Vattene.

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Lo sentì sbattere la porta.

Lo sentì salire le scale.

Entrava in casa sua come se nulla fosse, nemmeno bussava.

Arrivò alla sua camera.

Non entrò, si limitò ad appoggiarsi allo stipite della porta.

«Ehi, Frankie.» Salutò, sorridendo.

Frank prese un respiro profondo.

Era seduto sul bordo del letto, gli occhi chiusi.

Li aprì, puntandoli in quelli dell'amico.

«Vaffanculo Gerard, dobbiamo parlare.»

-

Dopo una settimana, le cose andavano avanti allo stesso modo.

I primi giorni poteva capire.

Magari doveva studiare, anche Mikey sosteneva quest'ipotesi, e dello stesso parere era Ray.

Quei due sembravano sempre d'accordo su tutto, e nella maggior parte dei casi erano talmente imparziali che era impossibile non credergli.

Ma più il tempo passava più i dubbi l'assalivano.

A scuola, ogni ricreazione, ogni volta che veniva evitato, si infuriava come non mai.

Ma quando Gerard si presentava a casa sua, lo sguardo basso mentre gli chiedeva di scusarlo per non avergli parlato, ecco che il risentimento evaporava, puf, sparito.

E quando sorrideva era un'altra emozione a sopraffarlo, molto più piacevole della rabbia, che lo portava a fare pensieri molto meno casti ma decisamente più dolci dello strangolare il più alto.

O in alternativa urlargli contro.

Si diceva sempre "oggi esigo spiegazioni", ma puntualmente tutto il suo buon senso veniva messo a tacere dalle labbra dell'amico che si adagiavano in modo quasi impercettibile sulle sue, lasciandogli correre un brivido per tutta la schiena.

Non capiva, cosa lo tratteneva?

Probabilmente la paura di un'eventuale lite che avrebbe di nuovo allontanato Gerard.

Il punto era che lui però quella lite la voleva, non gli andava di essere considerato un passatempo pomeridiano, dannazione, erano molto più di questo.

Forse gli aveva mentito dicendogli di piacergli, però, tralasciando quella storia, erano pur sempre amici da anni, e non poteva gettarlo via come se nulla fosse e rispolverarlo solo quando erano indisturbati nella sua camera da letto.

Non poteva, no, non poteva.

Eppure sembrava non gli importasse.

Anzi.

La maggior parte delle volte sembrava dispiaciuto, mentre porgeva a Frank le sue scuse. Ma comunque non faceva nulla per rimediare.

Dopo una settimana e quattro giorni precisi, Frank si fece coraggio.

Quando l'amico venne a bussare alla sua porta lo raggiunse subito, rischiando di cadere dalle scale.

Gerard teneva le mani in tasca, un sorriso tirato in viso.

«Ciao Frank.»

«Oh, ehi, entra.»

Si fece da parte, permettendogli di passare.

«Andiamo in camera tua?» Chiese. Sembrava impacciato. Era abituato ad entrare da solo, tanto la porta era sempre aperta, e raggiungere il più basso al piano superiore.

I'm not o-fucking-kay.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora