Il principe azzurro è gay

By TheRabbitWriter

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✨IN FASE DI PROFONDA CORREZIONE✨ In un'epoca medievale, eppure non così diversa dalla nostra, un giovane fanc... More

⚜C'era Una Volta⚜
⚜Fiato corto⚜
⚜Tuorlo⚜
⚜Cuore, mente & stomaco⚜
⚜Baci sotto il salice⚜
⚜La vera luce del giorno⚜
⚜Camelia appassita⚜
⚜Giacinto rosso⚜
⚜La collina⚜
⚜Iris⚜
⚜Europhanelle⚜
⚜Lavanda⚜
⚜A polmoni pieni⚜
⚜Albume⚜
⚜Cuore, mente & spirito (pt.1)⚜
⚜Cuore, mente & spirito(pt.2°)⚜
⚜Preghiere udite⚜
⚜Il fiume mi ha condotto⚜
⚜Vent'anni sotto le stelle (pt1) ⚜
⚜Vent'anni sotto le stelle (pt2) ⚜
⚜Vent'anni Sotto Le stelle (pt3)⚜
⚜Molte sono le stelle⚜
⚜Sulle orme del pastore⚜
⚜Diaspro & il gregge⚜
⚜La punizione del pastore⚜
⚜Presso il lago curuleo⚜
⚜Magra & sottile speranza⚜
⚜Palato amaro⚜
⚜Giacinto porpora⚜
⚜Piccolo agrifoglio⚜
⚜Un fior di Anemone (pt 1)⚜
⚜Un fior di Anemone (pt 2)⚜
⚜Dente di leone⚜
⚜Principessa Calendula⚜
⚜Malva, l'amore di mia madre⚜
⚜Castagna⚜
⚜Mietitura⚜
⚜Glicine, a te il mio sorriso⚜
⚜Erica bianca⚜
⚜Adonide⚜
⚜Fior di loto⚜
⚜Ortica viola⚜
⚜La montagna⚜
⚜Bethelthea⚜
⚜Confronto⚜
⚜Manto azzurro⚜
⚜Baci per dimenticare⚜
⚜Mughetto⚜
Ringraziamenti

⚜Garofano⚜

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By TheRabbitWriter

Il braccio della morte si è rivelato comodo, tenero e caldo come un cumulo di piumaggio.
Sento i piedi cullati, il collo rilassato e il corpo leggiadro. Il dolore che prima non avevo provato nel strapparmi i capelli lo sto patendo adesso, tutto l'amaro e la tristezza riemerge e mi assale l'anima.

Odo la pioggia, ma è lontana e non so da che direzione venga e vada, attorno a me non vi è nient'altro che oscurità.
Eppure dall'alto cala dolcemente una voce femminile quasi divina, sottile e gentile e dal tono limpido e chiaro.
Seguo la voce che però mi conduce verso altre tenebre, nondimeno è vicina, dunque come mai la sento come se si trovasse proprio qui in mia  presenza?
Apro gli occhi e ciò che prima era oscuro ora è semplicemente la mia stanza, la mia camera da letto inghiottita nel buio della notte e leggermente baciata dal brio della luna. I raggi chiari di questa accarezzano alcune superfici dei mobili, alcuni angoli della stanza e la spalla di mia madre, seduta ai piedi del letto.

Sono stato incosciente fino al coricarsi del sole, la regina indossa già la sua vestaglia la notte e i suoi lunghi capelli son raccolti in una treccia.
Di spalle e ignara del mio risveglio, recita parole come un sermone, odo con orrore e ribrezzo ogni singola parola che pronuncia e serbo in cuor mio gli sfregi.

«Vergogna per l' uomo che dorme sul petto di un altro uomo, e poiché siamo una famiglia reale la vergogna è moltiplicata per sette volte»
Parla con fierezza e solennità, come se reggesse il flagello e lo scettro.
Mentre continua a parlare volgo lo sguardo verso il lato destro del letto, vuoto proprio come le futili parole che escono dalle sue labbra.

