Il principe azzurro è gay

By TheRabbitWriter

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✨IN FASE DI PROFONDA CORREZIONE✨ In un'epoca medievale, eppure non così diversa dalla nostra, un giovane fanc... More

⚜C'era Una Volta⚜
⚜Fiato corto⚜
⚜Tuorlo⚜
⚜Cuore, mente & stomaco⚜
⚜Baci sotto il salice⚜
⚜La vera luce del giorno⚜
⚜Camelia appassita⚜
⚜Garofano⚜
⚜Giacinto rosso⚜
⚜La collina⚜
⚜Iris⚜
⚜Europhanelle⚜
⚜Lavanda⚜
⚜A polmoni pieni⚜
⚜Cuore, mente & spirito (pt.1)⚜
⚜Cuore, mente & spirito(pt.2°)⚜
⚜Preghiere udite⚜
⚜Il fiume mi ha condotto⚜
⚜Vent'anni sotto le stelle (pt1) ⚜
⚜Vent'anni sotto le stelle (pt2) ⚜
⚜Vent'anni Sotto Le stelle (pt3)⚜
⚜Molte sono le stelle⚜
⚜Sulle orme del pastore⚜
⚜Diaspro & il gregge⚜
⚜La punizione del pastore⚜
⚜Presso il lago curuleo⚜
⚜Magra & sottile speranza⚜
⚜Palato amaro⚜
⚜Giacinto porpora⚜
⚜Piccolo agrifoglio⚜
⚜Un fior di Anemone (pt 1)⚜
⚜Un fior di Anemone (pt 2)⚜
⚜Dente di leone⚜
⚜Principessa Calendula⚜
⚜Malva, l'amore di mia madre⚜
⚜Castagna⚜
⚜Mietitura⚜
⚜Glicine, a te il mio sorriso⚜
⚜Erica bianca⚜
⚜Adonide⚜
⚜Fior di loto⚜
⚜Ortica viola⚜
⚜La montagna⚜
⚜Bethelthea⚜
⚜Confronto⚜
⚜Manto azzurro⚜
⚜Baci per dimenticare⚜
⚜Mughetto⚜
Ringraziamenti

⚜Albume⚜

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By TheRabbitWriter

Un leggero fastidio, qualcosa di umido e appiccicoso è posato sulla mia guancia destra.

Porto le dita laddove provo l'incomodo e dopo una carezza cessa di tormentarmi.

Sollevato da ciò, apro gli occhi e innanzi a me vi è solo un limpido cielo azzurro rinchiuso in un anello di verdeggianti chiome d'albero.

Recuperata una vista più chiara, il rigoglioso verde degli arbusti risalta e si anima. Non c'è vento che li faccia chinare e tremare, le nuvole invece, come un gregge si fanno condurre in alpeggio.

Questo turchino che mi riporta a vecchi ricordi, mi conduce disteso in quella pianeggiante pianura fiorita.

«Hansel?»  lo cerco con la mano, il cuore e lo sguardo.
Per un misero spicchio di tempo, ho visto con i miei occhi il suo meraviglioso volto.
Se solo potessi rivivere di nuovo quel ricordo, fare di mio ogni singolo secondo come un dolce pasto, un pasto che mai si vorrebbe finisca.
Ma è stato come masticare un confetto, per un po' il sapore si è sprigionato nella mia bocca come l'avvenire della primavera, ma poi tutto è svanito, il gusto si è dissolto e mi ha lasciato solo con l'amaro in bocca.

Alzo la schiena dal suolo, ogni parte di me è sozza di terra e fili d'erba, e dai miei abiti fiorisce odore di pioggia.
I miei occhi erano così accecati di gioia, il mio cuore inebriato di felicità e la mia testa così distratta e leggera, che non ho badato la via dei miei piedi.

Mi alzo e avanzo lungo la salita per tornare sul tratto in cui stavo correndo, salendo medito in cuor mio il rinfresco di memoria che mi ha colto nel momento d'incoscenza.

Perché non mi è stata concessa la grazia di poterlo finalmente incontrare?

La mia testa non poteva giacere silente in pace, anziché cercare la tristezza e provocare il cuore? Adesso la gioia che avevo provato prima mi ha abbandonato e chissà quando mai la riproverò, la certezza che Hansel sia ancora vivo si spoglia dalla sua sicurezza e integrità di cui era cinto, sono furibondo all'idea di sentirmi così abbattuto e arreso.

