16.Mandorle fanno il latte?

3.1K 143 12
                                    

Lo sento.
Le mie gambe avvolgono i suoi fianchi caldi e muscolosi sotto le lenzuola, si struscia contro di me, sono così bagnata.
Mi prende veloce e mi ribalta mettendomi sopra.
Mi tira giù le mutandine e si butta prendendomi con la bocca il seno, succhia, succhia fino a spolparmi.
Dio mio.
I suoi gemiti sono così profondi che rimbombano dentro le ossa, non vorrei che finisse mai di guardarmi con i suoi occhi verdi.
Voglio solamente stare a sentire il suo fiato e i suoi gemiti quando... di colpo spalanco gli occhi, sbattendoli nella luce fioca della prima mattina.
Sono sola e respiro con il naso, cercando di afferrare l'odore del sogno.
Chiudo gli occhi.

«Gesù mio», mi lecco le labbra secche.

Chiudo la mano a pugno e sento ancora la sua bocca lì.

Ho bisogno di lui.
Ho bisogno della sua mano che mi accarezza.
Lo voglio così tanto che mi fanno male le mascelle a forza di serrarle.

Mi tolgo il sudore dal collo, abbasso lo sguardo e vedo Flash che, con la lingua a penzoloni, mi fissa giocoso e io soffoco un gemito deluso.

Ho semplicemente bisogno di contatto umano.
Tutto qui, mi ripeto.
Douglas non è speciale.
Non lo è.
È un figo d'uomo.

Vivo a casa sua e, se ne va in giro con il suo sedere sodo e le labbra che sicura al cento per cento sapranno di tabacco.
È così che me le immagino.
È come dire ad un bambino di non toccare.
Se lo chiamassi qui dentro in questo momento, verrebbe?

Ricordo la sera precedente, la conversazione bizzarra che abbiamo sostenuto, al fatto che c'è mancato poco che gli saltassi addosso.
Però no.
Il senso di colpa è già fin troppo logorante.
Perdere il controllo e andare oltre farebbe male, a tutti.
Quello che è successo ieri sera è stato semplicemente il risultato inevitabile di stanchezza mentale oltre che fisica, nient'altro.
È troppo grande per me!
Devo trovare un modo per non pensarci più.
Per togliermi la voglia.
Lanciando via il lenzuolo, esco dal letto e mi infilo i calzini.
Mi butto un po' d'acqua fredda in faccia, mi lavo i denti e mi spazzole i capelli pieni di nodi, per permettermi di uscire dalla camera.
Mi vesto per andare a lezione, un cardigan giallo sopra la mia maglietta nera, un paio di jeans stranamente senza strappi ed infine gli stivaletti.

Corro giù per le scale.
Spero solo che non si convinca che devo andarmene per quello che ho detto.
Probabilmente sarebbe anche meglio, ma non voglio avere a che fare con l'ennesima persona di cui non posso fidarmi.
In cucina mi verso una tazza di caffè e apro il frigo cercando il latte.
Inarco le sopracciglia, frugando tra i cartoni e le bottiglie.
Ma trovo solo latte di mandorla.
Lo tiro fuori e arriccio il naso, studiandolo.

Le mandorle fanno il latte?

Alzo gli occhi al cielo e lo apro, annusandolo.

«Uhm» mormoro.

Non ha un brutto odore.
Alzo le spalle e ne verso un po' nel caffè.
Sollevo la tazza, infilo l'altra nella biscottiera e mi appoggio al bancone, soffiando sul caffè è addentando il biscotto.
Sento i passi di Doug sulle scale, mi si torce lo stomaco e mi preparo per l'incontro.
Arriva in cucina, mi posa gli occhi addosso, abbastanza a lungo per
scoccarmi un sorrisetto veloce.
Poi fa il giro del tavolo per prendere la sua ventiquattrore, un biscotto che divora in un baleno.
A parte il fatto che indossa il suo completo nero, da oggi in poi il mio preferito, e una camicia scura senza cravatta.
Non l'ho mai visto con la cravatta e ci vuole una forza sovraumana per mantenere lo sguardo sul suo viso e non su quel pezzettino di pelle che sbuca dal collo della camicia.
Ha il petto villoso e mi formicolano le dita per la voglia di toccarlo.
Sembra che vada di fretta.
Mi sforzo di dire qualcosa.
Prima affronto il problema, prima possiamo tornare alla normalità.

Lo Strano Québec.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora