Il principe azzurro è gay

By TheRabbitWriter

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✨IN FASE DI PROFONDA CORREZIONE✨ In un'epoca medievale, eppure non così diversa dalla nostra, un giovane fanc... More

⚜C'era Una Volta⚜
⚜Fiato corto⚜
⚜Tuorlo⚜
⚜Cuore, mente & stomaco⚜
⚜Baci sotto il salice⚜
⚜La vera luce del giorno⚜
⚜Camelia appassita⚜
⚜Garofano⚜
⚜La collina⚜
⚜Iris⚜
⚜Europhanelle⚜
⚜Lavanda⚜
⚜A polmoni pieni⚜
⚜Albume⚜
⚜Cuore, mente & spirito (pt.1)⚜
⚜Cuore, mente & spirito(pt.2°)⚜
⚜Preghiere udite⚜
⚜Il fiume mi ha condotto⚜
⚜Vent'anni sotto le stelle (pt1) ⚜
⚜Vent'anni sotto le stelle (pt2) ⚜
⚜Vent'anni Sotto Le stelle (pt3)⚜
⚜Molte sono le stelle⚜
⚜Sulle orme del pastore⚜
⚜Diaspro & il gregge⚜
⚜La punizione del pastore⚜
⚜Presso il lago curuleo⚜
⚜Magra & sottile speranza⚜
⚜Palato amaro⚜
⚜Giacinto porpora⚜
⚜Piccolo agrifoglio⚜
⚜Un fior di Anemone (pt 1)⚜
⚜Un fior di Anemone (pt 2)⚜
⚜Dente di leone⚜
⚜Principessa Calendula⚜
⚜Malva, l'amore di mia madre⚜
⚜Castagna⚜
⚜Mietitura⚜
⚜Glicine, a te il mio sorriso⚜
⚜Erica bianca⚜
⚜Adonide⚜
⚜Fior di loto⚜
⚜Ortica viola⚜
⚜La montagna⚜
⚜Bethelthea⚜
⚜Confronto⚜
⚜Manto azzurro⚜
⚜Baci per dimenticare⚜
⚜Mughetto⚜
Ringraziamenti

⚜Giacinto rosso⚜

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By TheRabbitWriter

⚘CAPITOLO 2⚘


Il mio corpo gela e trema, il mio naso ferve e stilla candela.
Battono i denti, le mie gambe vacillano e s'indeboliscono passo dopo passo.
Le unghie dei miei piedi sono ornate di violetto come i petali di un raponzolo rupestre, le mie dita pulsano fulve come l'anturio e la mia pelle è pallida e percossa da leggere frustate di vento.

Non è la stagione del freddo, ma i miei abiti sono sottili e leggiadri come la brina sui fili d'erba in inverno.
Sfrego i palmi delle mani lungo gli avambracci per creare un po' di calore, ma il gelo che si trascina la pioggia una volta passata è pungente.

Non odo più nulla, attorno a me non vi è altro che un immenso campo di margherite dormienti, le piante dei miei piedi non percepiscono il prato e il mio naso non può godere l'odore di questi fiori.
Tuttavia ricordo bene il loro delicato profumo raffinato e grazioso, innocente e puro.

Mi accascio al suolo tra i fiori e il fango, esausto e stremato, riposo e chiudo gli occhi.
La mia stanchezza non è dovuta alla lunga camminata compiuta, ma bensì dalla tristezza.
I miei occhi sono gonfi e torridi per le incessanti lacrime versate, ho versato più lacrime io delle nuvole in cielo, e ho irrigato ogni fiore sotto di me meglio della pioggia.
Giaccio sul terreno in mezzo tutta la sozzeria che versa il cielo quando piove, ma non m'importa se ora puzzo di fango ed erba bagnata, non m'importa se i miei abiti sono sporchi di terra e ricoperti di cadaveri d'insetti; a dire la verità non m'importa più nulla ora.

Raccolgo le ginocchia al petto e sfrego i piedi tra loro.

Cessa di piovere, restano solo poche gocce sul mio viso e l'odore di essa.
Ora che non piove più le nubi in cielo si ritirano gentilmente scoprendo il volto rosaceo e pallido dell'alba.
Il sole è la luce del mio giorno e non più egli, la differenza vi sta nella carezza del suo raggio sul volto mio, e nel calore del suo bacio sulla mia gote.
Nulla che il sole dà e fà può avvicinarsi alle graziose maniere di Hansel, lui con le sue carezze è capace di provocare molte cose all'anima mia, i raggi del sole lambiscono la superficie della mia pelle ma egli raggiunge il mio cuore.

Nascondo il volto da quello del sole, non posso accettare il fatto che da oggi in poi sarà lui a svegliarmi e guidarmi, non posso concedergli l'onore di essere la vera luce del mio giorno, né lui né la luna lo saranno.

«Ti ho mai detto che sei la luce del mio giorno?»

Non potrò più dichiarargli quanto egli sia unico e speciale per me, non avrò più l'occasione di cadere nei suoi occhi e amarlo con follia, il miracolo della mia vita è stato strappato via da mio padre in una sola notte.

Il cielo solo sa com'è stato ucciso, quanto abbia sofferto e implorato affinché venisse risparmiato. L'amore mio stava morendo mentre io dormivo tranquillo e beato nel mio letto reale, egoista e ignaro di ciò che stava accadendo. Il dolore che provo adesso è sufficiente per farmi commettere qualcosa di immorale, qualcosa di cui però non mi pentirò.

Apro gli occhi e li rivolgo al cielo, dove mai andrò per nascondermi dal volto del sole e il suo fervore? Anche se prendessi le ali per volare dall'altra parte del mare, esso sarà lì ad accogliermi come ogni altra creatura.
Non posso nascondermi dalla luna e dal sole se sono sulla terra, ma se non camminassi più su questo terreno, essi non potranno trovarmi, e di conseguenza non potranno essere le mie guide. Se lascerò questo posto non solo non percepirò più il calore del sole e la protezione della luna, ma non sentirò proprio niente.

Nessuna rabbia, alcuna tristezza e colpa dimoreranno nel mio cuore.

Sospiro e richiudo gli occhi, l'aria che accolgo in me entra con fatica, il naso è serrato come un bocciolo dormiente.
Se solo Hansel avesse accettato di scappare via con me nulla di tutto ciò sarebbe accaduto, se solo avesse detto di "sì" alla mia idea per una vita migliore, adesso io e lui saremmo felici da qualche parte lontani dal regno.

Ma no, egli ha rifiutato, ha rinnegato la vita che gli avevo promesso, alla gioia che io ero disposto a donargli e alla libertà che ero pronto a regalargli.

Perché ha rifiutato?

Il solo pensiero di poter essere con lui adesso mi fa piangere, mi procura un intenso dolore amaro e pungente che mai avevo provato. Il calice delle doglie del parto non l'ho mai bevuto e il dolore di un osso fratturato non l'ho mai assaggiato. Dicono che siano i dolori più atroci che un uomo possa provare, e se ciò è vero, dunque questo che cos'è?

Serro i pugni strappando via alcune margherite dal terreno, le mie dita affondano nel fango e strizzando gli occhi da essi fioriscono incessanti lacrime.

Solo io e lui in un luogo lontano, in un luogo perfetto! Tempo fa pensavo alla nostra fuga come un dolce pensiero ma adesso è solo un amaro sogno che mai si realizzerà.
Tuttavia, per quanto sono furioso non riesco a essere arrabbiato con queste piccole margherite. È colpa mia, avrei dovuto insistere, avrei dovuto strapparlo dal terreno e portarmelo via assieme le sue fondamenta; invece l'ho assecondato e mi sono arreso subito, mi sono arreso subito...