Tuttavia hanno gli occhi miei visto il suo corpo privo di respiro e anima a terra? Ho per caso versato amare lacrime sul suo petto stringendo i suoi indumenti? Oppure sono forse andato vestito di lutto alla sua sepoltura?

Benché non ho fatto nessuna di queste cose, non devo sgomentarmi per un banale ricordo, è sorto in superficie per un momento e ciò non significa nulla.
Eppure era una donna di cultura, assidua lettrice di letteratura, che tempo fa mi disse che quando sogni e affreschi di ricordi di una persona persistono in mente, significa che questa se ne sta per andare via, che sta per morire; perciò l'anima, per il timor di essere dimenticata, cerca di abitare in più cuori e menti possibili prima di tornare polvere.

Io, tuttavia, non ci ho mai creduto e mai crederò a queste menzogne edificate dagli antenati nei loro secoli pagani. Anche prima della sua scomparsa, la mia testa, il mio cuore e ogni angolo di me, erano rivolti a lui.

Erano rare le volte in cui non pensavo all'amato mio, penso a lui persino quando vedo delle piccole e tenere margherite addormentate. Penso a lui nel catino, quando respiro, quando rivolgo gli occhi al cielo e quando dormo.
Perciò quel ricordo non significa nulla, dichiara solo la mia afflizione e il vuoto che ho in me oramai senza una roccia, senza un baluardo su cui stare saldo nei giorni di tempesta.

Oh Hansel, mio adorato e tanto amato fiore, non vedo l'ora che gli occhi miei incontrino di nuovo i tuoi tempestosi occhi di cenere. Bramo di riabbracciarti con tutte le forze che ho nelle braccia, di baciare ogni angolo del tuo visetto soffice e tondo, e di riunire la mia carne alla tua.

Ma che cosa farei se al mio ritorno scoprissi ch'egli è davvero morto?

Come farò io ad adempiere tutte le promesse? A chi donerò i fiori del mio giardino? E a chi dedicherò poesie e canti d'amore se non alla stessa persona che mi ha donato più vita di mia madre?

Maledetto cuor mio che si lascia turbare dalla mente, mi adombro per quel che le mie orecchie potranno udire di nuovo e di quel che i miei occhi vedranno. Non voglio piangere, né vedere con i miei occhi il suo corpo.

Però, è meglio vivere nel dubbio con lo stomaco stabile? Nella cruda verità con il cuore leso, o con un gorgoglio nel ventre?

Ho già scritto una lunga lettera, se dovesse accadere quel che più temo, non mi dovrò preoccupare di scriverne un'altra.

Torno sulle orme di prima, mi volto in ambedue le vie, quella da cui sono giunto e quella dove sarei dovuto proseguire. Ma a dire la verità, non so nemmeno dove mi trovo.
Stendo le braccia in alto per stirare la schiena, finalmente, dopo molto tempo, provo la piacevole sensazione di sollievo. Non mi sono mai sentito così libero di respirare senza che nessun tessuto mi stringesse il petto.

Le mie spalle sono leggiadre come la schiena di una foglia sull' anello d'acqua di un lago, la mia testa è priva di peso come lo sono le zampe di un cerbiatto, e le mie dita, le mie povere dita, possono finalmente piegarsi, tendersi e muoversi.
Nessuna morsa alla bocca, nessuna catena al collo e nessuna pietra da caricare, ora tra me e una pastorella non esiste differenza.

Se solo avessi la possibilità di rendere ancora grazie alla principessa Lavanda, le devo davvero molto per quello che ha fatto per me.
Se non che l'occhio mio guarda le donne nella stessa maniera con cui guarda una bambina, una migliore amica o una madre, forse avrei ricambiato quel bacio con meno manieratezza e non per gratitudine e rispetto.
Portando semplicemente le dita sulle mie labbra, posso ancora sentire il gusto provato in quel momento, il tocco sentito e il profumo dorato, sono freschi come la neve. I miei occhi erano aperti, i suoi invece chiusi e persi nell'attimo, la guardavo per poter vedere la sua espressione e giudicare il pensiero nella sua mente.
Credo ch'ella lo abbia fatto per bontà e amore, riconosco un volto innamorato a miglia e se fossi stato bendato, lo avrei capito dalla sua voce.

