11.Extrema ratio.

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Gli vado incontro fermandomi al centro della stanza 
Analizzo la situazione: se voglio che il tempo a casa Lavoie passi in fretta, allora devo... come dire... fare in modo che ne valga la pena. 

Devo vederlo come una sorta di gioco e considerarlo come un vero e proprio esperimento.
Douglas ha ragione: corri veloce.  Il tempo ti passa davanti come un proiettile. 

Intanto però quello che vedo è un uomo seduto dietro la scrivania con gli occhiali dalla montatura spessa.
Ha un'espressione così seria e concentrata che quasi mi toglie il fiato.
Il suo ufficio sembra esser stato tinteggiato di recente.
Una delle pareti è ricoperta di scaffali pieni di pile di documenti, e ci sono almeno cinque scatoloni chiusi ammassati in un angolo.
Finalmente si abbassa gli occhiali sul naso e mi studia.
Scuote la testa, si infila di nuovo gli occhiali e torna a concentrarsi sul computer.

«Mh» dico, cercando di formulare qualcosa che possa rompere il ghiaccio. 

«... è delizioso, il tuo ufficio»

Certo, come se mi aspettassi qualcosa di diverso.
Qui dentro tutto sembra rispecchiare completamente la mia idea di lui e come se mi avesse letto nella mente il suo sguardo di colpo si sposta su di me.

Trattengo a stento un sorriso.

Al che si alza, togliendosi gli occhiali, curva la schiena poggiando le mani sulla scrivania trattenendo il mento basso.
Mantengo il mio sorriso, scanso i capelli dalla fronte masticando lentamente la gomma creando una bolla che con uno scocco, degno di premio Oscar, esplode davanti ai suoi occhi.

«A cosa devo tanto fervore?» dico roteare in tondo per l'ufficio.

I miei scarponi sbattono sul parquet producendo un fastidioso ticchettio.
Senza dire una parola, mi accascio per sbieco sulla poltrona vicino alla sua postazione, proprio come se fossi una di quelle dame ritratte dell'ottocento, solo più grezza, sfacciata e sicuramente meno pudica. Accavallo una gamba sull'altra e con un braccio piegato sotto la testa mi sostengo.
Noto con la coda degli occhi, Doug invece serrare gli occhi nonostante ci tenga a sottolineare che ha altro fa fare, continuando a fissare il monitor del computer.

«Che intenzioni hai?» prende parola dopo secondi di silenzio.

Mi sollevo in piedi, non riuscendo a frenare la mia agitazione. Ho i nervi a fior di pelle, probabilmente dovuto al fatto che gli effetti dell'alcol si stanno esaurendo.
Ho un animo irrequieto, questo è provato e per certi versi quei bicchieri di vino mi avevano sedato.
Tuttavia Doug non riesce ad apprezzare il lato positivo.
Si passa una mano sugli occhi massaggiandoli, afferra la montatura degli occhiali e con un gesto teatrali, le getta a casaccio.
Al frastuono, mi volto nella sua direzione lasciando perdere quello che stavo iniziando a fare: aprire uno di quegli scatoloni.

«Ti stavano bene, quattrocchi» dico beffarda, riprendendo il giro del mio tour.

«Ti sei fatta arrestare» afferma, tergiversando. 

Mi adombro.

«Non è corretto. Sono nell'ufficio dell'ispettore» preciso, avvicinandomi alla scrivania.

Senza neanche guardarmi, apre uno dei suoi cassetti per sistemare dei fogli della scrivania.
Ho tutto il tempo per esaminarlo.
Probabilmente se lo incontrassi per strada, vestito così, abbasserei la testa e cambierei marciapiede.
E pregherei che non si accorgesse che lo sto facendo di proposito, perché dare a un uomo di questo tipo l'impressione di volergli girare alla larga non è consigliabile.
Però è affascinante.
In un modo non proprio convenzionale.

«Dove sei scappata alle quattro del mattino?» domanda scortese persistendo ad intromettersi in faccende che non gli riguardano.

Ora, mi sta stufando.
Nessuno, si è mai interessato a quello che faccio e ora arriva lui, bello fresco che...

Lo Strano Québec.Where stories live. Discover now