44)IL DONO DELLE YAONAI

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Saaràn serrò le palpebre appena in tempo.

Immediatamente dopo, un bagliore, tanto intenso da vedersi anche a occhi chiusi, scaturì dalla pietra che sormontava il Pugnale Azzurro e riempì tutta la valle, raggiungendone ogni minimo anfratto.

Fu un esplosione di luce immensa, una vampata luminosa che durò solo un attimo, illuminò le montagne fin sulle cime e poi si spense.

Dopo un lasso di tempo in cui parve non succedere più nulla, poco alla volta Saaràn azzardò ad aprire gli occhi.

Dapprima li socchiuse appena.

Tenendo il braccio sollevato davanti al volto e una mano aperta per proteggerli, ne aprì uno e poi l'altro, fino a scorgere tutta la valle con una sola occhiata.

Non aveva idea di cosa aspettarsi dopo quello che era successo, ma nel momento esatto che si accorse che la Pietra delle Yaonai aveva funzionato, sorrise dalla gioia.

Il pianoro davanti a lui era vuoto, i Gin erano scomparsi.

Di Zűin non vi era più traccia. Il mostro era fuggito.

Nel pianoro non vi erano che brandelli di liane annerite e fumanti, stese a terra come corde bruciate.

Ve ne erano ovunque, a perdita d'occhio, e le vedeva andare giù, lungo la valle.

Le più vicine a lui erano orribilmente ustionate e non davano alcun segno di vita.

Era secche e contorte.

Rinsecchite come tizzoni consumati, molte di esse galleggiavano per qualche momento nel pantano lasciato dalla piena e poi vi affondavano lentamente, prima di scomparire del tutto.

Per quanto potesse scorgere, anche la maggior parte di quelle più lontane giaceva a terra immobile, mentre altre, forse più riparate al momento dell'esplosione di luce, ancora si agitavano debolmente, contorcendosi nel fango come serpenti prima di cadere inerti dove si trovavano.

Di tutte quelle creature orribili, Saaràn era certo, non se ne sarebbe salvata nessuna, però non riuscì a provare pietà alcuna per quelle liane mostruose.

Sorrise, al pensiero di avercela fatta e guardò con ammirazione il Pugnale del suo avo Sangun .

"Allora funziona!" mormorò entusiasta tra sé e sé.

Poi però la sua preoccupazione tornò a farsi viva.

Guardandosi attorno vide che gli Un stavano bene, tuttavia, nei loro occhi ancora sbalorditi, vi lesse una devozione che l'infastidì.

Persino guerrieri con più scarificazioni sulle guance lo guardavano come se egli non appartenesse a questa terra e questo lo mise a disagio.

Nei loro sguardi non vi era soltanto paura, bensì incertezza.

Una venerazione appena mascherata dal timore li soggiogava al suo volere e abbassavano lo sguardo davanti al suo con la medesima deferenza che fino ad allora avevano riservato solo a Bortecino e a Ten-gri.

Per quella gente il suo valore di uomo era stato pari a zero per tutta la vita, ma ora questo era mutato.

Ai loro occhi adesso egli era diventato Khűrch Bolokhgűi, l'Intoccabile, degno di rispetto sopra ogni altra cosa.

Avrebbe dovuto esserne fiero, invece ne era seccato, perché capiva che quel timore non era rivolto verso la sua persona.

Lo vedevano stringere in mano il Pugnale del Khan e da quello essi valutavano il suo nuovo valore.

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