Mi sono arreso e ho perso.


~⚜~


Cammino oppresso di pensieri e stanchezza, il mio stomaco mugugna di riflessioni e trepidazioni, le mie palpebre sono ardenti, gonfie e pesanti. Non stillano più lacrime dagli occhi, ne ho versate così tante che ora quest'ultimi sono aridi e secchi come un terreno dimenticato dalla pioggia.
Lo sguardo è chinato ai miei piedi, violacei e freddi, le unghie adornate di terra e flaccidi fili d'erba.
Ho camminato a testa bassa senza mai inciampare né scontrare contro alcun un tronco d'albero, mi sono addentrato in un fitta foresta ignota senza che me ne accorgessi.
Il sole è in alto nel cielo ma le chiome degli alberi sono talmente folte e rigogliose che proibiscono ai raggi di baciare il terreno, neppure una lama di luce giunge sul mio volto.

Avanzo appesantito di pensieri e disegni, sono assalito di voci e ricordi.

Dove mai andrò adesso?

Al castello non vi è più nulla per me, non mi è rimasto niente se non i miei genitori. Ma tornare indietro da loro sarà come ammettere di aver torto, non voglio dar loro una corona d'alloro per l'atto compiuto, non voglio tornare dagli assassini del mio amato.

Cammino e cammino ma passo dopo passo la mia stanchezza accresce.
Esausto e con affanno, sfrego i palmi l'uno contro l'altro per scaldarli, ma per quanto io sfreghi la pelle essa non si scalda.
Procedendo in avanti il mio piede, sebbene insensibile, riconosce di aver calpestato qualcosa, il tatto è misero ma pare essere una pianta.
Abbasso lo sguardo e trovo ai miei piedi il ciuffo di una carota.

Accanto a essa ve ne sono molte altre e con loro altri ortaggi piantati in quello che pare essere un orticello.

Alzo lo sguardo e mi guardo attorno, l'orto sebbene sia piccolo è ben curato e se non fosse stato per la mia poca attenzione adesso queste carote sarebbero state pronte per essere colte.
Il proprietario dell'orto vive in questa piccola dimora fatta in legno e nascosta tra gli arbusti, e il fumo che danza fuori dal camino dichiara che il padrone è all'interno.

Mi avvicino alla casa camminando per il breve sentiero fatto di piccoli sassolini bianchi.

Giunto dinanzi alla porta comincio a bussare e a domandare se qualcuno sia presente e disposto ad accogliermi.
Busso due volte ma nessuno risponde, così busso altre tre volte ma non ottengo alcuna replica.
Porto la mano alla maniglia e la porta si apre, ma prima di varcarne la soglia mi guardo attorno, se il proprietario dovesse sorprendermi mentre irrompo in casa sua non saprei che dire. So di star sbagliando ma se non domando aiuto morirò di fame e freddo fuori in questa fitta e sconosciuta foresta.

«C'è qualcuno? Sto entrando»

Le assi di legno gemono sotto i miei piedi, questo suono dovrebbe giungere alle orecchie del padrone, ma egli non si fa vivo.
Non c'è nessuno in casa sebbene sia abbastanza animata, odo il borbottio di qualcosa sul fuoco, ma poiché il mio naso è tappato non posso riconoscere che cosa sia.
Il camino è acceso ma non scalda nessuno, mi avvicino a esso e porto le mani verso il suo calore.
«Ah...»
Sospiro esausto riscaldandomi, dopodiché mi sdraio a terra sul tappeto e chiudo gli occhi. Godo del cordiale e accaldante abbraccio del fuoco, mi sento come se il calore di questo stesse sciogliendo la brina sulle parti più nude ed esposte. Mi sento coccolato come un infante infagottato in una pesante coperta e con la testa posata sul petto caldo e soffice della madre, oh quanto vorrei che questo abbraccio non cessi, son così cullato che potrei assoppirmi presto.

