Parte seconda - 1) RICERCA

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Nel primo pomeriggio di quel medesimo giorno, Saaràn e la sua piccola Tribù si erano già allontanati di un paio di Zai* dalla valletta dove avevano ricoverato la mandria di Tarpan.

(Zai*: un'ora al trotto di un Tarpan)

Si dirigevano a Nord, alla ricerca di sua moglie Helun e di quella che secondo lui sarebbe stata la pista più agevole per un carro come il suo: manovrabile, leggero, con le ruote strette e con una Yurta montata sopra.

Per tutto quel tempo non avevano trovato alcun segno di presenza umana, amica o nemica che fosse.

In quella zona non vi era nulla che si muovesse, a parte il vento, frotte di conigli selvatici che spuntavano ovunque i cinque cavalieri guardassero e uccelli rapaci, che si libravano alti e silenziosi nel cielo nel tentativo di cacciarli.

Mentre tentava di comprendere cosa avesse provato sua moglie Helun a viaggiare da sola per quelle terre desolate, Saaràn si diede più volte dell'incosciente per averla lasciata andare via in quel modo.

Era stata un'imprudenza, inutile negarlo.

Necessaria, forse, tuttavia pur sempre un'imprudenza.

Quante volte se lo era ripetuto dandosi dello stupido per aver messo a repentaglio in quel modo la vita di Helun, però, soprattutto, sperò ardentemente che negli anni passati insieme, lei avesse compreso almeno in parte quello che egli, come Naaxia, quotidianamente cercava nella Steppa: la strada migliore da seguire.

Trovare il percorso migliore per dei carri era un'arte complessa che si imparava lentamente e, dopo averla praticata per decenni, di tutta l'Urdu del Khan solamente lui la conosceva a fondo.

Sospirò, stanco per le lunghe ore di veglia e preoccupato per la sorte della moglie.

Spaziò con lo sguardo tutto attorno, gli occhi ridotti a due strette fessure per la mancanza di sonno e per l'aria insistente.

Il vento teso gli sferzava il volto e i capelli, ma non ci faceva più caso.

Fin dove l'occhio arrivava, la Steppa era un costante, infinito ondulare di erbe alte su poggi appena accennati che a Nord andavano a scontrarsi contro le montagne e a Sud si perdevano nel nulla.

Se tutto fosse andato come aveva previsto, prima di notte sarebbero arrivati ai territori ondulati che precedevano i Monti d'Oro e lì, finalmente, avrebbero pernottato, perché non vedeva l'ora di smontare e scendere dalla groppa del Tarpan che cavalcava.

Gli anni iniziavano a farsi sentire e gli sforzi fatti negli ultimi giorni pesavano sul suo fisico più di quello che avrebbe creduto possibile.

Le ossa e i muscoli faticavano a trovare il riposo di cui avrebbero avuto necessità e iniziava a sentirsi a corto di riserve.

In fondo il morello che aveva scelto al posto di Monglik era un buon animale e gli stava rendendo un buon servizio, ma la ferita al dorso non gli dava requie e il suo fondo schiena non sembrava più fatto per passare intere giornate sopra una sella.

Senza rendersene conto diede un colpetto leggero sul collo all'animale, un imprevisto e inconsapevole gesto d'affetto, come aveva spesso condiviso con Monglik.

Si sorprese di averlo fatto.

Aggrottò la fronte e strinse forte il pugno nel ricordo dell'amico perduto.

Non voleva farlo e ora si sentiva in colpa, perché era come se ne avesse tradito la memoria, dando a un altro cavallo quello che aveva condiviso per decenni solamente con lui.

Si sentiva un debole, un vile.

In fondo non è nulla, si disse per giustificarsi, solo un gesto, sovrappensiero e stanco com'era, un'abitudine vecchia di decenni era uscita involontaria e l'aveva colto di sorpresa.

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