𝑬𝒗𝒆𝒓𝒚 𝒚𝒐𝒖 𝑬𝒗𝒆𝒓𝒚...

By bluelliestories

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"Se potessi rivivere un solo giorno della mia vita, sarebbe sempre lo stesso, in loop, senza interruzioni, e... More

Introduzione
❦ Trailer & Cast ❦
1. Now you're just somebody that I used to know
2. I wonder if I'll ever see you again
3. Before our innocence was lost
4. Even my phone misses your call
5. We were silenced by the night
6. We're not who we used to be
7. Somewhere only we know
8. Where are you now when I need you most?
10. I'm Mr. Brightside
11. I'm coming out of my cage
ANNUNCIO IMPORTANTE
12. When I run out of road, you bring me home
13. She's walking on fire
14. Hey there Delilah
15. Taffy stuck and tongue tied
16. Big lights will inspire you
17. Just let me know, I'll be at the door
18. I'm gonna pay for this
❦ Playlist ❦
19. Crawling back to you
20. Your lips, my lips, apocalypse
21. Here to take my medicine
22. Another star, you fade away
23. Half of me has disappeared
24. Palm trees are candles
25. Kiss in the kitchen like it's a dance floor
26. Strawberry fields forever
27. I call my baby Pussycat
28. Well, are you mine?
29. Remember when you used to be a rascal?
30. The blood in my veins is made up of mistakes
31. Jealousy, turning saints into the sea
32. Remember me, special needs
33. It's New York baby, always jacked up
34. Times Square can't shine as bright as you
35. It'd be so sweet if things just stayed the same
36. Everyone knows she's on your mind
37. I'm better off on my own
38. We met with a goodbye kiss
39. When we made love you used to cry
40. With your hands between your thighs
41. Leave me hypnotized, love
42. Does he take care of you?
43. Lamb to the slaughter
44. The things I'm fighting to protect
45. With everything, I won't let this go
46. Don't turn away, dry your eyes
47. I will save you from all of the unclean
48. Head in the clouds but my gravity's centered
49. I see the truth in your lies
50. It was a perverted thing to say
51. I almost died in my dreams again
52. The bed was left in ruins
53. Won't stop til it's over
54. And the sex and the drugs and the complications
55. Meet me in the hallway
56. This is your last warning, a courtesy call
57. Every little lie gives me butterflies
58. Tell them the fairytale gone bad
59. You can drag me through hell
60. Your knee socks
61. Type of sex you could never put a price on
62. Should've done something but I've done it enough
63. Birds fly in different directions
64. Baby, can you see through the tears?
65. In the end, it doesn't even matter
EPILOGO - if it wasn't for you
BONUS - You can even fly up here
❦ Trailer e Ringraziamenti ❦
-DEVIANT-
❄️GIVEAWAY Natalizio❄️

9. Just nineteen, a sucker's dream - quattro anni prima

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By bluelliestories


È una storia da dimenticare
è una storia da non raccontare
è una storia un po' complicata
è una storia sbagliata.

Cominciò con la luna sul posto
e finì con un fiume d'inchiostro
è una storia un poco scontata
è una storia sbagliata.


10 ottobre 2014 h.1.20 AM
London

Nonostante la stagione estiva fosse da poco giunta al termine, quella sera a Londra un vento gelido tirava impetuoso senza avere alcuna pietà del suo viso esposto alle intemperie.
Si sollevó il colletto della giacca per proteggere dal freddo le gote ben rasate, e abbassò il cappuccio verso il viso per rendersi il più invisibile che potesse.

Svoltó un paio di vicoli bui e umidi con le mani nelle tasche, seguendo il ragazzo castano chiaro che camminava svelto di fronte a lui.
Rapidamente raggiunsero una delle entrate secondarie del locale e si intrufolarono dentro, rivolgendo una sola, rapida occhiata al gigantesco ragazzo di colore che presidiava l'ingresso, nascosto agli occhi del resto della gente comune, quella che si accalcava in fila sotto la sottile pioggia ottobrina per riuscire a superare la rigorosa selezione all'ingresso delle porte principali.
Una volta raggiunto il tepore della zona interna, si spogliò e consegnó la giacca ad una ragazza con vestiti succinti e i capelli raccolti in una coda alta, che gli sorrise ammiccante.
Era abituato a ricevere quelle attenzioni continue da parte delle donne. Praticamente non ci faceva più neanche caso.

