Springfield 2 Parte

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I ragazzi erano in fila per il bagno e per pagare il conto, mentre Emily era rimasta al tavolo a tenere le borse delle sue compagne, che si erano assentate per lo stesso motivo.

I resti del pranzo, appena consumato, testimoniavano l’appetito che aveva risparmiato solo qualche foglia di insalata e un paio di patatine fritte, ormai rinsecchite. Avevano mangiato all’aperto approfittando del sole, inaspettatamente apparso dopo una breve precipitazione.

Emily stava controllando il cellulare, ma nessuno l’aveva cercata, nemmeno con un banale messaggio. Alzando gli occhi fu piacevolmente sorpresa nel vedere, accanto a lei, un cameriere che le sorrideva.

Era un uomo sulla quarantina, ben pettinato, la cui uniforme da lavoro era pulita, nonostante i pericoli su cui poteva incappare. I denti erano perfettamente dritti e le mani curate, le dita piuttosto lunghe e forti. Non aveva trascurato nessun dettaglio passando dalla testa ai piedi.

«Posso portare via?» chiese gentilmente.

Perfino il tono della voce le sembrò affascinante, quasi quanto la barba curata.

«Sì» rispose frettolosamente, deglutendo.

Lo fissava senza farsi notare mentre ricomponeva con una certa maestria e velocità i piatti nel vassoio. Infilava ordinatamente le salviette usate in un contenitore, recuperava le stoviglie disponendole sopra la pila di piatti.

Assorta nei suoi pensieri, si chiedeva che storia avesse costui. Se avesse una moglie che lo aspettava, nonostante le mani non avessero anelli, da dove venisse, come mai era finito a lavorare come cameriere, se era quello che aveva sempre voluto fare o se custodiva altri desideri che non aveva realizzato.

«Come mai da queste parti?» chiese interrompendo il flusso di pensieri.

La domanda la colse a bruciapelo come un ladro nella notte.

«Sono in viaggio» le uscì scombinatamente, un po’ come il suo modo di vestire.

«Per dove?»

Emily alzò gli occhi pavidi e per un breve istante incrociò lo sguardo dell’uomo ma si ritrasse nuovamente, voltandosi verso una bottiglia vuota di birra, un po’ come le sue argomentazioni. Avrebbe voluto essere bella e profumata, vestita di tutto punto. Invece indossava un semplice paio di jeans, una felpa sgualcita e scarpe da ginnastica ai piedi. L’aspetto più tragico erano i capelli raccolti alla rinfusa.

«Mi scusi, non volevo essere invadente» aggiunse, visto che una risposta tardava ad arrivare.

«No, mi ero distratta…» si giustificò arrossendo. «Stiamo andando a Los Angeles.»

Si fermò nello smistare i bicchieri, rapito da quella risposta.

«A Los Angeles ci sono stato una volta e mi piacerebbe tanto ritornarci. Ci è già stata?»

«No, in verità mai». In quell’istante odiò i suoi vestiti che la facevano sembrare uno scafandro.

«Oh vedrà come le piacerà! Le spiagge della California non hanno paragoni e poi la città offre molte opportunità per svagarsi. Ci sono molti locali alla moda e posti in cui divertirsi! Los Angeles dista parecchio da qui. Saranno quattro ore di aereo.»

«Noi andremo in macchina.»

«Allora le ore aumenteranno di parecchio!»

«No, in realtà stiamo facendo un tour del paese.»

A quella risposta rimase stupefatto.

«Deve essere straordinario. Se potessi verrei con voi! Ma purtroppo sono costretto a lavorare in questo posto che sa di fritto!»

Lo guardò inebetita, un misto tra l’imbarazzo e l’eccitazione.

Per la prima volta la scelta, fuori dagli schemi che aveva intrapreso con enorme difficoltà, era stata definita straordinaria.

Tuttavia avrebbe voluto che lui le mentisse, che quello sconosciuto dai modi affabili la invitasse a restare. Che le dicesse che voleva fare con lei quel viaggio, che poteva lasciare tutto per lui, che potevano essere una coppia e un giorno una famiglia. Si commosse al solo pensiero di come la vita ci regali questi sogni ad occhi aperti, di come noi diventiamo protagonisti di un mondo immaginario, di esistenze parallele dove tutto è possibile, dove solitarie Cenerentole sposano il marito tanto atteso.

In fondo, quell’uomo dalla voce rassicurante era gentile e interessato, forse anche a lei come donna. Fantasticava pregando che il destino potesse darle una mano, che per una volta la fortuna potesse baciare lei, e lei per assurdo il cameriere.

Lo osservava mentre faceva il suo lavoro con diligenza e serenità, come se la routine non gli pesasse ma fosse una sicurezza entro cui costruire una vita, lo stesso che tanto aveva ricercato anche lei. E per un breve istante credette davvero che un miracolo si potesse compiere. Desiderò in fondo al cuore che per qualche strano gioco del destino lui le avrebbe chiesto il numero di telefono o di risentirsi.

L’autorevole voce di Brenda si intromise nella galoppante immaginazione di Emily, interrompendo l’idillio.

Il cameriere si congedò da lei frettolosamente e senza troppi complimenti. Com’era apparso, era altrettanto velocemente svanito verso il corridoio.

Era ora di andare ed Emily, sola al tavolo, aveva perso di nuovo.

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