⚜Un fior di Anemone (pt 1)⚜

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I denti della spazzola affondano delicatamente nei miei capelli, non ne ho avuto contatto fisico da giorni e la serenità che mi dona mi rilassa e allontana da qualsiasi pensiero.
Mi è mancata questa fragranza di cenere e calce sotto le narici e la freschezza della pelle sotto la blusa.

Alzo gli occhi al riflesso di mia madre, ella è così cimentata a pettinare i miei boccoli che non si accorge del mio sguardo posato su di lei.
Il suo volto è come un fiore appassito, latteo come neve e scarno come un prato arso.
Le sue sottili labbra scarlatte non si sono avvicinate neppure a una goccia d'acqua, aride come un terreno sconsiderato dalla pioggia.
I suoi occhi traboccano di amarezza e abbandono, nell'atto di passare la spazzola nei miei capelli scorgo la sua debolezza e tristezza; mi amareggia molto vederla così e tutto ciò che desidero è poter alleggerirle il cuore con parole che però solo lei è capace di dire.

Chissà che aspri giorni ha trascorso, chissà quante lacrime hanno rigato le sue guance e mi domando quanto forte abbia abbracciato il cuscino e le lenzuola del suo letto.
Questi erano lì quando io non c'ero per raccogliere le sue lacrime, come ho potuto far bere a mia madre un calice così acre?
Sono così addolorato, così ferito nel vedere come i suoi occhi non si siano ancora accorti del mio sguardo, nonostante quest'ultimo sia pesante di colpa e dispiacere.

«Dove sei stato?»
Domanda, e io smarrito e senza risposta chiara, le rispondo spaesato raccontandole i vari luoghi che ho visitato.
Incuriosita dalla mia risposta, sposta scettica i miei capelli scoprendo qualcosa sul mio collo che la sorprende.
«Come mai hai segni di morsi dietro il collo?»
Domanda.

Dubbioso conduco la mano sul punto indicato per palpare con le dita i segni della dentatura, improvvisamente vengo carezzato dalla voce delicata e sottile dell'agnello che mi racconta di come il buon pastore provi gusto nel mordere la sua tenera carne.

Orbene i segni di morso riconducono solamente al suo viso lineamente scolpito e ai suoi occhi di steppa smeraldo e alla sua candida pelle solare.

La mia mente vien baciata dal sabbioso ricordo del suo respiro posato sul mio collo come il fremito d'ali di una farfalla sopra un fiore, rammento il tocco delle sue mani sul mio petto che trasaliva per l'affanno e i fremiti di piacere che accompagnavano le sue movenze.

Un succulente banchetto prelibato, benché ogni piatto sia eccellente, non ricordo nessuno dei gusti.

«Non lo so.»
Rispondo a mia madre, ma ella concependo polvere da sotto il tappeto, abbassa ancora leggermente la scollatura della blusa per scoprire altre lividure lungo la mia pelle, ciascuna di queste è stata seminata da labbra diverse tra cui ora so per certo quelle dell'agnello e del pastore.

«Hai incontrato un altro uomo?»

Chiede mia madre, ma io nego e mi atteggio ignaro affinché se ne disinteressi.
Annega la spazzola tra i miei capelli fino a sfiorare la pelle, i denti scorrono decisi, lenti e dolcemente come le dita che reggevano le mie ciocche, che stringevano il mio collo e i polsi miei come esili gambi di fiori.

Indegni ricordi di una notte briosamente stellata fioriscono come margherite nella mia mente, i sapori si fanno leggermente chiari e il ribrezzo verso ogni mia azione compiuta accresce.
Lindo fuori ma losco dentro, le mie membra si sono macchiate con quelle di altri, ho conosciuto e mi sono lasciato conoscere come un adultero, come un traditore.

«Perché il castello è così vuoto?»
Domando, se continuo ad affondare nella vergogna rischierò di far suscitare a mia madre delle domande scomode a cui non vorrei rispondere. Ma se invece ne pongo una dalla nuova facciata, sarà costretta a non dar più peso alla mia espressione incerta.

«Siamo stati in lutto per cinque giorni, ho dato a tutti un periodo di riposo» Dice riprendendo a pettinarmi.

Dunque sono stato assente e distante dalla mia dimora per ben cinque giorni? E sembrano esser stati pochi attimi di primavera, giusto un battito di ciglia, un semplice soffio sul capo di un soffione.
Invece sono stati cinque giorni di dolore per la mia povera e dolce madre, ho davvero permesso che ciò le accadesse in tutto questo tempo, mi sento così impotente, non ho doni che mi facciano tornare indietro per rimediare e cambiare alcuni avvenimenti.

«Non piangere, le lacrime non lo riporteranno indietro»
Dice posando sulla toeletta la spazzola e accarezzandomi una guancia, ma anziché sentirmi confortato mi sento ancor più in colpa.

«Mi dispiace tanto, non volevo che le cose andassero così» Dichiaro scorrendo il polso sotto il mento.
«Nessuno lo voleva» Risponde.