«Andiamo dagli altri, sono di sopra.»
Gli aveva detto Jeff, il quale raggiunse il piano superiore arrampicandosi sui gradini di una scala a chiocciola. Dopo aver oltrepassato un paio di grandi tende scure e pesanti, giunsero ad un largo e comodo privé che affacciava sulla sala da ballo, situata al piano di sotto.
Il loro tavolo era sempre lo stesso, ovviamente il migliore, con comodi divanetti in velluto rosso che avevano la vista migliore sul largo lampadario a cui si aggrappavano le ballerine di burlesque durante gli spettacoli notturni.

Harry abbassó il volto mentre entrava nell'ampia vip area illuminata da luci stroboscopiche, probabilmente non lo avrebbero riconosciuto con quell'illuminazione a intermittenza, ma se si fosse sparsa la voce che lui era lì, la serata sarebbe velocemente giunta a termine.
La musica cominció a pompargli nel petto e a rimbombargli nelle orecchie, donandogli quella sensazione di stordimento che lui in quel periodo ricercava più di ogni altra cosa.

The Box era uno dei locali più in voga di tutta Londra, un posto eccentrico e super esclusivo a metà tra il night club e la discoteca, che rappresentava perfettamente l'anima di quella città edonistica ed eclettica: Harry era abbastanza di casa da quelle parti, strinse le mani almeno a una decina di persone dopodichè si stese sul divano e cominció a versarsi da bere.

Zacapa e cola.
Poi Tanqueray e tonica.
All'ennesimo mix di Redbull e Belvedere, mentre era nel pieno di una chiacchierata amichevole con un paio di amici di vecchia data, che gli urlavano letteralmente nelle orecchie per cercare di sovrastare la musica, si rese conto che dalla parte opposta del suo tavolo due splendide ragazze che solitamente non facevano parte della sua comitiva stavano ridendo di gusto, dando l'impressione di non averlo affatto notato.

Una in particolare, non riusciva a vederla in viso perché era girata di schiena, ed era quella delle due che aveva catalizzato la sua attenzione con un paio di gambe nude chilometriche, un vestitino di glitter argentato che cadeva drappeggiato e lasciava ben poco spazio all'immaginazione, lunghissimi e setosi capelli biondo miele che fluttuavano intorno alle sue spalle nude e bianche come avorio scolpito.

Non era particolarmente stupito: di belle ragazze ce ne erano a centinaia, in quel locale. Anche se di gambe così, che dovevano essere fatte della stessa materia del paradiso, se ne vedevano poche in giro, a dire il vero.
Ma quello che lo aveva rapito, attirando la sua curiosità, era quell'aria vagamente familiare che proprio non riuscì a spiegarsi.

Gli tenne gli occhi addosso ancora per un po', dopodichè lei si voltó mostrando il profilo, e lui la riconobbe immediatamente, quasi stupendosi di non averlo fatto prima.
Sebbene la sua mente fosse rimasta seduta su quel divano, a scattare una lunga serie di fotografie mentali da aggiungere all'archivio delle cose indimenticabili, le sue gambe erano già scattate verso di lei per raggiungerla, facendosi largo tra la folla con una manciata di ampie falcate.

«Estelle.» La nominò, sfiorandole con un tocco accennato la pelle del braccio. Quel nome stillò fuori dalle sue labbra come se fosse una goccia di miele bollente, un ricordo prezioso di un ignoto anelato e mai esplorato, di cui però la sua mente sapeva ancora disegnare perfettamente le fattezze.

Soprattutto dei lineamenti del suo viso, che gli affollarono lo sguardo non appena lei si voltò a quel richiamo: l'espressione meravigliata, nel trovarselo di fronte, non offuscava quel volto ingentilito da un sorriso lieve, e quell'aspetto angelico che le donava l'impressione di essere squisitamente immateriale, come se brillasse di un chiarore e una lucentezza del tutto propri ed esclusivi, distinti dalle luci artificiali che si riflettevano su chi li circondava.

Era bastato un battito di ciglia, una piccola azione irriflessa come l'atto di inumidire le palpebre: perché a certe cose bastava solamente un istante irrilevante, per creare una concatenazione infrangibile di conseguenze.

