Last Chance

By Camrenismorethanreal

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Lauren Jauregui, 30 anni, neurochirurgo prodigio di fama mondiale. Nonostante la giovane età, ha già avuto tr... More

Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 49
Capitolo 50
Capitolo 51
Capitolo 52
Capitolo 53
Ultimo capitolo

Capitolo 42

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By Camrenismorethanreal

" Dovrai attirarla a te, comportati come se l'avessi perdonata e poi sarò io a darle il colpo finale..."

Queste parole continuavano a rimbombare nella testa di Camila, che da poco, era appena stata accompagnata a casa dopo la notte più folle della sua vita. Non riusciva a smettere di pensare, il suo cervello era in subbuglio, se si fosse potuto sentire il rumore, il suo, sarebbe stato addirittura assordante.

La luce del sole cominciava a fare capolino dalle fessure del balcone, colpendo direttamente il viso di Camila, che iniziò a sentire un leggero calore. Era l'alba e la cubana non aveva chiuso occhio, non che, se avesse potuto, ci sarebbe riuscita. Quella notte, tutto era stato messo in discussione, ogni legame, messo in pericolo e le persone care a Camila, esposte ad un gioco che solo lei, aveva il potere di controllare.

Da una parte la sua famiglia, gli affetti di una vita, il suo stesso sangue, le persone più importanti che le erano state vicino sin da quando aveva emesso il suo primo respiro, le stesse che le avevano donato tutto, nonostante non avessero niente. Sofia, quel piccolo essere umano che le aveva regalato di nuovo il sorriso, che sin da quando era nata aveva promesso di proteggere a qualsiasi costo.

Dall'altra, la donna che le aveva sconvolto il cuore e l'esistenza. Non avrebbe mai pensato di potersi legare in maniera così indissolubile con una persona, eppure la cubana, sentiva nei confronti di Lauren, un qualcosa che a parole non era neanche possibile spiegare da quanto fosse profondo. Ogni sentimento con lei, era amplificato: la rabbia, la felicità, le provava dentro ogni muscolo.

Le aveva fatto del male, ma tradirla in quel modo, sarebbe stata la cosa più meschina che potesse fare. Toglierle la cosa che per lei significava di più e rovinarla per sempre.

Camila si trovava in una situazione davvero complicata, ma sapeva sin da subito che non avrebbe avuto scelta: la sua famiglia per lei era sacra, non poteva rischiare che quella donna rivelasse loro il suo segreto o peggio ancora, gli facesse del male. Lauren sarebbe stato il suo danno collaterale e sapeva già, che l'avrebbe persa per sempre.

In pochi mesi, le due ragazze avevano passato di tutto: sembravanocalamite che si respingevano, per poi attrarsi.  La cubana non poteva negare di essere un po' esausta, quella situazione era abbastanza pesante. Vederla baciare un altra l'aveva sicuramente scossa, in un altro caso non avrebbe mai perdonato, ma con la corvina, Camila abbassava tutte le sue difese ed i suoi muri, molto spesso, rimanendo ferita.

"Mila? Mila?" - la vocina dolce di Sofia, irruppe nel silenzio -

Camila, sovrappensiero, si sentì all' improvviso tirare la maglietta e vide che ai piedi del letto, c'era la sorella che la fissava con uno sguardo incerto. La stanza era in penombra, illuminata soltanto da alcune spese che riuscivano a malapena a farle intravedere l'espressione di Sofia.

"Hey! Piccola che ci fai sveglia a quest'ora?" - le chiese la cubana, facendola salire sul letto accanto a lei -

"Ti ho sentita rientrare. Dove sei stata? In ospedale? Hai gatto qualche operazione figa?" - esclamò con eccitazione Sofia -

" Non si dicono queste parole!" - si lamentò la sorella maggiore - " chi ti insegna queste cose?"

" Billie Fisher della seconda A, dice che figa non è una parolaccia, è come dire cazzo.." - disse con naturalezza la bambina -

"SOFIA!" - esclamò allibita la cubana mentre la piccola iniziò a sghignazzare - " Non fa ridere, non dirle più, altrimenti sono costretta a dirlo alla mamma" - si fece seria -

"Uffi!" - sbuffò la bambina - " da quando il tuo cervello sembra essere diventato un frullatore, non sei più simpatica" - mise un finto broncio -

" Un frullatore?" - chiese stupita la cubana -

" È come se si potesse sentire il rumore dei tuoi pensieri, a volte ti incanti anche a guardare un punto fisso e non senti più nulla, come prima. Non ti fa bene Mila, poi ti ammali e non puoi più curare le persone.."