«È assurdo, non hai conservato nessuna delle leggi della Madre Natura, lo sai che le labbra del tentatore stillano miele, la bocca di quel giovane eran più dolce dell'olio ma la fine in cui ti stava portando era amara come il veleno. Ti sei lasciato persuadere dal suo fascino, dalle sue parole ti sei fatto condurre come un bue al macello, come uno stolto che viene condotto ai ceppi per essere castigato, come un uccello che si affretta al laccio senza sapere che è teso contro la sua vita. Gli hai concesso l'onore e la grazia del tuo corpo, hai venduto il tuo fiore a uno stolto senza ragionare e senza considerare il valore della verginità. Non è una perla che va gettata ai porci, né un bastone che va dato a un cane. La verginità è la ricchezza dei giovani, un ornamento di cui andare fieri e orgogliosi.
Ah, sono più tranquilla sapendo che adesso egli non c'è più, penserai solo a essere il principe azzurro e con il tempo non proverai più alcun pensiero immorale verso gli uomini, mai più»

Le sue terribili parole pungenti provocano in me una forte rabbia e il senso di vendetta accresce pesantemente, l'amato mio meritava di vivere, meritava una lunga vita colma di gioia e serenità, glielo avevo promesso.
Ma adesso per causa della perfidia di questa donna, non potrò più adempiere la mia promessa, non potrò più regalargli una vita serena e di pace, non potrò più vederlo.

«I miei occhi avevano visto, ma il mio cuore si era rifiutato di credere che mio figlio fosse un omosessuale»

Alzo la schiena dal letto ribollente di collera e mi tolgo la coperta di dosso, il movimento e il fruscio delle lenzuola cattura la sua attenzione e si volta.
«Me ne infischio delle leggi di Madre Natura, delle dottrine e del tuo pensiero. Io amavo Hansel, lo amavo con tutto me stesso!»
Pronuncio portando i piedi fuori dal letto e lei sospirando dice «Sei ancora sotto il suo effetto figlio mio, non lasciare che egli persuada consumando la tua innocenza»

Mi lascio sfuggire un singhiozzo, poi due, seguiti entrambi da una lacrima.
Non riesco a soggiogare i miei lamenti e sono incapace di trattenere le lacrime.
Nella mia gola si forma un pesante e grosso groppo che strozza ogni mia parola, gli occhi fervono e corsi d'acqua sfociano dalle mie torride palpebre.
La mia pelle ribolle e le dita fremono d'ira, vengo assalito da pensieri e dolci ricordi che non fanno altro che aggravare la mia tristezza e il mio senso di vuoto.
È come se qualcosa mi avesse divorato le viscere, come se il mio cuore fosse stato privato di tutta la vitalità. Sono scarno e indebolito, tuttavia ripieno di collera.

«Eledhwen, cerca di comprendere il nostro volere, quando mai ho agito per ferirti? Quando mai ho compiuto qualcosa con l'intento di farti del male?»
Domanda lei emarginandosi nell'innocenza e parlando con voce pacata, ma io, ricolmo di frustrazione, sprigiono il mio rancore.

«E quando mai mi avete chiesto che cosa volessi veramente? Mi avete dato tutte le inutilità della terra ma mi avete tolto l'unica cosa che amavo di più! Mi avete ammazzato l'unica persona che era capace di farmi sorridere veramente! Mi avete portato via tutto! Vi detesto! Vi detesto tanto!»

La donna si alza e si avvicina con aria compunta verso di me, ma io la respingo e mi allontano il più possibile dal suo abbraccio e dal suo dannato ristoro.

«Eledhwen, non atteggiarti così ti scongiuro, ti vogliamo così tanto bene io e tuo padre che non faremo mai nulla per farti del male. Tuo padre lo ha fatto uccidere solo per tenerlo lontano da te e i tuoi pensieri, non vederlo come un atto malvagio»

Aggiro la stanza in modo da non finire tra le sue braccia e ricevere la sua consolazione, non la voglio attorno a me, mi rifiuto di farmi asciugare le lacrime dalle sue dita e non desidero affatto il suo calore.