Lui conosceva il suo nome: fu quello il primo pensiero che si impossessò di lei.
Doveva essere la prima volta che Estelle lo sentiva pronunciato dalla sua voce: lo disse mentre aveva un bel sorriso dipinto sul volto, sembrava rilassato e piacevolmente sorpreso.
«Harry! Ciao.»
Subito dopo essersi lasciata cogliere da un piglio affascinato, tornò distante nel suo sorriso un po' algido e si ricompose immediatamente, perché quello era il suo modo di porsi con chi la metteva in soggezione. Ma l'istante dopo ancora, Harry notò quello stesso sorriso ampliarsi di rimando al suo, e una scintilla attraversare i suoi occhi incuriositi, da sotto un paio di lunghe ciglia perfettamente incurvate.
Gli bastarono quelle tre parole inconsistenti, per comprendere che quella ragazza fosse un rapido incedere vorticoso di imprevedibili slittamenti emotivi.

«Ci sei anche tu, non lo sapevo.»
Gli aveva detto lui, riservandole una certa confidenza che non avevano mai avuto.
In realtà Harry ed Estelle avevano tantissimi amici in comune, le loro sorelle erano legate da una bella amicizia, e si conoscevano anche da parecchio tempo, avendo frequentato la stessa scuola.
Ma non avevano mai avuto l'occasione di parlarsi, pur frequentando lo stesso giro di persone, soprattutto a Londra.
Anche perché il lavoro aveva portato Harry, negli anni, sempre più lontano, continuamente in giro per il mondo, e loro si erano persi di vista.

Ma adesso la sua amica Charlene stava frequentando da qualche tempo un carissimo amico di Harry, e quella sera le aveva proposto di passare una serata insieme a quelli che erano i loro amici di Londra e alcuni ragazzi che avevano frequentato la loro stessa scuola.
Una serata come tante altre, tantissime altre. Eccetto che per una piccola, insignificante variabile.
La loro farfalla, a quel punto, aveva battuto le sue ali: e quel banale e trascurabile dettaglio avrebbe forgiato per sempre il loro futuro, sebbene loro ne fossero ancora del tutto all'oscuro.

Ovviamente Estelle sapeva che Harry sarebbe arrivato, era stata avvertita. Lui ormai era una star internazionale, in giro per il mondo era semplicemente un idolo, e passare una serata in cui c'era anche lui voleva dire essere probabilmente costrette a mettere via il cellulare e prepararsi ad essere tampinati da paparazzi, curiosi e fan accaniti.
Eppure Harry sembrava perfettamente a suo agio in quel posto che poteva diventare la sua personale fossa dei leoni, da un momento all'altro.

«Si, sono con Charlie.»
Lui salutò anche la sua amica, presentandosi e porgendole una stretta di mano. Poi lo vide ancora sorriderle dopo averle augurato una buona serata, per tornare a sedersi sul divanetto, al suo cocktail e al suo amico biondino che gli stava raccontando un aneddoto divertente su una persona di loro conoscenza.

Jeffrey era andato a riempire un altro bicchiere con ghiaccio e tequila, dopodiché aveva raggiunto Harry stravaccandosi sul divano a fianco a lui, e gli mise un braccio attorno al collo per parlargli più in confidenza.
«L'hai puntata, per caso?»
Harry aggrottò la fronte come a chiedere di cosa stesse parlando.
«Estelle Harlow.» Disse indicandola con un lieve cenno del volto, per poi squadrarla da capo a piedi.
«Che figa da dieci. Tu scegli sempre le migliori.»

«L'ho semplicemente salutata, dal momento che la conosco.» Rispose Harry, distogliendo lo sguardo, con una totale mancanza di inclinazione nel tono di voce.
«Oh si, certo.» Jeff si accese una sigaretta. «Come no. La conosciamo tutti, ed è sempre stata pazzesca. Ma l'hai vista, cosa è diventata?»
Harry la guardó ancora una volta, mentre rideva serena con la sua amica e con un tipo eccentrico che assomigliava ad uno dei soci proprietari del locale.

