CAPITOLO 26

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"Ma con quale diritto mi manda bigliettini, non siamo mica all'asilo!" Borbottai fra me e me.

All'inizio avevo pensato di buttarlo e non farci caso, poi però avevo pensato che sarebbe stato utile ai fini della missione riprendere i contatti con lui.

Noi due, in realtà, non avevamo mai parlato molto, ma quelle poche volte che era successo, non avevamo fatto altro che provocarci a vicenda. Quando avevo scoperto della maledizione, avevo anche appreso che, mai come da quel momento, non potevo più farmi dominare da nessun tipo di emozione o avrei causato un vero disastro.

Quindi quello poteva essere un buon momento per mettere alla prova gli insegnamenti di Sato; dovevo parlare con colui che più di tutti sapeva irritarmi, senza cedere alle sue provocazioni.

In realtà non so se Sato sarebbe stato d'accordo con la mia scelta... sentivo già le sue parole: "Non devi distrarti Riley, c'è una missione che ti attende, non sprecare tempo con queste sciocchezze." Molto probabilmente avrebbe anche avuto ragione, ma quella poteva essere anche un'occasione per raccogliere altri dati su quello che stava accadendo a Bluebay.

Svoltai nel vicolo dietro il club facendo attenzione che nessuno mi vedesse, altrimenti non avrei saputo spiegare la mia presenza lì. Tutto era buio, ma non tanto da impedirmi di vedere che lì non c'era nessuno, a parte topi e scarafaggi. Stavo per tornare indietro quando qualcosa cadde dall'alto, o meglio qualcuno saltò giù dal tetto.

Quel qualcuno era esattamente chi stavo aspettando.

"Ti trovo bene Riley Davis." Ecco di nuovo quella sua voce graffiante che però pronunciava il mio nome con una lentezza esasperante.

"Anche io ti trovo bene, Caleb Stone!"

"Se non sbaglio," si avvicinò uscendo dall'oscurità, "ti ho già detto di non chiamarmi così..."

I suoi tratti erano spigolosi come ricordavo, i suoi occhi risplendevano nella notte e un accenno di barba colorava il suo viso. "Non ti chiamerò Traghettatore, quindi o ti fai andare bene Caleb o possiamo concludere il nostro incontro qui."

"Continui a sfidarmi, Riley... non hai paura di me?" Si era avvicinato tanto da essere a un palmo dal mio viso.

"Se l'avessi non sarei qui!" Riuscivo a sentire il suo respiro caldo lambirmi la pelle e il suo odore di muschio e menta avvolgermi.

"Allora non sei intelligente come credevo!" Si allontanò.

I suoi occhi si erano scuriti per un istante e un brivido mi era corso lungo la schiena. Ogni volta che ero con lui dimenticavo quello che era capace di fare. Era come se il suo modo di comportarsi fosse totalmente opposto rispetto a quello che percepivo da lui.

"Ti sbagli se credi che non sappia di cosa sei capace... so quanto sei pericoloso." Fissai i suoi occhi.

"Cosa ti hanno raccontato?" Non sembrava essersela presa per la mia insinuazione, sembrava piuttosto divertito.

"Sai benissimo cosa mi hanno detto, Caleb..."

"Ti stanno bene questi capelli..." cambiò argomento, "ti si addicono di più!"

Toccò le punte delle mie onde. La sua mano sfiorò per sbaglio la parte interna del mio collo e proprio come quella sera, prima della mia partenza, un ondata di calore mi travolse. Dimenticai i pensieri che mi affollavano la mente e l'unica cosa che riuscivo a pensare era che la mia pelle era sempre fredda, neppure i cappotti o i maglioni riuscivano a scaldarla; ma niente mi faceva sentire al caldo come il contatto con la sua pelle che pareva lava incandescente.

Cercai di ricompormi, non era il caso di sciogliermi come un dannato ghiacciolo...

"Non funzionano i complimenti con me!" Girai la testa così da liberarmi del suo tocco fin troppo destabilizzante.

Siamo ACQUA e FUOCOWhere stories live. Discover now