«Vostro marito doveva morire! Non lui! Non il mio Hansel!»
Dico respingendola da me, ella aggrava il tono ed erge contro me il dito, offesa per le parole udite.

«Adesso non esagerare, bada a ciò che pronunci! Quel che dici è molto grave, come puoi augurare la morte a tuo padre?»

«Voi mi avete dato del bardasso! Avete dato del bardasso a vostro figlio!»

Ribatto urtando il margine della toeletta, e voltandomi scorgo i vari oggetti che ho appena fatto sobbalzare, tra cui un paio di forbici le cui lame sono rese più scintillanti con questo chiarore lunare, il mio occhio ne viene catturato e per poco il mio riflesso appare su di esse.

«Mi dispiace»

Dice lei avvicinandosi, mi coglie distratto e prima che possa reagire mi abbraccia conducendo la mia testa al suo petto.
«Che razza di madre sareste voi? Quale madre farebbe questo a suo figlio?»
esclamo dimenandomi, non ci voglio stare sul suo soffice e caldo petto, non voglio il suo amore e il suo conforto.

«Va tutto bene caro mio, non piangere più» sussurra dolcemente al mio orecchio e il fatto che la sua voce mi piaccia, anzi, mi fa impazzire, mi assale di frustrazione.

«Hansel... il mio Hansel, me lo avete portato via come niente»
Singhiozzo colpendola con deboli e inutili spinte, ma non posso, le mie forze mi stanno abbandonando e l'incantesimo del suo abbraccio accresce.

«Figlio mio, l'amore che io e tuo padre proviamo per te è immenso e mai potrai comprenderlo. Non faremo mai nulla di male a te, mai»
dice accarezzandomi i capelli e tenendomi stretto tra le sue braccia, con la guancia appoggiata al suo petto oramai inzuppato di lacrime, così soffice e caloroso e profuma come un letto di fiori.

«Mi avete privato del mio tutto, mi avete ucciso assieme a lui senza alcuna pietà...»

Aggiungo lasciando che la sua mano affondi nei miei capelli e che le sue piccole labbra bacino la mia fronte, odo il battito lesto e agitato del suo cuore contro il mio orecchio, chiudo gli occhi e respiro profondamente affinché possa udire il suo organo percuotere il suo animo.

«Oh caro, noi siamo il tuo tutto...» dice
«Quello schiavo non era niente»

Improvvisamente, il suo nome pronunciato invano e ragguagliato al nonnulla, provoca in me un'amara e violenta reazione, completamente fuori di senno e posseduto da un gran fervore di rabbia, mi sprigiono dal suo abbraccio spezzando l'incantesimo e scacciando un ringhio furioso, che vien poi susseguito da un pesante silenzio mortale.

Una quiete improvvisa che culla il mio affanno e i battiti del mio cuore, la stanza si trasforma in un grembo per il mio lamento, i miei singhiozzi e i colpi delle gocce d'acqua contro la finestra compongono un dipinto astratto.
Ma poi i miei occhi si schiariscono e la sensazione di confusione mi abbandona, ambigui e strozzati gemiti emette mia madre che mi curano dalla mia cecità.

La furia che prima mi accecava come la nebbia in mare, è ora dissolta e mi rivela ciò che prima non vedevo con chiarezza.

La stessa forbice a cui prima avevo solo degnato un misero sguardo, e le cui lame avevano rapito il mio riflesso, ora è strangolata nel mio pugno maculato di sangue regale, e la lama di quest'ultima è trafitta nella clavicola di mia madre. Alzo gli occhi ai suoi e terrorizzato mi allontano lasciando l'arnese ancora in lei.