Camila sorrise di fronte a tanta innocenza. Quella bambina riusciva sempre a stupirla, aveva dieci anni, ma percepiva le sue emozioni, molto più di tanti adulti che le stavano intorno. La cubana l'afferrò, trasportandola tra le sue braccia, stringendola da dietro. Averla vicino, la calmava, le dava un senso di pace e serenità, che però durò poco.

Sofia iniziò a tremare, come se avesse degli improvvisi spasmi di freddo. Poteva sentire i suoi muscoli contrarsi. Sofia aveva spesso queste reazioni e Camila era preparata a questa eventualità. Così la stese sul sul suo letto, mettendosi accanto a lei, lasciandole qualche carezza, sussurrandole dolci parole all' orecchio. Di solito, tutto ciò riusciva sempre far sparire queste crisi, anche se non erano dei veri propri rimedi dettati dalla medicina. Infatti pochi secondi dopo, la bambina iniziò a stabilizzarsi, tornando alla normalità.

"Che è successo Mila?" - chiese la piccola ignara -

"Niente Sofi, una piccola crisi, ma che è già passata, ora però devi tornare a letto che poi mamma mi uccide..." - le ordinò la cubana, volendo che si riposasse -

Camila prese in braccio la sua sorellina, che poi così tanto piccola non era e se ne era accorta nel momento in cui sotto il suo peso, la sua schiena cominciò a farle male, la portò nella sua camera e le rimboccó le coperte.

"Mi fa male la testa.." - si lamentò la bambina -

Ogni volta che aveva una di queste crisi, Sofia ne riscontrava poi i sintomi. La malattia che aveva e di cui ancora, non vi era una cura specifica, risultava pesante, soprattutto nella vita di una bambina di quell'età.

"Vedrai che se adesso chiudi gli occhi e torni a dormire, ti passerà.." - la cubana le lasciò un bacio sulla fronte -

"Ci sarai quando mi sveglierò?" - chiese preoccupata la bambina -

"Devo andare al lavoro Sofi lo sai, però il mio numero di cellulare ce l'hai, chiamami per qualsiasi cosa va bene?" - la piccola annuì, cercando di addormentarsi -

" Mila?" - la chiamò prima che potesse chiudere la porta - " so dove sei stata stasera, puzzi di alcool, ti sei divertita con Lauren!" - sorrise - " Brava, mi piace, spero diventi la tua ragazza, se non lo è già..." - disse con naturalezza e tornò a dormire -

Camila immediatamente ripensò a tutto ciò che aveva vissuto quella notte. Ormai il sole era sorto e la sveglia segnava le sei del mattino. Il suo turno sarebbe iniziato da lì a breve e con esso, anche la sua strada verso la distruzione di una delle persone che più amava. La cubana non sapeva se ne fosse stata in grado, non aveva così sangue freddo. Cercò di scacciare i brutti pensieri ma soprattutto l'odore di alcool e fumo che aveva addosso, buttandosi sotto il getto dell acqua calda della doccia, godendosi quel terpore che le riscaldó i muscoli, ancora paralizzati.

"Tesoro,ma che hai fatto? Sembri uno zombie!" - sua madre apparve d improvviso in cucina mentre Camila stava sorseggiando la sua tazza di caffè -

- Grazie Mamma, tu sì che sai come aumentare la mia autostima!" - esclamò sarcasticamente la cubana -

" Sei stata di nuovo tutta la notte in ospedale? Non mi piace che ti facciano lavorare così tanto, sento che dovrei parlare con quel tuo capo famoso lì, Lauren qualcosa.." - borbottò la madre -

"Mamma ho quasi 25 anni, so cavermela da sola, ma grazie per l'interessamento. Devo scappare.." - le lasciò un bacio sulla guancia e corse via -

Quella mattina decise di arrivare in ospedale camminando, nonché la strada fosse poi così corta. Aveva bisogno però di distendere la mente e riordinare i pensieri e di solito, quella era l'attività che più l' aiutava. Si fermò davanti all' insegna di quell' ospedale, che una volta tanto bramava e da cui adesso, vorrebbe soltanto scappare. Restò immobile ad osservare l andirivieni delle persone che uscivano ed entravano dalle porte scorrevoli, quando sentí il suo cellulare vibrare.

Un messaggio. Numero sconosciuto.

Aveva quasi paura nel cliccare sul tasto apri perché poteva immaginare molto bene chi fosse il mittente.

" Ho sempre pensato non avessi molto gusto nel vestire, d'altronde essendo povera lo capisco, però oggi mi piaci: semplice ma attraente. Toglierei quel cappello però, fa molto anni cinquanta...
Ah comunque, buona fortuna per oggi! Ricorda che tutto è nelle tue mani, dirò a Normani di salutare Sofia, sai nel caso non ti impegnassi abbastanza..ma so che lo farai...
Ciao chica!
Tua C."

