52. Quaderno blu e bugie

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"Papà!" urlai cadendo dalla bicicletta. Ero in giardino e avevo deciso di provare ad andare da sola, ma ancora non riuscivo a mantenere bene l'equilibrio.

Mio padre corse da me preoccupato e mi aiutò a rialzarmi. "Ti sei fatta male?" chiese, controllandomi. Annuii. Mi usciva un po' di sangue dal ginocchio e mi bruciava.

"Ma perché non mi hai detto che volevi usare la bici?"

"Perché volevo farlo da sola" spiegai, mentre mi aiutava ad alzarmi.

"Ma non c'è niente di male a chiedere aiuto al tuo papà se ancora non riesci a stare in equilibrio" disse, mettendo l'acqua ossigenata sulla ferita. Urlai dal dolore.

"Fa male!" mio padre continuò, prendendo poi un cerotto.

"Se non avessi fatto tutto di nascosto adesso non ti farebbe male"

***

Ero sotto la doccia a pensare cosa dire o fare durante l'incontro con Jace. Perché aveva scritto quella mail? Sembrava così gentile e non era per niente da lui. All'inizio lo era stato, ma poi si era dimostrato una persona orribile. Potevo capire il suo odio nei confronti di Harry, ma non poteva vivere una vita intera alla ricerca della vendetta.

Mi preparai velocemente, indossai un pantalone nero a vita alta e un top bianco con una giacca nera sopra. Per recarmi al luogo dell'appuntamento decisi di chiamare un taxi, tenendo fuori le mie guardie del corpo per evitare che riportassero qualcosa ad Harry. Glielo avrei detto io. Si sarebbe arrabbiato? Si, ma mi sarei fatta perdonare. Avevo l'occasione di poter riavere indietro la mia musica ed essere libera da un possibile scandalo a inizio carriera. Harry avrebbe peggiorato la situazione, non sarebbe stato razionale e non potevo giocare male le mie carte.

Durante il tragitto ero molto nervosa, mi tremavano le mani. Volevo che finisse ancor prima di iniziare.

Jace mi mandò una mail, dicendomi che mi avrebbe aspettata all'ingresso del River Cafè. Scesi dall'auto, pagai e raggiunsi l'entrata. Eccolo li, vestito con una camicia nera e dei pantaloni beige. Appena mi vide comparve un sorriso sulle sue labbra. Ne accennai uno di rimando e mi avvicinai.

"Buonasera, Stone" disse. Sentirmi chiamare per cognome da lui non mi piaceva. Lo paragonavo al modo in cui lo diceva Harry, come se fosse una sua esclusiva.

"Alwyn" dissi, drizzando le spalle. Una gentile cameriera ci accompagnò al nostro tavolo. Era abbastanza appartato, lontano da occhi e orecchie indiscrete. Ci sedemmo e Jace ordinò del vino.

"Per me acqua, grazie" dissi, ricordando com'era andata l'ultima volta che avevo bevuto con quell'uomo. Jace mi guardò, e si lasciò scappare un ghigno. Mi coprii il viso con il menù, lasciando scappare una smorfia. Volevo scappare, non era stata per niente una buona idea, mi sentivo a disagio.

"Stone" mi chiamò Jace per attirare la mia attenzione. Lo guardai da sopra il menù, aspettando che continuasse a parlare.

"Giuro che sono qui in buona fede, puoi stare tranquilla". Quell'aria calma che usava non mi convinceva per niente.

"Ok" sospirò lui. Tirò qualcosa fuori dalla giacca che aveva poggiato sulla sedia e la posò sul tavolo. Posai ciò che stavo leggendo e lo vidi. Era il mio quaderno. Era li davanti a me. Il mio sguardo slittava dalla faccia di Jace all'oggetto che tanto avevo desiderato in quelle settimane.

Allungai la mano per prenderlo, ma Jace lo tirò a se, mimando un no con l'indice.

"Se prometti di rilassarti e accettare le mie scuse te lo ridarò molto volentieri" spiegò, muovendo il quaderno come fosse una bandierina. Lo fulminai con lo sguardo. Non avevo voglia di sentire le sue scuse, ma se fingere di accettarle mi avrebbe ridato indietro la mia vita, lo avrei fatto subito.

▪G R E E N▪ {H.S} Wattys2019Where stories live. Discover now