Farfuglia portando la mano all'impugnatura della forbice, e mentre lotta per non delirare, continui colpi di tosse violenti irrompono dalla sua bocca ornata di violetto.
Si accascia a terra con il palmo sulla ferita, io inerme e impedito dalla paura, resto semplicemente a guardarla.

Mastica il mio nome con difficoltà tendendomi la sua mano, io mortificato e terrorizzato, mi avvicino porgendole le mie scuse. «Oh madre, scusate... mi dispiace»
Mi chino al suo fianco e lei, con la mano pulita, mi accarezza il viso e scuote leggermente il capo.
Piange e sorride mentre mi accarezza il viso, come se mi avesse già dato il suo perdono, ma io piango e mi scuso per averla ferita nonostante sia già stato scusato.

«Non l'ho fatto apposta vi giuro, non volevo farvi del male»
Poi prendendola tra le mie braccia comincio a invocare il nome di mio padre.

«Padre! Padre aiuto vi prego!»

Improvvisamente il re, avvertendo il terrore nella mia voce, varca dalla porta di camera mia con spavento e trovandosi così dinanzi a una scena che non si sarebbe aspettato di vedere mentre giungeva. Subito dopo il suo ingresso sopraggiungono anche le guardie, le quali a loro volta si lascian scioccare dalla veduta della loro regina a terra tra le braccia del figlio.

Senza attender nessun ordine dal loro sovrano, uno di loro abbandona la stanza ordinando a gran voce un'immediata medicazione per sua maestà.

«Che cosa hai fatto Eledhwen?»  esclama il re precipitandosi su sua moglie, e io allontanandomi gli confesso quanto accaduto sebbene non ne sia affatto fiero e sicuro.
«Non l'ho fatto apposta padre, è stato un incidente ve lo giuro!»
solleva sua moglie e abbracciandola cerca disperatamente di tenerla cosciente, ma ella mantiene un debole sorriso in volto per tener calmo il suo amato e farfugliando che si è trattato solo di un piccolo incidente.

«È stato un incidente non volevo farlo, credetemi!»  ripeto affranto con la mano al cuore.
«Vattene!» sbraita furibondo contro di me, ma io confuso e dispiaciuto, resto fermo sul posto con le mani affamate di poter almeno anche solo sfiorarlo e dirgli ancora che mi dispiace. Ma egli, ignorando le parole di sua moglie, con lo stesso tono di disprezzo, mi ordina di lasciare la stanza.

«Ho detto vattene! Sparisci! Vattene via maledetto!»

Con sgomento e timore mi affretto a lasciare la stanza come da lui ordinato, corro lungo il corridoio lontano dalle grida e dagli sguardi delle guardie, non lo avevo mai sentito piangere così forte, il suo lamento irrompe nella mia testa e scuote le pareti del palazzo.
«È stato un incidente»
continuo a ripetermi.
«È stato un incidente, è stato solo un incidente!»

Mi getto alle porte della sala del trono e affrontando il diluvio corro a piedi nudi verso il portone, impugno l'anello soggiogato tra le fauci del drago e comincio a tirare per aprire una delle porte.
Creato lo spazio necessario per il mio torace varco la porta e riprendo a correre, ma la pioggia rende il terreno dannato e in un attimo mi ritrovo a terra.

«Eledhwen!»
Esclama la voce di mio padre, non immaginavo che mi avrebbe seguito dopo ciò che ho fatto, che sia stata sua moglie a convincerlo a seguirmi?
«Lasciatemi stare!»
rispondo rimettendomi in piedi con fatica ma prima che possa riprendere a correre egli è già giunto a me.

«Eledhwen, fermo!»

Ordina con il mio polso strangolato nella sua mano.
«Che cosa ti è preso?» tento di sottrarmi dalla sua forza, dall'autorità che mi ha sempre schiacciato e oppresso, ma il mio polso non trova scampo dal suo guanto.
Ardito dalla mia opposizione e dal mio rifiuto, percuote la mia gote con un violento e ardente schiaffo.
Addolorato scaccio un urlo e mi copro il viso per il timore di venire nuovamente colpito.

