Non sarà un addio, vero? (pt. 1)

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Guardava la porta dell'ufficio del preside davanti a sé, torturandosi le mani e mordendosi il labbro inferiore, in ansia.

I loro genitori erano lì dentro da dieci minuti. Visto e considerato ciò che la foto raffigurava e ciò che era successo in corridoio, ne avrebbero avuto ancora per un po'. Un bel po'.

Voltò il viso verso il ragazzo che aveva accanto. Lo vide mentre si teneva una borsa del ghiaccio premuta contro il viso. A separarlo da Frank c'era solo una sedia. Una sedia come barriera, una sedia come ultimo ostacolo. Era così poco, ma nessuno dei due aveva il coraggio di fare il primo passo.

Il più basso era confuso, non capiva più nulla. Gerard aveva picchiato Dylan per...per...lui? Perché lo aveva fatto?

E, inoltre, gli aveva detto di amarlo. Il che non aveva senso, dato che, quanto, due giorni prima? aveva dichiarato il contrario. Si sentiva più preso in giro che mai. Eppure gli occhi del maggiore erano così vivi, sembravano così sinceri mentre pronunciava quelle due semplici parole. Ti amo.

Ti amo.

Un brivido gli percorse la schiena.

Dentro Gerard invece era in corso una vera e propria guerra. Una parte di lui gli diceva di star zitto, che ormai erano finiti, la loro fotografia era stata vista da tutti, ora sarebbero stati lo zimbello della scuola, più di quanto non lo fossero già. L'altra, invece, non vedeva l'ora di stringere Frank ed era fiera di ciò che aveva fatto, perché era stata la cosa giusta. Al diavolo le conseguenze. Doveva esserci per Frank, esserci per difenderlo. Se fosse mai crollato, lui sarebbe stato lì per aiutarlo a rialzarsi. L'aveva deciso proprio in quel momento, proprio dopo essersi liberato dal peso del ricatto di Marceline. Semplicemente, esserci.

Sempre.

Il silenzio che c'era tra loro due era estremamente imbarazzante e carico di tensione. Entrambi stavano per cedere. Frank sarebbe presto esploso, aveva troppe domande. E per Gerard era lo stesso, aveva troppe cose da raccontare.

Dylan era stato portato in infermeria.

Mikey e Ray erano tornati a casa insieme. Erano quelli che avevano partecipato meno alla rissa, e, dopotutto, nessuna loro immagine poco consona era stata proiettata davanti a decine di studenti.

Marceline era invece stata ripresa dalle insegnati e dal preside per più di un'ora. Il suo atto non era stato dei migliori ma, quantomeno, non aveva preso a pugni chicchessia.

Quando poi il padre di Frank era arrivato a scuola, subito dopo esser stato chiamato, aveva lanciato al figlio uno sguardo di fuoco. Quest'ultimo non era riuscito a vedere Donna e Donald Way. Erano arrivati poco dopo Anthony; li conosceva: a volte, andando a casa di Gerard, vi aveva scambiato due parole. Niente di più. Erano due persone simpatiche, alla fine.

Passarono cinque minuti, quando uno dei due decise che era ora di rompere il ghiaccio.

Il maggiore si alzò, sospirando, sedendosi nella sedia di mezzo. Congiunse le mani, allargò un po' le gambe e chinò il capo, guardando a terra.

Sentì Frank deglutire.

«Gerard...»

«Frank, mi dispiace.» Mormorò, bloccando l'amico prima che potesse dire altro. «Mi dispiace tanto, io...Tutto questo...Ho una spiegazione, credimi, io...»

«Tu mi ami?»

Gerard alzò il volto, puntando gli occhi in quelli di Frank. Annuì impercettibilmente.

«Da impazzire.»

Il ragazzo coi piercing sorrise debolmente, per poi tornare subito serio.

«Allora perché a casa mia mi hai detto quelle cose? Lo sai come...Come sono stato? Tu mi hai fatto credere di avermi preso in giro, di averti pers...» Non riuscì a terminare la frase. La voce gli si era spezzata. Si sentiva una tale femminuccia. Ma dopotutto stava solo male, e che colpa ne aveva? Tutti soffrono. Tutti si deprimono, è totalmente normale.

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