Le mie dita pungono i palmi, in qualche modo ambro le sue gote rosse d'amore, le vorrei di nuovo tra le mie mani solo per guardarla in volto e pensare ad Hansel.


Prendo passo e cammino per questa selva sconosciuta e scura, solo il tempo mi rivelerà com'è questa foresta una volte notte, ma sinceramente non ho voglia di scoprirlo, devo fare in fretta e tornare al palazzo prima dell'imbrunire del cielo e un disdire tra re Leonardo e i suoi uomini.

Secondo mia madre, la Madre Natura esiste, e sempre dal canto suo, questa medesima entità serba amore per me. Ecco, se così fosse davvero, allora vorrei tanto finire in un orticello tenuto da un fauno.
Ma dubito che questa Madre delle foglie e fiorellini, esisti. Oh! Che mi venga il vaiolo se erro.

Con gran fiacca mi siedo sopra un tronco d'albergo vestito di muschio e funghi, sarà stato abbattuto senza pietà dalle scure dell'essere umano, sono bravi a devastare foreste dalle mappe dei regni, per causa loro queste vengono ridisegnate a ogni cambio di stagione.

Resto seduto per recuperare le forze perse nella corsa, lungo la salita e nella camminata. Ho davvero bisogno di un po' di riposo e tempo per pensare.
Non so nemmeno se questa sia la strada giusta per il castello, se sapevo avrei chiesto a Lavanda una mappa o il nome di qualcuno che conosca bene il luogo, ma chi conosce questa terra meglio di un essere umano?

Questo è il loro territorio e la conoscono come i nomi delle loro figlie, se voglio mettermi sulla via giusta devo chiedere indicazioni a uno di questi orecchie tozze.
Mi alzo dal tronco e cavalcandolo dalla parte opposta, calpesto qualcosa con lo stivale.

Ahimè, che si tratti del ciuffo di una carota? Mi verrà il vaiolo?

Con le labbra che masticano già scuse verso la Madre Natura, chino lo sguardo e alzo lo stivale.
«Che fiore è mai questo?» mi domando sollevando lo stivale, proprio come pensavo, la Madre Natura non esiste, e io sono stato sciocco a temere.
Tuttavia, questo fiore non mi è affatto nuovo, ma nemmeno molto noto.

I suoi petali hanno la stessa forma di una pinna di sirena, il suo gambo è robusto e ricoperto di una sottile peluria chiara come la brina.
Lo tocco con il dito, tiro uno dei cinque petali per vedere quanto questi siano resistenti.

Ma certo, ora ricordo, sono dei canini di fatuo, mia madre me ne aveva parlato molto tempo fa, mi raccontò di come Adonine, mia nonna, li usava per tingere i capelli bianchi di mia zia.
All'epoca i capelli bianchi erano visti come il marchio del male e chiunque li avesse era considerato maledetto, per questo la nonna le tingeva i capelli con questi fiori rari, le sue ciocche quando sfregate su questa pianta diventavano rosa.

Quando mia madre mi raccontò questo le dissi che anch'io avrei voluto tingermi i capelli di rosa, dacché mio colore preferito, e lei sorridente mi rispondeva sempre così.
"Ma Eledhwen, mio caro, tu sei già perfetto così come sei. Biondo e ornato di boccoli come il manto di una pecorella. Un po' come tuo padre, è da lui che prendi questi vivaci boccoli".

E poi mi baciava in fronte.

Colgo il fiore strappando anche le radici dal terreno, tolgo i petali e una volta che il fiore è spoglio dalla sua chioma, massaggio il nettare sulla mia testa.
Imbevo i capelli della miscela e comincio a massaggiare con le dita, seppur l'odore sia pungente e acre, so per certo che dovrebbe andarsene in breve tempo una volta finito.
Con le dita massaggio e gratto la pelle sotto i capelli, cospargo ogni boccolo con la linfa che fluisce dal fusto del dente di fatuo, man mano che passo, il biondo dorato dei miei capelli si tinge di un rosaceo simile alle sottili labbra di Hansel.

Non più ora il principe azzurro gode dei boccoli baciati dal sole, ora sono esattamente come avrei voluto essere da bambino.