«L'ho vista, Jeff.» Cominciava ad apparire vagamente scocciato.
Lui continuò a parlare senza essere stato minimamente interpellato.
«Adesso vive a Londra. Lavora per Élite model management, e forse dovrà trasferirsi a New York.»
Una modella, in piena London fashion week, pensò lui. E chi se lo sarebbe mai aspettato?
Harry decise di dare un po' di spago al suo amico, che era visibilmente già brillo a forza di buttar giù tequila on the rocks come se fossero noccioline, ma come al solito sembrava sempre ben informato sulle persone che li circondavano.
«Di sicuro con quella specie di vestito non passa inosservata.»
«Bastasse un vestito, a farle sembrare tutte così, amico mio.»
Harry accennò un sorrisetto sghembo, per poi tornare serenamente al suo cocktail.

Di certo non si sarebbe messo a raccontare al suo amico mezzo ubriaco, che lui quella ragazza l'aveva notata molto tempo prima, in un periodo non troppo lontano nel tempo, ma che sembrava appartenere ad una vita precedente. Ormai erano passati anni dalla prima volta che l'aveva vista, un po' infagottata nella sua divisa blu e verde, bella di quella bellezza ignara, con quello sguardo ancora poco sicuro e quell'aria pulita da ragazzina un po' insicura, fasciata in un corpo che era in piena fioritura e che diventava ogni giorno più sconosciuto a se stesso.

Adesso era a solo pochi metri di fronte a lui, e ostentava una sicurezza delle proprie movenze che lasciava pietrificati. Tutto in quella figura gridava sensualità, ogni singolo poro della sua pelle emanava spregiudicata e compiaciuta consapevolezza di seduzione, nel modo in cui si tirava indietro i capelli dal viso e li lasciava scivolare, languidi, lungo la schiena; nel modo in cui si allisciava il fianco con la mano per poi portare la stessa ad accarezzarsi le labbra con le dita, ma soprattutto il modo in cui guardava il mondo, con quel lampo allusivo mascherato da apparente ingenuità.

«Secondo me, quella é troppo anche per te.»
Lo stuzzicò il biondino di fronte ad Harry, che si chiamava Todd, ben sapendo che il suo amico avrebbe preso quella frase come una sfida. Ovviamente lo stavano provocando, e si stavano divertendo anche parecchio.
Harry bevve un sorso senza staccarle gli occhi di dosso, perché quella ragazza lo intrigava da tempo immemore, ma mantenne pienamente il suo aplomb.
«Non sono in vena di mettermi a caccia di donne, stasera.» Tagliò rapidamente corto su quella conversazione. «O aprono subito le gambe, oppure cercano il grande amore. E a me non interessa nessuna delle due tipologie. Voglio solo rilassarmi.» Aggiunse, per poi buttare giù in gola uno shottino di rum che prese a infiammargli il petto.
Jeff e Todd si scambiarono un'occhiata eloquente.



«Ti ha levato il vestito con gli occhi.»
Gli occhi distanti e un po' cerchiati dal taglio allungato di Charlene raggiunsero quelli di Estelle, attraverso lo specchio che avevano di fronte. Il suo sguardo era chiaramente insinuante.
«E quello rimarrà l'unico modo in cui potrà togliermelo.»
Lei stette allo scherzo, mentre si sistemavano il trucco nel bagno del privè, ma se avesse dovuto essere sincera, non aveva visto nello sguardo di Harry quella malizia di cui la sua amica le stava parlando.
Anzi, al contrario: aveva notato semplicemente un ragazzo gentile, che l'aveva salutata con educazione nonostante quel saluto non fosse dovuto, e poi era tornato al suo posto.

Charlie ridacchiò, sistemandosi il rossetto con le dita e poi raggiungendola con uno sguardo ancora più tagliente.
«Ma lo hai visto? Forse ti farebbe bene, farti dare una ripassata da uno così.»
Estelle roteò gli occhi al cielo, sperando che quell'insistenza terminasse quanto prima.
«Lo conosco da anni, Harry Styles. È esattamente il tipo di ragazzo da cui qualunque ragazza dovrebbe stare lontana.»
Non era del tutto convinta di quello che stava dicendo, con quel tono perentorio e convinto: sentiva di essere un po' ingiusta nei suoi confronti perché in fondo non lo conosceva affatto, ma la sua reputazione lo precedeva e lei se la sarebbe fatta bastare.
«Strano, perché mi sembrava che mezza popolazione femminile gli si getterebbe addosso.»
Estelle sorrise, con l'aria di chi la sapeva lunga. «Appunto.»

