- CAPITOLO 53 -

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Gli occhi di Sophy si sbarrarono per il terrore quando Ivan estrasse dalla felpa scura un lungo coltello. La lama luccicò malevola, illuminata da un fulmine.

Sophy trattenne il fiato mentre il cuore sembrava volerle sfuggire dal petto e i pensieri le si accavallavano in cerca di una scappatoia.

«E sopratutto» continuò Ivan lasciando scorrere lo sguardo prima sull'affilatissimo coltello e poi sul corpo minuto e tremante di lei, «ho finalmente il fegato necessario a portare a compimento il mio incarico».

«E cosa ti è stato chiesto di fare, esattamente». La voce rabbiosa di Sophy tremava, così come mani, le gambe, il mondo intero. Ivan parlando aveva continuato a farla indietreggiare fino quasi a farle toccare con la schiena il muro di mattoni: non aveva spazio di manovra per fuggire.

«Non è forse ovvio?» la canzonò lui sfiorandole la spalla nuda con la gelida lama.

Sophy fece un respiro tremante e cercò di rimanere lucida. Ivan era armato ed intenzionato ad ucciderla, ma lei non sarebbe morta. Non quel giorno, non in quel vicolo, non per mano sua.

«Fallo allora!» gridò talmente forte da farsi bruciare la gola. «Uccidimi, Ivan! Fallo!»

Lui le rivolse un sorriso freddo, maligno. «Non ti interessa più conoscere il mandante?»

A Sophy interessava solo che lui attaccasse perché non sapeva per quanto ancora il terrore le avrebbe concesso la lucidità necessaria per difendersi.

«Non mi interessa supplicarti per sentirtelo dire» replicò con una voce che quasi non riconobbe come sua. «E non mi interessa di te in generale. Marionetta».

Era la verità, ma anche una pura provocazione.

Una provocazione che andò a segno: una scintilla di rabbia si accese negli occhi verdi di Ivan. Quel ragazzo aveva sempre permesso a persone alle quali non importava nulla di lui di muovere le fila della sua vita e, Sophy ne era certa, quella consapevolezza lo feriva ed innervosiva più di ogni altra cosa.

«Il Game Master ha ragione» le grugnì a pochi centimetri dal viso, «tu sei la rovina di ogni cosa».

Le provocazioni di Sophy avevano colto nel segno. Ivan la guardò sollevando le sopracciglia, forse si aspettava di leggere lo sgomento negli occhi di Sophy, ma sapere che era stata Petra a commissionare il suo omicidio non la sorprese neanche un po'.

«La tua banalità continua a deludermi» disse, fredda. «Preferisci essere chiamato marionetta o mercenario?»

Quando Ivan attaccò Sophy riuscì a schivare facilmente il fendente diretto al suo stomaco, scartò di lato e, mentre Ivan si sbilanciava in avanti, lo urtò con una spallata facendolo barcollare ed impattare contro il muro di mattoni. Sophy aveva di fronte a sé l'uscita da quel vicolo soffocante.

Doveva solo correre.

Doveva correre più veloce che poteva, avvicinarsi allo stadio, allontanarsi da quel coltello.

E doveva anche urlare.

Urlare più che poteva, a costo di distruggersi le corde vocali.

E fu quello che fece: corse e urlò.

Ma il fiato rimasto a sua disposizione era poco e il vicolo sembrava allungarsi ad ogni passo.

«Gridare non ti servirà» disse Ivan mentre le si avvicinava senza nemmeno sforzarsi di correre. «Nessuno ti sentirà. Il tuo amico custode è stato il primo a saggiare questa lama. Tranquilla, non ha sofferto. Anzi, credo non se ne sia nemmeno accorto. Ma con te... Con te sarà diverso...»

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