24.Temporanea.

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Douglas Pov's

Busso piano alla porta.

«È aperto» mi risponde con voce sottile.

Questa donna mi farà perdere la testa.
Lancio uno sguardo a destra e a sinistra mentre avanzo nella sua stanza.

«Maeve?»

Non sarei dovuto tornare da lei.
Avrei fatto meglio ad andare a letto e dimenticare la sia insolenza.
Perché tutto ciò non è corretto, eppure non mi importa nulla della correttezza.
Quello che mi importa è dare ai miei bisogni quello vogliono.
Quello di cui noi abbiamo bisogno.
Ha ragione, io lo voglio quanto lei me.
Da un punto di vista razionale, non ho alcun diritto di andare a cercarla.
Lei è una ragazzina e la ex di mio figlio.
Per una volta, avrei dovuto lasciarla in pace e basta.

Ma non voglio.

Quello che desidero è liberarmi della mia perversa ossessione una volta per tutte.

Ma dove si è cacciata?

Quando ho aperto la porta, il mio primo istinto sarebbe stato quello di tirarla con uno strattone contro il mio corpo e baciarla come un pazzo finché non le si fossero spaccate le labbra.
Ma non ho potuto, perché lei non è come tutte le altre ragazze.
Lei no.
È un terremoto di donna... e porca puttana.
Che diavolo è successo qui dentro?

Mi tiro la cravatta per allentarla.
La ragazza ha Il viso ricoperto di pittura: marrone, gialla, verde.
Le tonalità della terra.
Ha le tempie umide di sudore e vi si sono appiccicati i suoi folli capelli bicolori.
Indossa le mutandine con quelli che credi siano disegni geometrici oltre la mia maglia da Hockey macchiata di pittura.
È a piedi nudi.
Naturale.
Bellissima.

«Ehi» dice senza guardarmi.

«Scusa, sono concentrata. Non ti ho sentito entrare»

Avvolgi le tue labbra attorno al mio uccello e succhia.
Forte, penso.
Voglio scoparmela così disperatamente, solo per poter dire a me stesso, che non avrei potuto avere altro al di fuori del suo corpo.

Sbatte le palpebre un paio di volte prima di borbottare un: «Non stare lì impalato, vieni da me»

Non è una risposta fredda né crudele. Sembra sorpresa e un po' confusa.
Ha un'espressione così seria e concentrata che quasi mi toglie il fiato.

«però prima chiudi la porta così non si sparge la puzza di pittura per tutta casa»

Ha un'espressione così professionale e concentrata che quasi mi toglie il fiato.

«Agli ordini» sbuffo, accondiscendente.

Si rende conto che avrebbe dovuto chiedermi il permesso prima di improvvisarsi Raffaello?
Insomma è pur sempre casa mia.
Intanto mi giro, chiudo la porta e poi mi guardo attorno.
L'espressione sul suo viso mi dice "di non dire stronzate".
È piuttosto convinta di quello che avrei da rimproverarle.
Ma invece di cominciare alzo tre dita in aria e inclino in su il mento in segno di resa a cui le sorride soddisfatta.

«Potresti aiutarmi? Passami quel pennello...»

Fa un passo di lato e così mi dà il permesso di entrare nel suo piccolo universo.
Mi faccio strada con la forza nella sua stanza, e perché no, anche nella sua vita.
Non sono mai entrato intenzionalmente qui dentro, non ne ho il motivo.
Le pareti in origine erano di un bianco minimale, il pavimento di parquet chiaro, gli spazi sono ampi e con pochissimi mobili, anch'essi bianchi.
Sembra un manicomio in effetti.
Per una con il carattere eccentrico come il suo, non era il massimo.
Tuttavia ora non avrei avuto più il pretesto di pensarlo.
Accanto alla finestra che si affaccia al quartiere, c'è la parte nel quale sta dipingendo.
È rappresentato un albero di ciliegio in fiore che dà su un lago.
Sebbene la poca luce della lampadina, riesco a intravedere i colori, che sono vividi e brillanti, come se la natura sia lì, a distanza di un passo.

Lo Strano Québec.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora