3 - Yaelin

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Certo che quelle riunioni dovevano essere piuttosto divertenti, se i ragazzi perdevano così tante ore di sonno per quelle. Ma poco mi importava se fossero divertenti oppure no, l'importante era andarci per accontentare Sunghoon.

Quella notte, io e Jongho avevamo deciso di andare insieme. Era mezzanotte meno quattro minuti quando ci ritrovammo al terzo piano, un orario decisamente più comodo per non dover correre giù dalle scale in tutta fretta.

Stavolta il ragazzo non tentò nemmeno di conversare un po' con me, apparentemente preso da tutti i suoi pensieri, ma, come si sa, le apparenze ingannano.

"Jongho, perché sei così silenzioso?" chiesi ad un certo punto, e il suo sguardo si fissò su di me. 'Aiuto' fu il mio primo pensiero.

Il ragazzo, già dall'espressione, non tradiva una chiara voglia di conversare con me. Ma non perché sembrasse offeso o arrabbiato, ma perché i suoi occhi di un nero profondo erano più spenti delle lampade del corridoio.

Erano bui quanto il corridoio intorno a noi, mi resi conto. Le sue labbra erano strette in una linea sottile che non avrebbe aperto neanche se forzato.

Il solo gesto di fissarmi sembrava prosciugare tutte le sue energie, rendendo ogni passo un'agonia difficile e insopportabile. Cominciai seriamente a preoccuparmi.

"Jongho, stai bene?" Mentre gli rivolgevo questa semplice domanda il suo sguardo si affievolì ancora di più, strinse le labbra e abbassò lo sguardo.

Era un cadavere di pallore. Stava palesemente male, ma io, come al solito, non sapevo cosa farci. L'unica cosa più probabile da fare era andare di nuovo in camera sua e farlo dormire, ma erano già le ventitré e cinquantotto.

"Stai bene?" ripetei in tono concitato, anche perché le sue labbra avevano preso una sfumatura violacea. Sembrava che stesse annegando da in piedi.

Sgranai gli occhi e gli tenni il polso. La sua pelle era talmente gelida che riusciva a raffreddare anche me, e le sue mani tremavano. Non sapevo cosa gli stesse succedendo, ma il primo impulso fu quello di mettere la mano sulla sua fronte.

Sussultai. In confronto al resto del corpo, la sua fronte scottava come i carboni ardenti. Gli misi gentilmente una mano sulla schiena, sostenendolo nel caso stesse tremando di più.

Lo guardai negli occhi. Erano due buchi neri spenti e lucidi, e avevano perso la loro scintilla. Si vedeva che Jongho era 'piccolo'. Era talmente debole tra le mie braccia che sembrava potersi spezzare in due da un momento all'altro.

"Sei bollente," sussurrai. "Jongho, stai malissimo, perché sei venuto?" Non volevo accusarlo, ma le mie parole, già pesanti sulle labbra, uscirono in un mezzo tono di rimprovero.

"Io..." sussurrò in risposta, la sua voce così debole e lui così impotente che mi fecero venire una voglia matta di stringerlo tra le braccia fino a spaccargli le ossa. "Non stavo male," mentì.

Sapevo perfettamente quando mi mentiva e quando mi diceva la verità. La sua voce tremava come il suo corpo, scosso dai brividi di freddo nonostante la temperatura infernale della sua testa.

Stavolta, non arrivai puntuale come avevo fatto la notte prima, ma arrivai con leggero ritardo. Era mezzanotte e tre minuti, come mi accorsi dall'orologio malamente illuminato dei sotterranei della biblioteca.

"Ti stavamo aspettando," disse una voce alle mie spalle. Sunoo. Era davvero così bravo a nascondersi o voleva solo fare un'entrata in scena teatrale?

"Bene," dissi, sedendomi accanto a Seonghwa.

Il ragazzo mi rivolse un sorrisetto malcelato, e la sua espressione mi spezzò il cuore. Lui non sapeva dov'era Jongho, ma io sì, e mi sentivo in colpa per quello.

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