Le mie palpebre cedono pesanti e le fiamme danzan nella nebbia, lo scoppiettio del fuoco si aggrava e si fa silente man mano che la mia testa si china.
Salpo tra pensieri e ricordi di giorni passati, rimembro sogni e idee, quando improvvisamente ogni cosa vien portata via.

Odo dei passi provenire dalla stessa porta da cui sono entrato, dunque spaventato mi alzo dal pavimento e attendo in ginocchio l'entrata di chiunque stia per entrare.

Una strana e buffa voce  pronuncia goffe parole masticate da un tono quasi scocciato, la voce vien accompagnata da una serie di scalpiti simili a trotti di puledro, e realizzo subito che il padrone di casa non è nient'altro che un fauno dal pelo rosso.
Nella mano egli porta un sacco colmo di ortaggi e altri cibi vari, è veramente lui il custode di quel piccolo orticello là fuori.
È così distratto a parlare con sé stesso che com'è entrato non ha fatto caso alla porta già aperta, e adesso non ha neppure badato alla mia presenza.
Dandomi le proprie spalle dispone sulla tavola dell'altra stanza tutto ciò che vi era nel sacco.

Non è mia intenzione spaventarlo, anche se chiunque alla veduta di un estraneo in casa propria si spaventerebbe. Perciò mi alzo lemme lemme, mi avvicino a lui e con tono dolce e gentile, attiro la sua attenzione a me con un garbato saluto. Ma con mio sgomento, ancor prima di concludere il saluto e tendergli il palmo, il fauno sobbalza scacciando un urlo di terrore e spaventato si volta puntandomi l'unica cosa che regge in mano.

«Mi perdoni signor fauno, non volevo spaventarla»
dico guardando il pane puntato contro di me.
«Chi sei tu? Come diamine sei entrato? Sei un ladro? Io non ho niente da darti!» balbetta agitando il pane, e per proteggersi comincia a scaraventarmi addosso tutto il cibo sulla tavola, ma quando resta senza nulla, infila le mani nel sacco tirando fuori tutto ciò che vi è dentro.

«Prendi tutta la verdura che vuoi ma ti prego non le rape!»

Mi difendo indietreggiando e coprendo il volto con le braccia,  quando egli finisce anche il cibo da lanciarmi, aggira il tavolo e si nasconde dall'altra parte, alzandolo e rivolgendomi contro le gambe del mobile.
«Perché sei così pallido cadaverico e biondo come il sole? Sei per caso uno spirito? Non ho alcuna intenzione di fare patti con te!»

Dice spaventato scuotendo il capo per intimorirmi con le sue grosse corna rivolte. Tutto ciò che vorrei adesso è riposare e magari anche mettere qualcosa sotto i denti, ma come tento di aprir bocca questo fauno mi precede con una domanda o una minaccia.

«Perché non parli? Che cosa vuoi da me? Dillo o ti vengo addosso con le corna, oh e ti garantisco che non ho paura di farlo!» apro bocca per rispondere ma lui mi prevale un'altra volta con la stessa domanda formulata in maniera differente, comprendo che non vi è moso di comunicare con lui in questo stato, così mi chino e mi metto sulle ginocchia, il fauno mi guarda perplesso e confuso.

Una volta prostrato in ginocchio, comincio a confessare il motivo della mia intrusione.
«Scusatemi se sono entrato in casa vostra, ma cerco solo un posto sicuro dove riposare giusto un pochino, è da ore che cammino e non ho luogo dove stare. Sono finito in questa foresta inconsciamente e grazie al cielo mi sono imbattuto dinanzi quest'umile dimora, la porta era aperta e sembrava abbandonata, così sono entrato per scaldarmi»

La buffa creatura si avvicina ma non troppo, teme ancora ma tenta di scorgere il mio viso nascosto sotto i miei capelli, e io, avendo gli occhi alle assi del pavimento, scorgo solo le punte dei suoi unghioni.