Fu dopo averla vista ballare, e ballava sinuosa come se cento mani immaginarie le percorressero ogni centimetro del corpo, o forse era così che lui se la stava immaginando, che Harry decise che probabilmente, da una così era meglio starne lontano. Una del genere poteva diventare veramente una droga che flippava il cervello, lui era giovane ma lo sapeva bene: aveva visto diversi suoi amici ridursi in pezzi per delle ragazze di quel tipo, e era stato lui a doverli rimettere insieme, quei cocci di cuori spezzati.

Non poteva permettersi distrazioni, solo storie di una notte o poco più. Nessun significato, nessun legame, nemmeno una forte attrazione fisica, che quando era troppo potente poteva ritorcerglisi contro e stritolarlo come un serpente a sonagli.
Eppure, quella sera, non riusciva ad avere occhi che per lei.
Perché semplicemente era troppo bella.
E quando il suo corpo andava a tempo di musica gli sembrava che esistesse solo lei in tutto il locale.

Si lasciava trasportare con slancio e grazia, gli occhi le si assottigliavano e sul suo volto si dipingeva un'espressione che Harry avrebbe potuto paragonare al puro godimento estatico, e non avrebbe saputo dire se fosse più sacro o profano.
Ogni tanto sembrava che tornasse nel mondo reale, e mostrava uno sguardo vagamente imbarazzato, quando notava di avere diversi occhi puntati addosso.
Eppure era una modella, che per mestiere viveva proprio di quello, di sguardi incollati addosso, ma si vedeva che doveva avere ancora poca esperienza, e che ancora non riusciva a gestire tutta quella bellezza concentrata assieme.

Nel tempo avrebbe perso sicuramente quegli stralci di ingenuità ancora un po' infantile: lui lavorava da anni nello show business e già lo sapeva, eppure Harry l'aveva notato, quel lampo di innocenza, sotto l'eye-liner marcato a delineare due occhi incontaminati.
C'era ancora qualcosa in lei della vecchia Estelle, quella che andava a scuola insieme a lui con il cerchietto di perle tra i capelli, che ogni tanto veniva fuori da sotto quel vestito scintillante e striminzito.
In fondo, la totalità del genere umano è composto da tante sfaccettature spesso in contrasto tra loro, ed è ciò che rende più reali, ma allo stesso tempo più unici ed irripetibili.
E lei gli sembrò così: gli appariva quella sera come qualcosa di indefinibile, ma incredibilmente eccezionale.

La coda nell'occhio di Harry precipitò in picchiata su di lei, mentre sussurrava qualcosa all'amica e si dirigeva verso l'uscita secondaria.
Attese qualche secondo e percepì il suo corpo fremere dall'impazienza all'idea di dover restare fermo sul suo divanetto, a chiacchierare con i suoi amici, facendo finta di niente.
Ma non mantenne a lungo il controllo delle proprie gambe, per cui si alzó di nuovo, e la raggiunse in fretta. Passò ancora una volta di fronte alla ragazza del guardaroba, che gli sorrise ammiccante, ma stavolta non le rispose e tirò dritto davanti a sé.

Non appena fu uscito dal locale, notò Estelle appoggiata al muro, poco più in là della porta, un po' intirizzita dal freddo, che osservava il cellulare con aria abbastanza assorta.
Si avvicinò lentamente, un po' esitante, cercando di farsi notare senza però piombarle accanto in modo inopportuno.
«Hai bisogno della giacca?»
Lei si voltò, richiamata da quella voce attraente: non si aspettava proprio di trovarselo lì davanti ancora una volta, ma sorrise un po' incerta.
«Ho bevuto tequila, non ho così freddo.»
Poi si disse che forse rifiutare un gesto così cavalleresco e gentile sarebbe stato poco educato. «Comunque grazie.»

Harry, leggermente soddisfatto, le poggió la sua giacca pesante sulle spalle, e i muscoli di lei si rilassarono appena le arrivó la percezione del calore e di quel profumo di buono sulla sua pelle.
In realtà così andava molto meglio.
Estelle si sentì più a suo agio, perché tante volte aveva immaginato come sarebbe andata una conversazione con lui, ma soprattutto aveva immaginato il suo profumo, e si stupì non poco nel rendersi conto che non fosse molto diverso da quello su cui lei aveva sempre fantasticato.