Comincia a sistemare i miei capelli in una graziosa treccia simile a quelle che si faceva quando la sera giungeva, ma ora che le sue ciocche raggiungono a malapena le spalle non potrà più farsi trecce lunghe.

«Come mai ti sei colorato i capelli? Temevi di venire riconosciuto?»
Chiede.
«Mi piaceva il colore» Rispondo.
«Come mai madre? Lo trovate femminile?»
«Lo trovo meraviglioso»
Risponde sorridendo.

Finito la treccia posa il mento tra la mia spalla e ammira l'opera compiuta alzando gli occhi allo specchio.
«Vi stanno bene i capelli corti»
Le dico.
«Però li avete tagliati male, permettetemi»
Aggiungo, così mi alzo dallo sgabello e permetto che vi ci sieda, prendo la spazzola e comincio a pettinarle i capelli.
È stato un gesto lesto saziato di furia e disperazione, le punte sono come fili d'erba strappati con violenza dal terreno, una ciocca è lunga mentre quella a fianco corta.
Finito di pettinare colgo il paio di forbici e definisco per bene il taglio.

«Come hanno reagito sua maestà re Leonardo e regina Helena alla mia scomparsa?» Domando.
«Trovammo la lettera il giorno stesso della tua partenza a Europhanelle, poco dopo la notizia della tua scomparsa. Pensammo subito a una sola cosa: che fossi fuggito per toglierti la vita, ma io inizialmente non ero certa della tua morte, oltre a non volerci credere, ero convinta che tu fossi ancora vivo. Ma poi mentre una profonda ricerca vennero trovate la tua corona, il tuo manto e i tuoi guanti a pochi passi dalle mura. Fu in quel momento che cedetti.»

Pure mia madre ha creduto a ciò che le è stato mostrato, credevo che anche lei senza aver prima visto il mio cadavere si sarebbe convinta che fossi vivo, ma invece, sono stati sufficienti un manto, una corona e un paio di guanti per farla crollare.

«Se solo non ti avessimo costretto a sposare Calendula, salvarla dalla maledizione sarebbe stato sufficiente»
Aggiunge scorgendo con la coda dell'occhio le lame della forbice unirsi e aprirsi tagliando le punte dei capelli, il ricordo che accompagna questo arnese è aspro e facile da ricordare, il suo suono netto e secco vien seguito dall'impeto di rabbia che colse me e mia madre.

«Riguardo Calendula, madre...» Pronuncio «Ella non è affatto maledetta, era solo un piano escogitato da mio padre e re Leonardo per farmela sposare»
Mia madre alza il capo e si volta leggermente mostrandosi confusa.
«Io di questo non ne ero al corrente, tuo padre non mi ha detto nulla. Da chi lo hai sentito?»
Chiede perplessa agrottando la fronte, le rispondo che sono state le labbra di sua maestà principessa Lavanda a rivelarmi la verità sepolta sotto la scacchiera, se non per lei ora sarei sposo di Calendula e quest'ultima mia sposa.
«Ecco perché non sembravano molto preoccupati per lei, avevano più riguardo di trovare te che per la principessa»
Risponde mia madre, ciò spiega anche come mai al mio arrivo anziché condurmi al cospetto della fanciulla abbiano preferito offrirmi il pranzo, quale genitore metterebbe la propria figlia come seconda portata?
Se Calendula fosse stata davvero vittima di uno spirito immondo della fata Bethelthea, mi avrebbero immediatamente portato da lei per liberarla dalla maledizione.
Tutto questo solo per unificare due regni divisi dall'orgoglio e il timore, due vite per molte altre, due pilastri per un solo tempio.

Mio padre mi amava e ciò non lo metto più in dubbio, ma era talmente scosso e terrorizzato di fronte al popolo umano che ha dato suo figlio per metter morsa a un futuro che solo lui temeva e vedeva.

«Fatto»
Ora i suoi capelli si seguono l'un l'altro per bene in maniera retta e ordinata come una verdeggiante prateria, poso la forbice e passo la mano attorno il suo collo per ripulirlo dai capelli tagliati.

Ammira il proprio riflesso voltandosi da entrambi i lati del viso, poi però, il sorriso tra le sue guance cala e si sfuma come polvere soffiata.
Sospira unendo le mani sopra le gambe e guardandomi leggermente con sconforto mi chiede il motivo del mio ritorno.

Sorpreso e colto dalla sua domanda, non le rispondo su due piedi all'istante, se sapevo della situazione avrei anche fatto ritorno molto prima, ma la ragione per cui sono tornato era per ottenere delle risposte sulla fine di Hansel.
Se dovessi confessarlo le spezzerei ancora di più il cuore, ma anche se mentissi ella lo scoprirebbe seduta stante.
Non ho scusa da inventare, né bugia da darle, le confesso la verità trattenendo un tono pacato e quasi amareggiato, come se dopotutto non sia poi così importante.

«Dov'è Hansel?»

Il principe azzurro è gayDove le storie prendono vita. Scoprilo ora