«Ho freddo e fame, e sono anche molto stanco. So che non sarei dovuto entrare così nella vostra casa, ma non sapevo dove altro andare. Vi prego signor fauno, permettetemi di riposare solo un po', e vi prometto che non mi rivedrete mai più»

Il fauno esprime dispiacere, trova il coraggio sufficiente per avvicinarsi al mio fianco e appoggiare una mano sopra la mia schiena.

«Oh povero elfo, sei addirittura senza scarpe ai piedi. Poiché non sei né ladro, né spirito, io ti ospiterò» Dice accarezzandomi.
«Grazie»

Rispondo, il mio cuore viene scaldato dalla sua gentilezza, egli mi conduce alla poltrona che si rivolge al camino, dopodiché prende una coperta e spiegandola me la stende sopra per coprirmi.
Mi sento subito coccolato dal calore del soffice materiale della stoffa, sospiro e mi godo l'abbraccio annusando con gioia e fatica l'odore del ricamo.

«Hai dei piedi terribili» dice guardandoli con una certa curiosità, poi alza gli occhi a me e dice tendendo la mano a palmo aperto:
«Io sono Giacinto» non volendo scoprire la mano da sotto la coperta, annuisco sorridendo.
«E tu sei?» domanda chinando da un lato la testa.

Il fatto che non mi abbia riconosciuto è solo stranezza oppure innocente ignoranza, i fauni sono esseri molto riservati e forestali, conoscono poco della vita fuori dalle foreste.

«Elanor, sì, mi chiamo Elanor» rispondo.
«Piacere mio Elanor, hai per caso fame? Perché io so fare molto bene la zuppa, non so se ne vuoi un po' ma solitamente a tutti piace la mia zuppa di verdure»
«Sì, grazie»

Si alza e si appresta ad andare verso il calderone che brontola sul fuoco, non ho mai assaggiato in vita mia la zuppa di un fauno, e dal momento che non posso né respirare che fiutar odori per bene, tremo dalla curiosità di assaggiarlo e sapere cosa la differenzia dalla nostra.
Mentre arriva con la ciotola pulisco una lacrima dalla guancia e poi scopro le mani dalla coperta per ricevere il piatto.

«Ecco»

Egli pare molto contento e orgoglioso di poter condividere il suo pasto con un ospite, per quanto avesse paura di me attimi prima, adesso invece sembra fidarsi molto.
Porto il cucchiaio alle labbra, la zuppa è ormai nel mio palato, mentre questa scende nel mio stomaco, immediatamente vengo percosso da una frustata di brividi, l'occhio strizza per l'amarezza e i piedi si torciono massaggiandosi l'un l'altro per l'atrocità del gusto.
La mia bocca non ha mai ospitato niente di così tanto terribile, amaro e strano, è come aver leccato lo zoccolo di un cavallo che ha calpestato il suo stesso sterco.
Sento gli occhi di Giacinto pesanti su di me, scodinzola entusiasta la sua piccola coda rossa nell'attesa che gli riveli com'è la sua zuppa.
Si è mostrato molto gentile verso di me e dirgli che la sua zuppa è la peggior cosa che abbia mai assaggiato è da maleducati, anche se la mia smorfia in volto parla molto chiaro ed esprime esattamente il mio disgusto, deglutisco un altro boccone con gran fatica e coraggio per non offenderlo, e dopo che questo libera finalmente la mia bocca, alzo gli occhi a Giacinto e annuisco sorridente.

Sento il mio alito putrido e sozzo come le vie di un villaggio sporco, il mio naso si ottura di più di quanto lo fosse già ma malgrado tutto, Giacinto apprezza il mio complimento e sorride lusingato massaggiandosi le guance.
Accompagno il suo sorriso con il mio e imbarazzato e desolato per la bugia che ho appena detto, con un gesto timido e garbato mi porto un ribelle boccolo dietro l'orecchio.