Dal momento che si era tolto la giacca, indossava solo una semplice t-shirt bianca scollata dalla quale si intravedevano due tatuaggi old style che a Estelle sembrarono due rondini in picchiata, dei pantaloni neri attillati strappati sulle ginocchia, e un paio di stivaletti Chelsea color camoscio.
Si chiese se non avesse freddo, ma non ebbe l'audacia di domandarglielo, e aspettò che fu lui a parlare per primo. 

«Come mai sei uscita?» Harry stava cercando di ignorare mentalmente quegli aculei di ghiaccio pungergli sotto la pelle, e non comprese come lei avesse voglia di congelare lì fuori.
«È perché non mi fanno entrare con il cellulare. Sai, per colpa tua.» Disse lei, ridendo leggermente.
«Oh cavolo, mi dispiace! Lo puoi tenere tranquillamente!» Era sinceramente rammaricato, perché non aveva affatto pensato a quella eventualità. «Lo diró al buttafuori. Non penso che tu sia interessata a scattarmi delle foto.»

L'ultima frase era ovviamente una malcelata e molto sottile provocazione.
Niente di particolarmente sfacciato, ma era comunque un buon metodo, puntare sull'umorismo con una battuta sorniona. Quell'atteggiamento di placida e bonaria indifferenza amichevole, nascondeva in realtà un'astuzia vigile e sottile.
Già, esattamente quel tipo di ragazzo.
«Perché, non ho l'aria di essere una tua fan?» Domandò lei, continuando senza difficoltà a stare al gioco.
«No, perché mi conosci da quando ero una maschera di brufoli.»

Estelle avrebbe voluto sospirare, ma si trattenne.
Harry era autoironico, era simpatico, carismatico, aveva la risposta pronta, e tutto questo era autentico, non aveva nulla di costruito: unitamente ad una bellezza fuori dal comune, avrebbe potuto far capitolare qualsiasi donna avesse voluto. Esattamente quel tipo di ragazzo, la peggiore razza su cui Estelle avrebbe mai voluto posare gli occhi: il lupo travestito da agnello.
E aveva il sorriso più mozzafiato e sconvolgente che lei avesse mai visto, ma quella non era certo una novità, visto che lei lo pensava anche quando aveva ancora i brufoli.

Estelle continuó a sorridere tornando con lo sguardo sul cellulare, anche se non aveva niente di interessante da controllare, solo per distogliere gli occhi da lui.
«Mi hanno detto che sarai alla fashion week.» Proseguì a parlare, lei mise di nuovo da parte il telefono, e sorrise di compiacimento, perché il fatto che lui lo sapesse voleva dire che aveva parlato di lei con qualcuno ben informato.
«Ti hanno detto bene. Ci sarai anche tu?» Lui annuì con un cenno della testa, perché era stato invitato a un paio di eventi, come quasi tutti gli anni.
«Sono abbastanza tesa.» Ammise poi, e si ridipinse su quel volto attraente, la purezza di una smorfia bambinesca.

«Lo sono anche io, ogni benedetta volta. Prima o poi impari a convivere anche con quell'adrenalina.»
«Vorrei solamente sfilare in pace, senza tutta quella gente intorno che mi osserva.»
Harry si appoggió al muro, e incrociò le braccia, come se stesse per dire qualcosa su cui aveva ragionato molto.
«Tu chiudi gli occhi, e falli sparire tutti. Torna mentalmente nel salotto di casa tua, quando facevi le prove davanti allo specchio.»
Estelle sorrise ancora, perché rimase ad ascoltarlo mentre parlava di lei ma anche e soprattutto di se' stesso, e le piaceva che cercasse di offrirle un po' della sua esperienza. Notò che era diventato altissimo: non se lo ricordava così alto, l'ultima volta che lo aveva visto. Ma quanto tempo fa era stato?
«Poi sai,» continuò lui. «Tutti iniziano come te: solo per sfilare, o solo per cantare, o recitare. Ma poi arriva tutto il resto, che in realtà è quello che ti conferma che stai facendo le cose fatte bene. E quando arriva, allora sono cazzi.»

Lei lo guardò, perché aveva abbassato il volto guardandosi la punta delle scarpe, e non sapeva se sarebbe riuscita ad incrociare il suo sguardo, mentre sembrava che stesse facendo delle riflessioni con se stesso, ad alta voce.
Aveva un qualcosa di terribilmente spontaneo che non avrebbe mai pensato di trovare in uno come lui, genuino come quelle fossette che gli incorniciavano il sorriso luminoso, e gli piaceva anche il modo in cui ragionava.
Lui si morse la lingua perché stava parlando troppo, e non aveva voglia di annoiarla, anche se lei non dava affatto questa impressione.

Estelle gli passó davanti sfilandosi la sua giacca dalle spalle, e gliela porse, poi gli sorrise, leggermente allusiva.
Harry non sapeva cosa lo avesse mandato in tilt, ma non riusciva davvero a decifrare i suoi segnali, quella sera.
Le sue narici mentre inspirava si riempirono di un nuovo invitante profumo che doveva essere il proprio mischiato a quello della pelle di lei.
«Sembra che qualcuno non sia ancora abbastanza ubriaco.» Aveva detto lei, prima di rientrare.

Harry rimase per qualche decimo di secondo imbambolato e inchiodato al muro da quello sguardo insinuante.
In fondo, se l'era cercata e gli era piaciuto farlo, perché lei sembrava scoppiettare come una fiamma ardente e lui adorava giocare con il fuoco.
La seguì dentro il locale senza scrollarle gli occhi di dosso, e mentre la spogliava con gli occhi seguendo la sua camminata ondeggiante, si chiese se fosse possibile che non riuscisse mai a contenersi, a evitare di far galoppare i suoi pensieri verso le perversioni più sfrenate che riusciva a immaginare.

Cosa aveva intenzione di fare adesso, provarci, farla bere un po' e poi portarsela a letto? Passare una notte probabilmente pazzesca, sbiadita dai fumi dell'alcool, per poi non vedersi mai più, e dimenticarsi come se nulla fosse mai accaduto? Jeff gli avrebbe detto che ne sarebbe valsa la pena, e gli avrebbe anche detto di farsi meno problemi e viaggi mentali.
Ed Harry prendeva tutto così, alla leggera, la sua vita correva veloce, e lui era così giovane.
Ma c'era qualcosa, come un eco lontano che risuonava nella sua testa, qualcosa che aveva letto dentro quegli occhi pulsanti di vita ed anima, che gli diceva che non doveva bruciarla in quel modo, come una meteora, un'altra squallida tacca sulla cintura. Qualcosa come una scintilla preziosa che gli suggeriva che qualcuno, uno dei due, avrebbe potuto addirittura farsi male.

Ma queste erano congetture che svanirono man mano che durante la serata era salita la gradazione alcolica dei suoi drink.
Quando la situazione fu tale per cui quasi nessuno fosse più in grado di comprendere la totalità delle proprie azioni, accadde che Harry, pur non sapendo bene come, si era ritrovato a ballare nella mischia di amici, avvicinandosi sempre di più alla figura di Estelle, in maniera più o meno inconsapevole.

Lei si muoveva scatenandosi e dando l'impressione di non sapere bene dove si trovasse, e a quel punto lui si disse di avere il totale controllo di quel momento, visto che quella era una situazione che aveva vissuto innumerevoli volte, e sapeva perfettamente come approcciare e come comportarsi: al primo contatto di sguardi, le avrebbe cinto la vita con il palmo della mano, poi le avrebbe accarezzato i capelli, per poi attirare il viso verso il suo.

Non ragionava, era solo puro istinto e basse inibizioni: si muoveva nel suo territorio come un felino che bracca la propria preda, replicando meccanicamente le azioni che aveva impresse nella sua testa, in modo da impararle a memoria e farle scattare come semplici automatismi.
Questa volta però, si sentì attratto come da una forza magnetica misteriosa, che lo attirava come se fosse un oggetto metallico in balìa della propria calamita,
come se fosse lei a dominare il gioco, e non viceversa. E lui le fissava le labbra come se fossero un frutto invitante di cui non avrebbe voluto privarsi.

