle riunioni quasi tutti i giorni, a parte nel weekend, significava una drastica riduzione delle ore di sonno, tutte le ore perse ne valevano la pena.

"Shotaro," sussurrai, immaginando solo che potesse sentirmi, anche se qualcuno sveglio non l'avrebbe lontanamente sentito.

Mi alzai dal letto, sapendo che quella sarebbe stata una notte completamente insonne. Faceva freddo nella stanza, anche se le due finestre e la porta erano chiuse, quindi entrai in bagno.

Lo sbalzo di temperatura tra camera e bagno era sempre stato malsano, l'aria lì dentro era quasi soffocante e l'umidità era alle stelle, ma almeno faceva caldo.

Anche se non era la prima volta che affrontavo quel cambiamento repentino non mi sorpresi a sussultare per l'improvviso calore che si era diffuso nella stanza.

Chiusi la porta alle mie spalle, imprecando quando scricchiolò. Dovevo fare silenzio, mi ricordai mentre abbassavo la maniglia con estrema lentezza.

Ecco, ora la porta era chiusa, e Shotaro non avrebbe sentito niente di sospetto.

Aspetta, ma che ore erano? Alzai lo sguardo in cerca di un orologio appeso al muro, ma il buio lo rendeva difficile se non impossibile. Arrancai fino alla porta, o meglio, dove pensavo che fosse, e tastai il muro coi palmi delle mani per cercare l'interruttore della luce. Eccolo, finalmente. La luce bianca dava un bagliore spettrale allo specchio di fronte a me, dall'altra parte della stanza, e alzai le sopracciglia nel vedere il mio riflesso.

Mi sistemai i capelli disordinati, neri e lucidi sotto la lampadina, e mi fermai per un tempo lunghissimo a rimirarmi allo specchio, ma non come se fossi l'essere più bello di tutta la Terra o chissà che cosa. Anzi, dalla mia espressione sembrava il contrario.


"Ehi, Seonghwa!"

No, non loro di nuovo. Non potevo più farcela. Mi sarei suicidato volentieri al posto di guardarle ancora una volta in faccia. Quelle maledette del secondo anno.

Notai che il volto di Yaelin si rabbuiò, e si strinse nelle braccia con espressione omicida. Ma quelle brutte puttanelle erano troppo concentrate su di me.

"Ehi," mugugnai, completamente svogliato di sentire la loro voce di nuovo.

Erano due ragazze del secondo anno, che anche se si sentivano le migliori della scuola, avrebbero a malapena fatto aprire la bocca ad un ragazzo se non per il disgusto.

"Wow, come sei bello oggi!" esclamò una di loro. Si chiamava Kelli e avrebbe sicuramente fatto a meno di uno dei suoi organi per me, da come mi guardava incantata.

"Grazie," dissi, e trattenni l'impulso di alzare gli occhi al cielo e mandarle a quel paese una volta per tutte.

"Vero, guardati Mars, come sei carino oggi," continuò la sua amica, una ragazzina a cui sarei andato molto volentieri al funerale come se fosse il carnevale di Venezia.

Stavolta mi coprii la faccia con una mano e mi morsi il palmo per trattenere qualunque insulto avrei potuto rivolgere a quelle puttane ambulanti.

"Potete chiamarmi col mio vero nome, per favore?" Alzai la testa e finsi un tono freddo per tenerle alla larga di me, anche se le avrei strappato le ciglia e i capelli uno ad uno molto felicemente e senza rimorso.

Le ragazzine ridacchiarono, facendomi pulsare la vena sul collo dalla rabbia. A stento non gli rivolsi qualche bestemmia e molti insulti.

Mentre loro facevano le troiette come al solito, troppo impegnate a ridacchiare come delle ritardate, mi voltai verso Yaelin, che aveva sgranato gli occhi dall'odio e dalla rabbia.

"Certo, Seonghwa!" esclamò una di loro, con un sorriso che avrebbe fatto vomitare anche il più brutto tra gli uomini sulla Terra, disgustandomi a livelli troppo alti per essere espressi a parole.

"Per favore," tentai, cercando inutilmente di calmarle. Poi sospirai dal nervoso e mi arresi, afflosciando le braccia lungo i fianchi. Ero esausto di quelle schifose ragazzine.

"Per favore, poteteandarvene e non tornare mai più?" si intromise Yaelin, e anche se sapevo chenon era la cosa più giusta da fare, le diedi ragione dal profondo del cuore, ela stimai per aver tolto quei sorrisetti da deficienti dai loro volti.

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