Chissà che faccia farà Hansel quando mi vedrà con queste ciocche rosa.

«Oh per tutti i quadrifogli! Eledhwen mio caro, avete i capelli come se il tramonto vi avesse baciato!» dirà, e chissà magari mi troverà più affascinante.
«Il tuo nuovo aspetto fa ardere la mia carne, vieni, placa il mio ardore»

Sono così ansioso, ho una voglia assurda di vederlo, lo bramo con tutto me stesso.

Devo sbrigarmi, devo cercare qualcuno che conosca il posto e che allo stesso tempo non conosca bene il mio volto, come ho fatto a Giacinto, dirò che il mio nome è Elanor.

~⚜~

Seguendo il mio istinto e facendo appoggio alla buon sorte, sono riuscito a trovare un piccolo villaggio ai confini del regno, quando il mio stivale ha messo piede nel luogo, il cartello sopra la mia testa diceva "Ailatinelle", che sarà una fetta di Europhanelle? Una cugina?
Perché questi umani non vivono assieme al resto? Da noi se gli elfi non si trovano tutti ad Elvesreldelle è perché vivono nei reami alpini, quelli montuosi e vulcanici, o in altri casi trascorrono le loro vite da nomadi nella natura.

Mi addentro nel cuore di quello che è un mercato vivo e traboccante di gente, ma soffocante come un sacco sulla testa.
Le voci delle persone si assaliscono come onde di un mare in una tremenda burrasca, gli occhi e le orecchie mie non trovano riposo in mezzo a tutto questo trambusto, giungono diverse voci da tutte le parti, alle mie spalle di gente che mi passa affianco, sopra la mia testa di coloro che si sporgono dalle finestre per ammirare o parlare con qualcuno di sotto, altre invece sopraggiungono da lontano ma son talmente grosse che è come se fossero a un passo da me.
Una tra queste cattura il mio orecchio e incuriosito mi volto verso l'arrivo della grassa voce roca.
«Giovane uomo, non farti fuggire questa occasione! Tulli, sottogonne, nastri e pizzi!»

L'uomo, con una tenda avvolta alle braccia ,si sporge con il busto dal bancone quasi come se volesse che toccassi il suo materiale e respirare il suo delicato alito. Spaventato dalle sue gesta precipitose e dalla sua improvvisa invasione del mio spazio vitale, compio un passo indietro scontrando la spalla di un uomo dietro di me.
Porgo le mie scuse non appena mi volto, ma egli in malo modo, accanisce tra i denti le mie scuse e me le sputa addosso con un espressione adirata, si sposta evitando che la mia mano lo sfiori e si allontana. Leso da ciò, ricambio il suo sguardo rivoltante e procedo.

Compiuto qualche passo in più, una piccola voce giunge da sotto. Chinando di poco lo sguardo trovo ai piedi il tondo viso di una bimba, ella mi sorride e sventolando la mano mi saluta.

«Mamma guarda, è un follettino»

dice la piccola additandomi e agitando la mano della madre, la donna distoglie lo sguardo dalle collane su cui aveva posato gli occhi per rispondere alla sua bambina, la piccola le ripete la frase detta puntando il suo dito contro di me.
La donna alza lo sguardo e come i suoi occhi giungono ai miei, la sua fronte si aggrotta e la sua bocca si torce in una smorfia aspra.
Il sorriso e la gioia della bambina non scompaiono dal suo volto, questa resta a fissarmi con meraviglia e incanto con la bocca incapace di serrarsi per lo stupore.
La madre stringe il polso della figlia e la trascina via dalla mia presenza.

La bambina protesta appesantendosi al suolo per non farsi condurre via, i suoi occhi restano legati ai miei fino a dove le è concesso, dopodiché sia lei che la donna scompaiono tra la gente.

Trovo una via che conduce fuori dal mercato, le mie orecchie trovano finalmente pace e quiete, il gorgoglio dell'acqua che sgorga dagli occhi della fanciulla scolpita nella fontana è una culla da tutto quel fracasso.
Mi avvicino alla scultura vegliata da un paio di ragazzini, ciascuno di questi custodisce un oggetto, il più grande tra di loro serra in pugno come una spada un lungo bastone, un altro sotto la suola preme un pallone e un altro ancora invece, seduto sulle ginocchia, gioca assieme a delle figure di pietra scolpite per assomigliare a dei personaggi.

