4) RITORNO A CASA (Prima parte)

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Accorgendosi che il braccio della Yaonai era ferito, Saaràn slacciò la fusciacca di seta gialla che portava al collo e l'avvolse delicatamente attorno al muscolo squarciato di Frassinella.

Zűin le aveva inferto un colpo violento, che le aveva lacerato i tessuti molli e arrivava in profondità fino all'osso.

Con quel poco di medicina che sapeva, il Naaxia capì subito che era un miracolo se l'arto non si era rotto in seguito all'urto e che la ferita avrebbe dovuto essere ricucita, ma purtroppo non aveva il necessario con sé.

Non aveva né ago, né tendini di animale per serrarne i lembi e in quella terra ricoperta di cenere non sapeva neppure dove li avrebbe potuti trovare.

Pazienza, per il momento avrebbe tentato di fermare l'emorragia, poi avrebbe pensato sul da farsi.

La pelle della donna era diversa dalla sua, fredda, molliccia, cedeva sotto le sue dita, eppure ora non ne provava più timore.

Nemmeno lo preoccupava impiastricciarsi le dita con quella sostanza gelatinosa che fuoriusciva senza posa dalla pelle lacerata.

La Sua Signora aveva bisogno di cure e lui non si sarebbe tirato indietro, avrebbe fatto ogni cosa in suo potere per aiutarla.

La linfa sgorgava dalla ferita a fiotti, pulsando da un'arteria recisa ad ogni spinta del cuore, tuttavia la Yaonai non se ne curava.

Non era nemmeno agitata. Era tranquilla, lo lasciava fare.

Lei sapeva che per quanto la ferita apparisse grave agli occhi di un uomo, una lacerazione come quella poteva essere mortale per un umano, ma non per una del suo popolo.

Da lì a poco le cellule del proprio corpo avrebbero iniziato a rimarginarsi.

Solidificandosi a una velocità cento volte maggiore rispetto a quella di un uomo, prima che fosse giunta la notte la lacerazione nei tessuti si sarebbe saldata da sola, nondimeno lo lasciò fare, quasi sbalordita da quel ribaltamento dei ruoli.

Credeva di essere lei a doversi prendere cura dell'uomo, invece, appena giunta nella sua terra d'origine, era avvenuto il contrario.

Era lui, il mite Saaràn, a curarla.

"Mia Signora, quella... Cosa... Zűin... Gioturna... ti ha fatto questo mentre fuggivamo da lei?" le domandò mentre avvolgeva piano attorno al muscolo il tessuto che si inzuppava rapidamente di liquido verde.

La Yaonai non gli rispose subito.

Lo fissò stupita, facendo appena un rapido cenno con il capo.

L'osservò attentamente mentre si affannava nel tentativo di contenere la fuoriuscita di sangue linfatico.

L'umano faticava, temeva di non riuscire ad aiutarla, eppure era lì, trepidante, faceva il possibile per riuscirci con quello che aveva a disposizione.

Era preoccupato per lei, per la sua salute, tentava di fermare come poteva la perdita di linfa, tuttavia, per quanto si prodigasse a tamponarla con le dita e con la stoffa della fusciacca, l'emorragia tardava a rallentare.

Goccia a goccia, il denso fluido verdastro che scorreva nelle vene della sua gente, scivolava lungo il braccio della donna e la fuoriuscita non accennava a diminuire.

Saaràn, che lei un giorno vide nascere in una misera Yurta spersa nella Steppa, ora, divenuto uomo, era teso e temeva per la sua vita.

Era talmente angustiato per la sua sorte da apparire così pallido e concentrato, che alla Yaonai sfuggì un involontario sorriso benevolo nel vederlo prodigarsi con tale accanimento per lei.

OCCHIO LIMPIDODove le storie prendono vita. Scoprilo ora