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Detroit 5 Parte

Logan e Amber erano seduti nel pick-up che trasportava tutte le valigie del gruppo, caricate solitamente da Jacob per tutti. Il van li precedeva in direzione di Detroit, mentre lei osservava le ultime gocce sul parabrezza fuggire via, vinte dal vento.
D’improvviso la sua dolce voce spaccò il silenzio, infilandosi tra le note malinconiche della radio in sottofondo.
«Fino ad ora sei il componente del gruppo con cui ho parlato meno. Mi piacerebbe conoscerti.»
«Non mi piace parlare di me.»
«Sei timido?»
«Più che timido, riservato» rispose mantenendo una naturale compostezza.
«Proprio nulla?» insisté battendo le ciglia come era abituata con i suoi clienti.
E quel gesto innocuo quanto malizioso lo spronò ad aprirsi.
«Posso dirti che sono nato a Seattle in una famiglia di cinque fratelli e io sono il più piccolo. Ho avuto un’infanzia e un’adolescenza come tanti altri ragazzi, più o meno normale.»
Amber impallidì a quelle parole, e voltò lo sguardo in direzione del finestrino verso un’ultima goccia che fuggì via, quanto i suoi pochi felici ricordi della sua tenera età.
Logan non ci fece caso e proseguì.
«Mi sono laureato in letteratura e ho cominciato a lavorare come insegnante, viaggiando per il paese.»
Era sempre piuttosto restio a dare troppi particolari sulla sua vita personale.
«E tu invece di cosa ti occupi?»
«Ma come, non lo sai?»
Scosse la testa.
«Faccio la ballerina di lap dance.»
Logan non si scompose, tenendo le mani saldamente al volante, e la reazione la colpì piacevolmente.
«Sì insomma la spogliarellista» ammise la ragazza, per assicurarsi che lui avesse capito, girandosi verso di lui.
Continuò a tenere la posizione composta, come se le avesse confessato di fare la maestra d’asilo.
«A New York, giusto?»
«Sì, ho lavorato in diversi club di Manhattan ma sono cresciuta tra Brooklyn e il Bronx. Sai, non tutti possono permettersi di vivere a Midtown.» E sorrise.
«Ma guadagnavi bene con il tuo lavoro?»
«Sì abbastanza. Ma ho speso tanti soldi in cose inutili.»
E buttò i capelli biondi all’indietro sul poggiatesta e la freschezza del suo profumò arrivò fino a Logan.
«Sai, i trucchi, i vestiti e le scarpe per noi donne sono un anestetico contro le nostre mancanze» confessò senza paure.
Logan, attraverso uno sguardo fugace, notò il microabito firmato, le scarpe nuove in coordinato e il trucco pesante a risaltare gli occhi chiari.
«E sono una brava ballerina, sai?»
«Lo immagino.»
«È proprio vero che parli poco!»
E il suo silenzio ne fu la conferma.
«Sai, come spogliarelliste dovevamo essere ammalianti e provocanti con i clienti» e lo sguardo fuggì al di fuori verso una macchina che li stava superando, «ma io adoravo ballare e scatenarmi con la musica. È sempre stata parte della mia vita, specialmente nei periodi passati in orfanotrofio.»
Logan non ebbe il tempo di dire nulla, tanto lei era veloce e insaziabile da riempire ogni minuto del suo tempo.
«E a te piace la musica?» lo incalzò.
Ma ancora una volta temporeggiò troppo nel rispondere, così che il suo sì fu sovrastato dal volume della radio che aveva alzato al massimo.
«Questa è bella! È una delle mie preferite» e cominciò a muoversi e a cantare.
E perfino la serietà di Logan si smosse, vinta da tanta allegria, mista a un pizzico di irrazionalità.
E il suo corpo statuario in balia delle note si faceva trasportare come una barca dalle onde del mare, partendo dolcemente per poi prendere velocità e ritmo.
«Ma perché non ti scateni anche tu? Non la senti la musica?»
«E come potrei? Devo guidare» rispose un po’ imbarazzato.
«Ah, voi uomini una cosa alla volta riuscite a fare» scherzò continuando a muoversi per non perdere il ritmo. «Lo farò io per te allora!» Si contorse e si sbizzarrì come poteva, nello spazio tra la cintura di sicurezza e il sedile dell’auto.
Logan la guardava divertito, affascinato da tanta naturalezza e da una bellezza che poche volte aveva incontrato nel suo cammino.
E così seguì per gran parte del viaggio, intervallando ritornelli cantati a squarciagola a confessioni più o meno profonde di sé.