Compiuta l'azione, l'espressione del fauno cambia radicalmente senza alcun crescendo.
Assottiglia gli occhi e si avvicina al mio viso con aria curiosa e sospetta, resta a un soffio dal mio naso e guardandomi dritto negli occhi dice.

«Lo sai? Il tuo volto mi è familiare» si gratta il mento e continua a guardarmi con intensità.
«Noi elfi abbiamo lineamenti facciali molto simili, è normale che il mio volto ci sia familiare» rispondo, ma egli scuote il capo e afferma saldamente di avermi già visto da qualche parte.
Incrocia le braccia, poi ne porta una sul fianco mentre con l'altra si accarezza la barbetta rossa. Svio il suo sguardo e chino la testa per rendergli meno facile di riconoscermi.

«È strano ma assomigli tanto a quel tizio»
«Quale tizio?» Chiedo.
«Quel biondino che gira in sella al cavallo bianco, sai no? Il principe azzurro» spalanco gli occhi e lo assecondo.
«Oh sì ho presente, voi non siete il primo che mi fa notare quanto io e lui ci assomigliamo»

«Già, ti confesso che non lo sopporto»
ribatte.

«Vi ha fatto qualche torto?»
«No, ma i tizi come lui mi irritano. Ma dico, chi diamine si crede di essere con quei suoi boccoli marci? E poi hai visto quanto è basso per essere un elfo? Sarà almeno basso quanto un fungo»

Non solo la mia bocca è stata violentata, ma anche le orecchie adesso, ogni parola e frase detta da questo fauno arriva pesante al mio stomaco.

«Galoppa fiero e ripieno di sé come un dio, inoltre ha la faccia di un bambino viziato proprio come tutti i reali»

Stringo offeso e ferito tra le mani la ciotola, sfogando tutta la rabbia che ho in pancia sull'oggetto.
«Tu gli assomigli molto ma sei decisamente meglio»
«Mi fa piacere...» rispondo con i denti serrati in un duro e rigido sorriso, dietro i miei denti si nascondono tutti gli oltraggi peggiori che conosco, se dovessi aprir bocca anche solo di poco, mi farei sbadatamente scappare una di queste parole.

"Io bambino viziato? Basso? Fiero di me? Maledetto pezzo di fece, faccia da cane! Lecca l'ano a Madre Natura se oggi non ho indosso lo scettro e la corona, ti avrei fatto cucinare"

«Comunque, dove sei diretto mio giovane ospite straniero?» domanda sedendosi sulla poltrona affianco, pronto a gustarsi con gioia la sua zuppa.
«Non lo so, di certo non qui vicino» rispondo seguendo la via del cucchiaio verso la sua bocca, chiedendomi se abbia abbastanza fegato da mangiarla.
«Perché?» chiede prima di compiere il primo boccone.
«Non c'è più nulla per me qua» rispondo appoggiando il cucchiaio al bordo della ciotola e lasciandomi alla poltrona.
«Perché?» domanda di nuovo soffiando poi sulla zuppa.

Porto lo sguardo al pasto, fisso con ribrezzo e tristezza quei bitorzoli di verdura galleggiare come cadaveri sulla superficie dell'acqua verde palude.
Ciò che è laggiù al castello è più amaro di questa zuppa, preferirei ingozzarmi di cucchiai e cucchiai di questo liquido maleodorante piuttosto che tornare indietro e farmi cucinare dai miei servi un pasto buono e decente.

«Perché l'unica persona che mi faceva restare là...»
vorrei tanto evitare di piangere di nuovo, ma se sfioro questo pensiero anche solo leggermente, mi è difficile non versare qualche lacrima.
«Ora non c'è più»

Improvvisamente vengo colto da un singhiozzo, poi un altro e dopo un altro ancora scoppio in un disperato pianto.
Il fauno si alza e si avvicina, mi prende dalle mie mani la ciotola e l'appoggia a terra, poi si alza e mi abbraccia.
«Oh, mi dispiace tanto, so come ci si sente a perdere qualcuno che
si ama» dice stringendomi nel suo peloso ma confortevole abbraccio.
«Ti prego, dimmi come siete guarito da quel dolore? Come fate a essere così allegro e felice?» gli domando guardandolo, e lui sorridendo risponde.

