18) UNA LUNGA GIORNATA ( prima parte)

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Alle prime luci del giorno il lento carro trainato dalle quattro vacche si mosse cigolando verso il fiume in secca, seguendo i segni che il Naaxia aveva lasciato sparsi per la Steppa.

Helun teneva in mano le due lunghe briglie di cuoio attaccate alle corna delle vacche di testa, con le quali, tirando ora questa, ora quella, dirigeva la carrozza facendo spostare la pariglia.

Seduta al suo fianco, Gerel guardava distratta la pianura ed entrambe le donne seguivano le indicazioni di Saaràn che, in groppa a Monglik, le precedeva da distante.

Di tanto in tanto cavallo e cavaliere scomparivano dietro a un crinale, per ricomparire dopo poco in un altro punto dove sarebbe stato più semplice passare. A quel punto Saaràn le avrebbe chiamate, facendo loro un gesto.

Faceva sempre così, scompariva e ricompariva come un fantasma, non si sapeva mai dove fosse o da quale parte ritornasse.

Si dileguava, confondendosi con l'erba della Steppa che conosceva come le sue tasche anche per ore intere.

Ormai vi erano abituate e per loro era diventato un gioco scommettere se sarebbe spuntato da una parte o dall'altra di una altura, ma quella mattina né l'una, né l'altra, avevano voglia di giocare.

La sera prima Helun non aveva detto tutto al marito e ora, vedendo lo stato della figlia, si pentiva di averlo fatto.

Le poche cose che componevano tutti gli averi della loro famiglia, sbatacchiavano rumorosamente appese alla Yurta, coprendo il loro mutismo.

Attaccati dietro al carro, i tre giovani pezzati camminavano lenti e annoiati e ai fianchi della scalcinata vettura del Naaxia, cavalcavano Omnod da un lato e Uleg dall'altro.

Senza che nessuno dei due l'avesse detto espressamente, sia il servo che il giovane Un non desideravano stare accanto più dello stretto necessario e restavano volentieri separati.

Anche se non ne sapeva il motivo, a Helun stava bene, purché lasciassero stare lei e la figlia e non le infastidissero.

In quei momenti, tutti avevano bisogno di silenzio.

Uleg voleva assaporare in solitudine quella parvenza di libertà che temeva di aver perduto per sempre dieci anni prima, quando venne catturato e ridotto in schiavitù dagli Un, mentre Omnod era troppo deluso, troppo amareggiato da quello che aveva compreso nella notte, per aver voglia di parlare.

Il Taiciuto e il soldato erano troppo diversi, troppo distanti l'uno dall'altro per cercarne l'altrui compagnia, eppure ambedue tenevano d'occhio le vacche, Helun e il carro, preoccupati dagli scricchiolii che emetteva ad ogni buca che incontrava.

Sebbene la donna lo conducesse con mano ferma e decisa, ad ogni giro di ruote la logora vettura gemeva in ogni sua giuntura come se volesse frantumarsi da un momento all'altro.

Temevano che a breve si sarebbe smontata in tanti pezzi.

Tanto l'uno quanto l'altro, i due uomini osservavano sconcertati lo strano mezzo del Naaxia, non comprendendo l'utilità nell'avere l'assale anteriore mobile, libero di ruotare con solo un rozzo perno a collegarlo al pianale, attorno al quale girava per far svoltare le ruote.

Troppo debole, troppo facile a spezzarsi, pensavano.

Abituati all'immobile sicurezza dei carri Un che possenti e massicci non potevano che andare ritti per la loro strada, vedere la lunga asta attaccata alle vacche torcersi a sinistra e a destra al comando della donna, dava loro l'impressione di un'imminente catastrofe che se tardava a venire, era solo per il benevole volere di Ten-gri.

Il carro del Naaxia era più basso di qualunque altro carro Un avessero mai visto, aveva una struttura meno massiccia e pesante dei loro e le ruote non avevano le medesima rassicurante larghezza di quelle a cui erano abituati all'interno dell'Urdu.

OCCHIO LIMPIDODove le storie prendono vita. Scoprilo ora