«Che cosa hai? Perché? Che cosa ti affligge? Che cosa ti ha condotto a farlo?» domanda disperato scuotendomi per le spalle, ma non concedo a lui alcuna risposta, gli permetto di scuotermi  finché stimoli al culmine del vaso la mia collera. Collera e disperazione che getto tutta fuori in un furioso ringhio.

«Sono stanco!»

Il mio grido smuove me e mio padre, che commosso mi lascia andare e i miei piedi tornano al suolo. Recupero il gran fiato perso in quella dichiarazione, con affanno e le lacrime al volto, alzo gli occhi a mio padre e continuo.
«Sono stanco, non posso più andare avanti a vivere così con voi due, non posso, non voglio più!»
scoppio in un fiume di lacrime ma la pioggia cela la mia sofferenza.
«Sono stufo di non essere ascoltato! Sono stufo di essere il principe azzurro! Sono stufo di tutto quanto! Io non voglio più niente! Non voglio più vivere!»

Il mio petto diventa un assalirsi di onde che s'infrangono luna sull'altra, la mia gola si asciuga e il mio cuore freme di collera e passione. Lo stomaco mio è leggero ma leso come l'anima, precipitano più gocce dai miei occhi che dal cielo e la mia pelle ferve di calore.

«Ricomponiti, asciugati le lacrime e torna dentro. Parliamone»
dice con voce arresa e stanca, cercando di prendermi nuovamente per il polso, ma respingo la sua mano e scuoto il capo.

«Giammai, io là dentro non ci torno, non dopo quello che avete fatto ad Hansel, il mio Hansel. Voi non siete più mio padre e io non sono più vostro figlio!»

Dopodiché sferro una ginocchiata sotto il suo ventre e nel dolore si accascia a terra, sfrutto il suo attimo di debolezza per proseguire per il ponte che sfocia tra le abitazioni del popolo.
Irrigidisco il collo ad ogni volta che odo il mio nome uscire dalle sue labbra, corro il più lontano e veloce possibile affinché non veda più neppure la mia forma.

«Eledhwen!»

Man mano che mi allontano sempre di più, la voce di mio padre si prosciuga sotto il clamore della tempesta, posso solo udire i miei passi e il mio affanno accompagnati dai brontolii delle nuvole.
Centinaia di gocce d'acqua precipitano su di me e scivolano sul mio volto, i tuoni irrompono in grossi cumuli nembi sospesi in un cielo grigio scuro e ogni fulmine scagliato al suolo fa sobbalzare il mio animo.
Non capisco se sto piangendo o se sono solo inzuppato di pioggia, passo il braccio in viso ma è inutile e nell'atto, poiché distratto, inciampo finendo in una pozzanghera.

Resto in ginocchio nella pozza a fissare con affanno le mie mani annegate dai polsi in giù dentro la putrida acqua, recupero il fiato perso e in una foga di disperazione, spolmono grida disperate e avvilite ma il rumore della pioggia occulta le mie grida facendole sembrare solo delle petulanti lamentazioni. Getto fuori tutta la rabbia, tutta la tristezza e tutto l'odio che ho nello stomaco lo getto fuori.
Ma nello sforzo di vomitare emetto forti e violenti conati seguiti da colpi di tosse quasi fatali per il mio petto, già affaticato per la lunga corsa
Esausto e indebolito fino al midollo, mi curvo su me stesso cercando di rinvigorire le forze perdute, ma è impossibile.
Mi volto per vedere quanta strada abbia percorso, ma sia il castello che il regno sono ancora ben nitidi malgrado la pioggia e la mia vista alterata dalle lacrime.
Deluso della scarsa distanza percorsa, mi rimetto in piedi e riprendo a correre il più lontano possibile sforzando le mie povere gambe ed i miei piedi nudi ed esposti a qualsiasi scheggia al suolo.
Non so dove andrò, solo che indietro non ci torno.

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