«Non l'ho fatto, non sono mai guarito da quel dolore, ho solo imparato a conviverci tutti i giorni»

La sua risposta, seppur dolente da digerire, mi dà un granulo di forza.
«La mia famiglia mi manca ogni giorno, penso a loro tutte le notti e tutte le mattine, quando vado a coricarmi inzuppo il cuscino di lacrime sperando che il mattino seguente possa svegliarmi felice. Ma invece no, mi sveglio sempre con lo stesso dolore. Ma piangere non porterà indietro i miei fratelli e i miei genitori, accasciarmi in disperazione non mi aiuterà.
Fa male, ma bisogna andare avanti lo stesso, bisogna comunque affrontare questa vita»

«Perché dovrei andare avanti quando non ho nulla che mi trattiene qui?» Chiedo.

«È vero, io non ho più niente qui, vivo solo in una casa con dell'orto. Ma continuo a vivere perché è ciò che vorrebbero loro, voglio mostrare a loro che sono forte e che per amor di loro continuerò a prendermi cura del nostro orto. Per amor di mio padre continuerò il suo lavoro, per quello di mia madre finirò di tessere le sciarpe, per quello di mio fratello suonerò il flauto. Quello che sto facendo non lo sto facendo per me, ma per loro»

Si perde con lo sguardo in un punto della stanza, rimane incantato e spaesato nella sua mente. Lo guardo chiedendomi a cosa mai stia pensando e quando sto per chiederglielo egli abbassa gli occhi e domanda.
«Chi è la persona che ti manca così tanto Elanor?»
«Il mio amore» rispondo senza alcun rilento.
«Come si chiamava?»
«Hansel. Mi manca così tanto, non posso vivere senza di lui, non posso. Il vostro discorso è stato incoraggiante ma non mi aiuterà»

Porto le mani al volto per celare la mia tristezza e la mia devastazione.
«Se lui non c'è io chi sono? Non sono più nessuno» dico disperato.
Poi Giacinto porta una mano al mio petto e dice.
«Lo hai un cuore?» domanda guardandomi dritto negli occhi, e io fissando le sue pupille verdi gli rispondo confuso.
«Sì, certo che ho un cuore»
«Lo hai mai visto?» aggiunge.
«No»
«E allora come fai a sapere che ne hai uno se non lo hai mai visto?»
«Beh, perché lo sento battere. E se non ce l'avessi, morirei» rispondo a mia volta portando la mano sul petto, esso in effetti è pesante e batte forte e lesto.

Ma alzo gli occhi al fauno e domando che cosa voglia dire con questo.
Ma lui sgrana gli occhi, alza le spalle e con un espressione vaga scuote il capo e risponde.

«Non lo so, era una cosa che mi disse un mio amico per farmi stare meglio, credevo che dicendotelo avresti colto il significato. Perché io al momento ero troppo imbarazzato per chiederglielo»

La frase ha un suo significato ma sia io che lui non lo abbiamo compreso, tuttavia però, so che il suo scopo era quello di sollevarmi e non di confondermi e ciò lo apprezzo molto.
«Grazie, signor Giacinto» dico abbracciandolo, questo giovane fauno è davvero forte, convive con un peso da così tanto tempo e lo ha fatto tutto da solo.
Provo così tanta ammirazione e compatimento per lui in questo momento che abbracciarlo è l'unico modo che ho sia per ringraziarlo per la sua gentilezza, sia per mostrargli il mio sostegno.
«Di nulla, Elanor» risponde lui ricambiando volentieri l'abbraccio.

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