Springfield 1 Parte

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Springfield, Illinois

«Quanto manca all’arrivo a Springfield?» chiese Amber, annoiata sull’ultimo sedile del van, guardandosi le mani che avevano bisogno di una manicure.

Ormai le lussureggianti praterie, situate nella parte centrale dell’Illinois, avevano preso il sopravvento sulla vasta e industrializzata area metropolitana di Chicago, che si erano lasciati alle spalle. Solo qualche casa, persa nel pianeggiante passaggio, spuntava a ricordare la presenza dell’uomo, rompendo la visione d’infinito.

Kiki osservava il paesaggio fuori dal finestrino, una distesa di colture del medesimo colore, un po’ come i giorni, tutti simili della vita. Chissà se mai avrebbe dipinto un paesaggio così malinconico e quieto, riportandolo nelle sue tele che poi avrebbe voluto restituire al mondo stesso, sotto forma di emozioni.

Logan gli era seduto accanto, visto che era stato sostituito da Aberdeen alla guida del pick-up e non proferiva parola.  Si limitava a guardare davanti a sé, concentrato su pensieri indecifrabili.

D’improvviso chiese all’artista di passargli la bottiglietta d’acqua sotto al suo sedile e lui gliela porse educatamente. I due si stavano ancora cautamente studiando.

«Pensi a un prossimo quadro?»

«No» disse scuotendo la testa, distogliendo l’attenzione dal paesaggio di fuori. «No, affatto»  ribadì e cercò di sviare il discorso su un altro argomento.

«Beh, e tu cosa fai di bello a Seattle? Non vieni da lì, giusto?»

«Sì esatto, dallo stato di Washington. Fino a poco tempo fa insegnavo nelle scuole. Ho una laurea in lettere.»

«Ah, quindi sei uno di quei professori sempre composti e diligenti. Ora capisco da dove viene il senso dell’ordine.  Non hai mai niente fuori posto, tutto sotto controllo.»

Logan sorseggiava dalla bottiglietta ascoltando con attenzione.

«Io invece sono l’esatto contrario. Ho la testa per aria e perdo sempre le cose! Il senso dell’ordine non fa parte di me.»

«Forse dipende dal fatto che hai viaggiato tanto e non ne avevi il tempo.»

«Sì forse, ma fin da piccolo sono stato così. Con poca voglia di studiare, sempre arrivando alla sufficienza! Inutile dirlo che il massimo dei voti li ottenevo in educazione artistica.»

Kiki era molto espressivo nella sua gestualità.

«Posso farti una domanda?»

«Sì certo.»

«Che cosa senti quando dipingi?»

Tirò un sospiro di sollievo. Lo sguardo silenzioso e severo di Logan un po’ lo metteva in soggezione, sempre pronto a studiare i particolari.

«Non te lo so spiegare. È un potere che trascende qualsiasi volontà, come se non dipendesse da me.»

Sai, ho lasciato tutto per la pittura. La mia città, la mia ragazza e la mia famiglia.»

E tra il finestrino e i suoi occhi ricomparvero i ricordi misti ai rimpianti per quell’addio sofferto per seguire quella passione, che non riusciva a spiegare a parole al compagno seduto di fianco.

«E così hai lasciato le tue radici per inseguire una voce irrazionale.»

Fece sì con il capo ma non profuse più parola.

Logan, da acuto osservatore, intuì l’amarezza dello sguardo malinconico di Kiki, che non poteva più vedere perché si era già girato nuovamente verso il paesaggio di fuori, probabilmente senza vederlo, immaginandosi piuttosto che i suoi occhi tristi potessero visualizzare tutti i sacrifici fatti per la pittura e tutte le delusioni che erano arrivate immediatamente dopo.

«Forse abbiamo sbagliato direzione» disse a voce alta, ma nessuno ne colse il senso.

Non si riferiva alla strada, bensì a Kiki, che aveva lasciato tutto ma soprattutto se stesso per aver perso ogni cosa per inseguire il suo sogno.

Brenda, seduta composta nel sedile davanti, era immersa nella lettura. Il libro sembrava piuttosto impegnativo visto il volume, ma non sembrava scalfire minimamente la sua concentrazione. Di fianco a lei era seduta Emily, assorta nei suoi pensieri, impressionata dal volume che teneva tra le mani Brenda. Lei al massimo avrebbe optato per un giornale di gossip per dilettarsi con le ultime indiscrezioni sui divi dello spettacolo e i loro fugaci amori e drammi da copertina patinata.

Jacob era unicamente focalizzato sulla strada, mentre un silenzio irreale era caduto su di loro, ormai da un po’.

Fu Amber a spezzare la quiete con un lamento inatteso.

«Non mi sento bene.»

Brenda alzò lo sguardo dalle pagine. Emily si portò le mani alla bocca, già in preda all’ansia, e Kiki invece continuò a ripensare al suo passato.

Logan, pragmatico e determinato, le chiese se volesse che si fermassero e lei fece di sì con la testa. Le strinse la mano e la rassicurò, dopo aver appurato che non aveva la febbre. Poi con voce ferma chiese a Jacob di arrestare l’auto il prima possibile. Obbedì senza commentare, accostando in fretta e furia sul primo spiazzo disponibile. Non c’era anima viva intorno. Avevano scelto strade secondarie, in cui la desolazione regnava incontrastata.

Logan la sorresse accompagnandola fuori dalla vettura, al lato della strada. Le fu accanto e non si perse d’animo, nemmeno nel momento in cui i conati di vomito presero il sopravvento sul quel corpo che tanti uomini avrebbero voluto avere.

Le passò dei fazzoletti e dell’acqua per darle un po’ di ristoro. Lei non parlava. Era pallida e provata. Lui era forte e paziente, per nulla scosso dalla scena.

Il resto del gruppo in disparte si sgranchiva le gambe, mentre Jacob si rilassava con una sigaretta.

Logan, vedendola tremante, tornò verso l’auto, le prese una coperta e gliela mise sulle spalle.

Piano piano il colorito tornò normale e il tremore cessò. Amber, sollevata, accennò a un sorriso di ringraziamento, segno che potevano ripartire.

Logan non la perse di vista un istante, riaccompagnandola in auto. Le tenne la mano per tutto il tragitto, mentre lei, sfinita, si lasciò cullare verso il mondo dei sogni.

Le macchine correvano spedite, mentre lo stesso impenetrabile silenzio che c’era prima dell’improvvisa fermata tornò a regnare, a dispetto del cielo azzurro e delle nuvole bianche, che li scortavano in direzione di Springfield che avrebbero raggiunto tra qualche ora.

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