Lo sguardo tra loro due avvenne poco dopo, perché la distanza di sicurezza era stata annullata: lui partì con la sua mano sul fianco, e lei lo lasciò fare, ma quando arrivó ad accarezzargli i capelli sulla fronte, Estelle si bloccó in mezzo alla pista, e gli trattenne la mano con la sua.
Un brivido che avrebbe definito simile al timore le aveva attraversato la schiena non appena lo sguardo annacquato di Harry era diventato intenso e l'aveva guardata in un certo modo.
Non sapeva se fosse solo paura. Forse era attrazione. Forse era paura della sua stessa attrazione, quel colpo sordo nel petto: qualunque cosa fosse, lei si irrigidì.

Harry rimase interdetto nel vederla scuotere la testa e guardarlo negli occhi con aria leggermente contrariata.
No, gli stava dicendo, anche se lo stava facendo in modo discreto, per farsi vedere solo da lui, ma il suo sguardo era molto eloquente.

Ecco, questa era una di quelle cose che a lui non capitava mai e che di conseguenza non aveva preso in considerazione. Non che non fosse in grado di gestire un rifiuto, il suo ego non ne sarebbe uscito danneggiato, però si sentí un po' un cretino e difficilmente gli capitava di sentirsi sconfitto in quel modo, soprattutto con il genere femminile.

Lei si avvicinò al suo zigomo e gli sussurrò nell'orecchio: non era arrabbiata, forse un po' scostante, ma in fondo sembrava cordiale e tranquilla.
«Come se avessi accettato.»
Si divertì a prenderlo in giro come se lui gli avesse offerto un caffè, con una trasparenza e una schiettezza che per lui fu quasi letale, perché lo fece sentire un perfetto idiota.
Che esagerata, pensò, non c'era bisogno di mettersi subito sulla difensiva: in fondo le aveva solo sfiorato i capelli, non voleva mica portarsela a casa e finire la serata tra le sue gambe.

E invece era esattamente quello che voleva fare, e quel che era peggio, mentiva a se stesso. Chè non sapeva se fosse la tequila o quel vestito troppo corto o quei capelli troppo morbidi e setosi che si muovevano ipnotici lungo la schiena lasciata nuda, ma incorniciata dai drappeggi del vestito, o la forma del seno che si intravedeva morbida sotto una stoffa troppo sottile, ma sentiva ribollirgli il sangue nelle vene come gli era capitato rarissime volte, e se la sarebbe portata nel bagno e l'avrebbe fatta sua seduta stante, se lei glielo avesse permesso.

Ma Estelle era stata diretta come una cannonata nel petto. E in realtà, in qualche modo astruso e contorto, immaginava e sperava che lei non fosse come tutte le altre, e fu in parte sollevato di scoprire che non si era sbagliato.
«Scusami, sono ubriaco.» Le aveva risposto, semplicemente, defilandosi altrove.

Probabilmente non l'avrebbe mai avuta, e non ne fu affatto contento.
Ma il fatto che lei fosse ancora simile a come se la ricordava, un po' schiva e sfuggente in quegli occhi cangianti che erano cristalli di zucchero, gli piacque incredibilmente.
Si ritrovò a pensare, in quel pensieri labili sfumati dai fumi degli alcolici e della stanchezza, che il tempo non l'avrebbe cambiata, e che per farla capitolare bisognava guadagnarsi la sua attenzione sul serio.

Lei gli aveva indirizzato di nuovo un sorriso, per un solo istante, l'ultima volta che i loro sguardi si erano incrociati, e poi aveva continuato la sua serata in serenità, innata catalizzatrice di attenzioni quanto lo era lui, spudoratamente bella con quelle movenze da gatta sotto un volto scolpito su quello di bambola di porcellana.

E Harry il giorno dopo se la sarebbe raccontata come più gli sarebbe piaciuta, la versione di quel primo vero incontro con quella creatura spaziale, ma la cocente, bruciante verità era sempre una e una sola, e faceva male: era stato rifiutato.



È cominciata davvero!
Siamo tornati indietro nel tempo, e sarà un lungo viaggio, in modo tale che abbiate tutti gli strumenti per giudicare.
Sono emozionata perché vorrei già farvi sapere un sacco di cose. Ma non si può! Fatemi sapere voi cosa ne pensate.

Vorrei ringraziare davvero chi sta sprecando anche solo una parolina o una stellina per dirmi che sta apprezzando la storia. Ma anche chi legge in silenzio. Insomma vi adoro tutti.⭐️

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