La fine dell'inizio...

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Kylian

Scivolava via il tempo. L'amarezza per non aver conquistato nulla in Champions League era troppa, e il campionato non bastava per colmare quel vuoto. La stagione si può dichiarare fallimentare per tutti, dal primo all'ultimo membro di questa squadra, se la si può definir tale. Nei giorni successivi a quella maledetta sera, andare all'allenamento sembrava come presentarsi ad un funerale. Zero risate, zero chiacchiere... Solo lavoro, lavoro e ancora lavoro. Non era un bel momento, ma sarebbe passato anche quello. Rimanevo in contatto ogni giorno con i miei genitori: ogni sera Papà mi chiamava: "Kylian hai visto? Quello non é l'ambiente per te. Serve che cambi aria per il tuo bene della tua carriera". Stavo incominciando a tentennare: effettivamente qui in Francia non avrei potuto essere più di quello che ero in quel momento. Ero in cima alla classifica marcatori e assistman, giocavo nella squadra più forte e avrei potuto vincere il campionato più e più volte. Ma il problema era un altro: mi trovavo in una società che ragionava con il portafoglio in mano piuttosto che con la testa. Eravamo dei burattini di Al Khelaifi, e guai a disubbidirli. D'altro canto però, le casse del club erano in rosso, perciò sarebbe stata l'occasione perfetta per andar via senza che i dirigenti battessero ciglio. Allo stesso tempo sarebbe stato un gran dispiacere: ho già vissuto fuori da Parigi, ma questa volta voleva dire andarmene via per tanto tempo, non solo dalla mia città, ma anche dalla Francia. Avrei dovuto adattarmi in una nuova città, con ritmi diversi da Parigi, e una squadra che chissà come mi avrebbe accolto. Le offerte non mi mancavano: avevo il Real Madrid, che sicuramente mi avrebbe offerto la possibilità di vincere tanto, sia in Spagna, sia in Europa. Sarebbe stata anche la meta più gradita da papà. Forse perché si ricordava della mia passione per i Blancos quando ero piccolo, tutti i soldi che spese per comprarmi quei poster di Ronaldo, o la sua maglia e della squadra più vincente della storia in Champions League; Sempre in Spagna e un po' più vicino alla Francia c'era un Barcellona, che piano piano si stava rialzando dai problemi economici. Erano rimasti orfani di Messi perciò poteva essere una sfida importante quella di rilanciare questa squadra con tanti miei coetanei o quasi. Sicuramente però, non avrei potuto vincere da subito. Era una sfida interessante perché lì giocò uno dei miei calciatori preferiti che ho avuto l'onore di conoscere dal vivo e capirne anche il valore umano: il suo nome é Thierry Henry. Però non mi convinceva del tutto la destinazione ed ero sicuro che anche Titi non mi avrebbe mai consigliato quella squadra. Per il mio futuro, Papà ebbe contatti anche con qualche squadra inglese. La Premier é indubbiamente il campionato più affascinante del mondo, ma forse anche uno dei più tosti. Le due squadre di Manchester erano le più interessate, ma per motivi diversi: una delle due però mi avrebbe dato la possibilità di giocare proprio insieme a Cristiano Ronaldo. Esatto... Proprio il Manchester United: una squadra che ha storia da vendere e un tifo davvero incredibile. Anche loro però come il Barcellona, stavano affrontando un ricambio generazionale non indifferente, e quindi le cose si rivedevano in campo. La Champions, infatti, la vedevano con il binocolo; Sull'altra sponda c'era il Manchester City. Lo lascio come ultima opzione proprio perché l'aria che si respira qui al Paris é la stessa che respirerei al City. E come faccio a dirlo? Basta vedere i loro risultati. Ogni anno arrivano a vincere il campionato, o al massimo arrivano secondi, e poi in Champions vengono eliminati quasi sempre. Non hanno mai vinto quella Coppa, l'unica che nonostante la mia età, mi manca da alzare. Resta da capire, con chi e quando. Il dove non importa. Mi basta vincerla, magari anche più di una volta.

Nafris

Credo di non aver mai sentito un'ansia come in questo periodo. Il tempo passava molto velocemente, andava via, correva. L'esame era alle porte ormai. Era un periodo in cui mangiavo e dormivo poco. Nel poco tempo libero, cercavo di rilassarmi il più possibile, ma la mente viaggiava. I pensieri correvano di giorno e notte, senza rispettare precedenze. In famiglia si erano accorti della mia situazione, e per questo mi proposero spesso di staccare un po' dallo studio intensivo, ma in generale dalla mia routine: "Che ne pensi di andare al lago? Prendiamo le canne, andiamo a pescare". Mio padre me lo chiese perché era un appassionato di pesca, e spesso trascinava anche me con il resto della famiglia. Non era proprio una mia passione, ma sicuramente mi avrebbe dato la possibilità di svagarmi un po'. Fu così che andammo, un sabato mattina. Quel giorno Kylian giocava alle 3, quindi non ero sicura di poterlo vedere, ma forse era anche un modo per staccarmi dalla routine quotidiana: lo pensavo spesso, a volte troppo, anche esagerando. Era bello che parlassimo, che ci fossimo incontrati... Ma come potevo essere innamorata di una persona come lui? Che sicuramente avrà avuto altre priorità, altri pensieri e altre ragazze attorno? Certo, anche lui mi ha scritto dei messaggi belli, che mi hanno fatto pensare di essere speciale per lui. Ma se fosse solo un grande attore? Non so. In ogni caso, rimasi incantata dal paesaggio che mi trovai davanti: la strada era brutta, dissestata e poco curata. Ma arrivati al lago spalancai gli occhi: Papà aveva azzeccato il posto? Assolutamente sì. Mi disse che era il Lago Paradiso. Non era il classico stagno con l'acqua grigia, gli alberi morti e la puzza di fogna. E questo non lo dico per caso, perché girando un po' nei dintorni di Torino non avevo trovato laghi diversi dalla descrizione soprastante. Questo posto aveva qualcosa di magico: una vasta foresta verde con degli alberi altissimi e fittissimi circondavano il vastissimo lago dal colore azzurro, che sembrava dipinto da Claude Monet per via dei giochi di riflesso che vi erano in quell'acqua. Con il cielo terso e un sole di primavera, tirava una fresca brezza che non era quella di mare, ma dovevamo accontentarci. Passai un paio d'ore dove non pensai a niente: Papà mi coinvolgeva spesso: "Prendimi un'esca... Tu che vedi meglio di me, dov'é il galleggiante? Ha abboccato? Lancia tu!". Ma il momento più bello forse fu il pranzo. Alla fine Papà aveva convinto anche mamma e mio fratello a venire. Trovammo uno spazio con un piccolo pezzo di prato e stendemmo la tovaglia. Era tutto bellissimo: ci sedemmo per terra per mangiare e sentii una leggerezza che non sentivo da tanto tempo: spesso prima di un pasto avevo lo stomaco chiuso. Avevo le paranoie che mi affliggevano. Ma con quell'atmosfera fantastica, quell'aria pulita, quel silenzio interrotto solo dalle cicale, mi sentivo bene. Ciò che mangiammo non fu neanche frutto di grandi preparazioni: Dei semplici e anonimi panini. Ma che mi sembrarono i più buoni del mondo. 

Quello Che FuWhere stories live. Discover now