«Guarda è un elfo» sussurra uno di questi, dando una gomitata all'amico seduto al fianco, quest'ultimo vedendomi a sua volta avverte subito il resto dei compagni.
Mi atteggio come se non avessi udito nulla, immergo le mani nell'acqua per lavarle dallo sporco di terra, nel frattempo uno dei ragazzini si avvicina lentamente a me.

«Salve signore, per caso siete un elfo buono o cattivo?» domanda, mi volto e lo guardo, vedo dalle sue movenze e dal tremolio delle sue mani che teme di compiere maggiori passi verso di me, infatti solleva a malapena la testa e i suoi occhi fanno di tutto pur di non trovare i miei, ma poiché spinto dai suoi compagni, il piccolo cerca di farsi coraggio e compie un altro passo in più.
«Sono un elfo buono, che vuoi dire con elfo cattivo?» domando con voce tenera, il bambino cerca sostegno negli sguardi nei compagni e balbettando risponde.

«Beh, gli elfi cattivi sono quelli che odiano gli umani, quelli che si fanno beffe delle nostre orecchie»
«Certo che no, le vostre orecchie sono molto belle, perché mai dovremmo offendere tali meraviglie?»  domando portandomi alla sua altezza.
«Non lo so, mio papà dice che gli elfi disprezzano gli umani per via delle orecchie e le differenze culturali. Però nelle fiabe siete buoni e divertenti»  risponde, non pare più covare timore verso di me, la sua testa non è più piegata e i suoi occhi non esitano a guardare i miei.

Purtroppo però, prima che possa aggiungere altro, uno dei ragazzini si fa avanti prendendo il posto del compagno che lo precedeva e con aria arrogante e postura salda e gonfia, mi guarda dritto e in faccia e domanda.

«Perché avete i capelli rosa? E come le femmine indossate gli orecchini?» non mi permette nemmeno di aprir bocca, che scoppia in una scontenuta e grassa risata, i suoi amici lo accompagnano e a turni commentano.
Imbarazzato e oltraggiato, mi asciugo le mani sui panni e mi allontano furibondo.

Stupidi succhia poppe dalle orecchie orride e tozze, ma con quale fegato osano rivolgersi a sua signoria in tal modo? Maledetti vermi, se solo sapessero quale ruolo ricoprono le loro madri quando cala la notte.

Una volta lontano dalla veduta di quei pestiferi, trovo una breve gradinata sul fianco di un'abitazione. Mi ci siedo e con la testa retta dai polsi penso a quello che avrei potuto dire per difendermi.
Ho permesso a quei ragazzini di metter lingua sul mio aspetto come se non avessi abbastanza fegato per ribattere, proprio come ai tempi dell'infanzia, sono rimasto in piedi nel silenzio ad ascoltare i loro fatui oltraggi.
Le loro dita puntate a me, i loro occhi posati addosso con tutto il loro peso e le loro petulanti voci acute sono come quelle che mai lasceranno la mia memoria, le stesse che abitano e abiteranno nei miei lontani lontani ricordi.
E mentre nuoto in amare pozze del passato, una voce cala dall'alto, facendomi riemergere.

«Elfo, se ti pesa il sedere cercati un fungo su cui sederti» pronuncia con arroganza un uomo alle mie spalle, egli carica sulla schiena un grosso sacco e da quel che pare sembra voler scendere per queste scale e gettare a terra il carico.
Desolato, ma anche offeso, mi alzo e mi sposto.

«Da dove vengo io si dice "per favore", dopo una richiesta» rispondo posando la schiena al muretto, l'umano si volta verso di me e risponde con tono irrequieto.

«Il mio era un ordine e non una richiesta, adesso scansati se non vuoi che ti schiacci, brutto insetto dalle orecchie a punta»

Mi sposto come posso, l'uomo nonostante abbia tutto lo spazio su cui muoversi, pretende che diventi un'unica materia con il muretto dietro di me.

Ciò che affligge le menti di questi umani mi è ignoto, nascono così?.

Mi dirigo altrove, dove magari potrò trovare qualcuno dall'animo gentile in grado di potermi dare qualche indicazione su come fare ritorno a casa.
Camminando ritorno alla piazza di prima, dove le mie orecchie vengono nuovamente tormentate e il mio naso assalito di aromi pungenti.

