2) L'ETA' AVANZA

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I Monti d'Oro.

Erano molti anni che Saaràn non vi arrivava così vicino e ora che se li trovava diritti in fronte, che li vedeva crescere e divenire imponenti man mano che si avvicinava a essi, gli mettevano soggezione.

Le montagne si innalzavano come una barriera imponente e invalicabile da Est a Ovest, alla quale nessun Un era abituato pensare se non con timore riverenziale.

La quasi totalità degli Un dell'Urdu non vi metteva mai piede in tutta la propria vita, preferendo di gran lunga restare nel più sicuro e comodo ventaglio dell'Orda, piuttosto che rischiare di avventurarsi su rocce aguzze e salite impervie che ritenevano riservate solamente a chi voleva parlare direttamente a Ten-gri.

Molti non si ritenevano degni di farlo, altri, i più, lo temevano troppo per riuscirci.

Coloro che si azzardavano a raggiungere i Monti erano gente speciale, a loro modo unici, come il Khan, Sciamani, giovani ambiziosi assetati di potere, ma gli altri no, tutti gli altri avrebbero vissuto come uno spaventoso incubo arrampicarsi troppo in alto su quei fianchi irti e ripidi.

Gli Un, potenti e terribili in pianura e nella sconfinata Steppa, davanti al vuoto di un baratro, soffrivano di vertigini.

L'Urdu e gli Un sapevano soltanto andare avanti, con il sole nascente alle spalle e il sole morente in fronte.

Un Un, nasceva, cresceva, viveva e moriva nella Steppa, sotto il Ten-gri che estendeva la sua cupola infinita oltre l'orizzonte e nell'erba che la ricopriva.

Un Un era disposto a uccidere senza nessuna pietà, pur di mantenere il suo diritto ad andare avanti. Sempre e solo avanti.

Vivevano di rapina. Rubavano e distruggevano a chiunque gli sbarrasse la strada, perché loro dovevano andare avanti.

Per un Un fermarsi in un luogo per un tempo superiore al campo invernale e al Kavryn-an, la Grande caccia di primavera, non era concepibile.

La Steppa non sarebbe mai finita nel pensiero di uno di essi, perché insieme a essa sarebbe finito anche l'Urdu e il loro stile di vita.

Un Un avrebbe preferito morire, piuttosto d'incontrare l'ultimo tratto d'erba oltre il quale non avrebbe potuto proseguire sul dorso di un cavallo. E per loro questo rappresentavano i Monti d'Oro: un nemico invincibile, impossibile da distruggere.

Nella fantasia Un, le montagne erano da sempre imponenti e immobili ostacoli posti in terra da Ten-gri per limitarli e costringerli a seguire un'unica rotta, una direzione obbligata, a ricordo e monito dell'inizio e della fine che per tutti loro era designata.

Per gli Un i Monti d'Oro erano il collegamento tra la terra e il cielo, gli inferi e una vita radiosa, un sotto e un sopra, creati da Ten-gri per ricordargli la natura mortale di ogni essere.

Per un Un salire in alto, scalare una montagna, andare verso l'orizzonte chiuso dai Monti d'Oro, soffrire di vertigini e cadere in un dirupo, era come morire prima del tempo stabilito da Ten-gri.

Un Un non temeva la morte, ma la morte inutile, sì, lo terrorizzava.

E proprio su quella paura Saaràn contava per tenere lontano Muu-Gol e i suoi uomini dalla sua gente.

Ma al tempo stesso, vedersi venire incontro quelle rocce immense, quegli scogli enormi a sbarrargli la strada, gli ricordava che ormai aveva vissuto gran parte della sua vita e che non gli rimaneva poi così molto tempo da vivere.

Era vecchio, non poteva negarselo.

Il Khan gli aveva affidato una missione, ma mai come ora dubitava di poterla onorare.

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