Washington DC 6 Parte

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Intanto di sotto, nascosto da un grosso albero, Kiki iniziò a tracciare con la sua abile mano i primi schizzi su una tela, mentre Amber sorrideva, godendosi la primavera in quell’angolo del parco che aveva fatto suo, senza accorgersi che lui stava rendendo quel momento eterno.

Era bella, stretta nella sua camicetta bianca appena sbottonata, con il suo giovane viso e gli occhi brillanti. Un filo di trucco e i capelli appena lavati che profumavano di libertà, accarezzati da un leggero vento. Le sue mani curate e delicate a scompigliare di tanto in tanto i capelli all’indietro, per poi scivolare dolcemente a contornare il volto dal quale traspariva un sorriso bianco e naturale, quello dell’innocenza. Il sole scintillante a sprazzi le illuminava il viso, dando risalto agli occhi blu profondi come il mare d’Alaska.

Il suo sguardo fissava quel paesaggio rasserenante, come a prenderlo su di sé e irradiarlo verso l’esterno. Sembrava gioiosa e malinconica, come se potesse racchiudere l’essenza della felicità e del dolore in un unico viso, come il nero e il bianco a fondere e a dar sfogo al colore grigio. Le mani di Kiki andavano da sole, come se dovessero cogliere quell’istante effimero in cui tutta la bellezza si concentra.

Sullo sfondo si ergeva massiccio il Washington Monument, un obelisco prominente e maestoso in memoria del primo presidente della nazione. Il marmo e il granito spiccavano contro l’azzurro incontaminato del cielo, che faceva da contorno, spaccato da una differenza di colore che denotava l’interruzione nella costruzione avvenuta per diversi anni, ancora visibile nella struttura.

Il verde del prato intorno esaltava la candida ingenuità di Amber e lo specchio d’acqua al centro rifletteva i raggi del sole, ondeggiando con i contorni dell’obelisco che incurante si rispecchiava di sotto. I colori caldi e vivaci della primavera davano un senso squisitamente rasserenante al quadro, l’idillio di un parco che poteva essere scambiato per il paradiso.

Il soggetto più bello era decisamente lei in primo piano, con le gambe allungate mentre buttava la testa all’indietro e appoggiava le mani saldamente a terra per farsi dolcemente sfiorare da ogni tiepido raggio. L’artista cercava meticolosamente di scegliere il colore giusto per gli occhi, che esprimevano vita e solarità e allo stesso modo emanavano un bagliore quasi impercettibile di una malinconia sopita, un punto grigio di una tristezza infinita, che aveva le sue radici nell’anima.

Kiki voleva cogliere questo: la straordinaria bellezza che racchiudeva un dolore umano, qualunque esso fosse e in cui chiunque potesse rispecchiarsi, per richiamare attraverso le sue indelebili pennellate gli stessi tratti impressi in ogni uomo che avesse percorso la strada intricata verso i propri sogni.

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