«Avvicinatevi gente, avvicinatevi! Solo da me troverete i migliori amuleti, porta fortuna e ciondoli!»

Attirato dall'annuncio di quest'uomo, mi avvicino per curiosare il materiale in vendita.
Facendomi spazio tra le persone, giungo davanti il bancone dove disporre della miglior veduta di ciò che accade.
«Hai quelle degli elfi periferici? La mia bambina le vuole in collana come porta fortuna» dice un uomo fissando con interesse un barattolo, curioso mi avvicino appena per vedere quel che contiene all'interno.

«Le ho finite, ho delle nomadi, per i trolls quelli sono più semplici da catturare»

Il mercante prende un altro barattolo da cui poi tira fuori quello che sembra con mio stupore un orecchio di elfo.
Sussulto sbigottito, il mio cuore sobbalza per lo spavento, attonito mi guardo attorno ma tutti i presenti si atteggiano con serenità e tranquillità.
Solo ora il mio occhio si accorge delle altre orecchie appese e legate sopra la testa del mercante, alcune sono persino fissate a chiodo sull'asta di legno che sostiene il tetto del bancone.
«No non mi piacciono»  risponde l'uomo sventolando la mano.
Qualcosa sfiora il mio orecchio, due esili dita di una donna si avvicinano a me toccando il lobo del mio orecchio sinistro.  «Queste sono molto belle»  dice, porto la sua mano lontana da me e con timore che altri possano toccarmi i lobi, copro entrambe le orecchie.

«Hmm, quelle varranno sui duecento pezzi d'argento» dice il mercante rimettendo le orecchie nel barattolo.
«Io non sono interessato a comprarle»  balbetto.

Egli sorride e posa la mano sul bancone, i suoi occhi come quelli dei presenti, sono posati pesantemente su di me.
«Non sto parlando di quelle orecchie»  aggiunge sogghignando sotto i lunghi baffi scuri.
Ricoperto di terrore e sguardi, indietreggio per uscire dal raduno.
«Buona giornata» dico andandomene.
La folla ride alle mie spalle, le loro risate mi assaliscono alla schiena e malgrado sia già lontano, mi sento come se fossi ancora nel bel mezzo di loro.
Procedo a passo lesto e silenzioso, giungo dinanzi una piccola e graziosa struttura in mattone, l'edificio è esonerato dal resto delle abitazioni e ciò lo rende più innocuo e sicuro agli occhi miei.
Le due porte della struttura sono semi aperte, come se l'accesso fosse permesso a chiunque.
Salgo per la breve gradinata guardandomi attorno con sgomento che prima o poi un essere umano mi tagli le orecchie, avanzo con le spalle sollevate e il collo chinato, le mie mani coprono le orecchie e i miei occhi girano attenti.

Una volta dentro la strana casa, mi chiudo le porte alle spalle e con l'orecchio posato su queste, mi accerto di non udire nessun passo.

Mi accascio con la schiena esausto sulla porta, mi siedo al pavimento e alzo il capo.
Assomiglia a un palazzo reale di un re in unione al tempio sacro della Madre Natura.
Ha una sola navata, che conduce dritta a un altare coperto da un telo bianco, che sia luogo di culto degli umani? Che sua qui dove sacrificano è bruciano incenso?
La luce del sole penetra da grandi lastre di vetro colorate che rendono i raggi simili al braccio dell'arcobaleno, una costellazione di colori che giaccion luminosi sul lisci pavimento e sui mobili presenti.
Il mio respiro e i miei passi incontrano le pareti di questo luogo morto e silenzioso, non odo nulla se non la mia presenza.

Cammino con i fianchi circondati da file di lunghe panche in legno, mi siedo all'angolo di una di queste e contemplo da seduto le sculture e i monumenti che dimorano in questo strano luogo.
Non oso domandare se vi sia qualcuno presente, quel che ora desidero è solo un po' di pace e silenzio e questo luogo ospita entrambi.
Sospiro e chino il capo, non ho idea di quel che devo fare adesso, là fuori non voglio tornarci ma non posso neanche passare troppo tempo qui. Magari una volta calato un po' il sole avrò possibilità di uscire indisturbato e rimettermi sulle orme del mio cammino.

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