Camila si guardò subito intorno per riuscire a scorgere quella donna che chiaramente, la stava spiando. Non vide però nessuno, troppe le persone che le stavano attorno e troppo furba Clarissa, per farsi scoprire. La cubana si sentì come un animale in gabbia, intrappolata e senza vie di fuga.

"Cabello, eccoti, credevo non fosse rimasto nulla di te, sai dopo stanotte.." - Lucy fece capolino dietro di lei -

"Come hai potuto? Mi ero fidata di te ed invece sei soltanto un' impostora!" - alzó il tono di voce tanto che alcune persone si voltarono verso di lei -

" Non fare scenate tesoro, non ne vale la pena, passeresti tu per la pazza" - esclamò fiera Lucy -

" C'è mai stato qualcosa di vero? La cura per mia sorella? La clinica? Dimmelo!" - la cubana si avvicinò a pochi centimetri dal viso della ragazza -

"Stai dando spettacolo! Scusatela, è solamente un po' scossa" - Lucy le afferrò il braccio, trascinandola in un angolo meno affollato -

"E lasciami!" - la cubana si divincoló -

" Mettiamo in chiaro una cosa ragazzina! Cerca di calmarti subito, che io non ho molta pazienza. Devi eseguire un compito, fallo, non vorrai che dica a Clarissa che non sei obbediente vero?" - la minacciò -

" Cosa pensi di ottenere facendo la lecchina di quella donna? Non appena avrà raggiunto il suo obiettivo, ti getterà come se non avessi mai contato nulla. Ti sta usando come una misera pedina e sei talmente stupida, da non accorgertene neanche..." - Lucy scoppiò a ridere -

" Mia cara Camila, credi di essere così tanto superiore agli altri, che non vedi neanche, che qui, l'unica con qualcosa da perdere sei tu. Finita questa storia, non avrai più niente, rimarrai sola, come sei sempre stata"

Lucy entrò in ospedale a testa alta, come se fosse fiera di ciò che stava facendo. Camila invece rimase immobile cercando di trattenere la rabbia. Stringeva forte i pugni, tanto che le mani, le diventarono quasi bianche. Non poteva permettersi di reagire, sua sorella sarebbe stata in pericolo. Il cuore le batteva sempre più forte, come se volesse saltare fuori dal petto.

"Camila..."

Una voce dietro di lei, interruppe i suoi pensieri, provocandole un brivido freddo lungo tutta la schiena. Il cuore dapprima impazzito, si bloccò improvvisamente. Lo stomaco cominciò a bruciarle ed cominciò a sentire,, unaggera sensazione di nausea.

"Possiamo parlare?" - Lauren le chiese -

Camila in quel momento stava provando mille emozioni diverse: la paura, di non essere abbastanza convincente, la rabbia di rivederla dopo ciò che le aveva fatto la notte prima, la tristezza, di doverla guardare negli occhi e mentirle, l'amore, che nonostante tutto la invadeva ogni volta che si perdeva nelle sue iridi verdi smeraldo, la consapevolezza ed il dolore, di perderla per sempre. Fece un respiro profondo anche se l'aria sembrava far fatica ad entrare e si voltò.

" dimmi.." - la cubana cercò di essere fredda, anche se arrabbiata, lo era davvero -

"Volevo chiederti scusa per ieri sera, per quello che hai visto, per come l hai visto. Non era mia intenzione ferirti..." - provò a spiegare la corvina -

"Quindi ti scusi non perché hai baciato un altra, ma perché ti ho vista farlo?" - esclamò esterefatta Camila -

" Ho il cervello che sta per esplodere, non capisco più nulla e quando succede così, il mio istinto prende il sopravvento e combino sempre casini.    Se ti dicessi che Demi mi è indifferente sarei bugiarda. È una ragazza che ho riscoperto da poco e non.."

" Ma sei seria?" - sbottò la cubana interrompendola - " vieni qui, vuoi parlarmi, per dire cosa? Elogiare la tua nuova ragazza e farmi sapere che non ti è indifferente? Ma tu non sei normale!" - disse delusa -

" Sto provando per una volta ad essere totalmente sincera con te, non voglio ci siano più fraintendimenti, voglio ricominciare da capo.."

Camila abbassò il volto, sapendo che se la corvina l'avesse guardata negli occhi, avrebbe immediatamente scoperto che qualcosa non andasse. Sapeva leggerle dentro e questa volta non poteva permetterglielo. Cercò di ricomporsi e di frenare le sue emozioni che in quell' istante, le dicevano di andarsene e lasciarla sola.

" Forse dovevi esserlo un po' prima, che dici?" - continuò Camila -

" Non serve a niente ripensare al passato, dobbiamo andare avanti e ricominciare. Ti va?" - domandò Lauren -

" Signorina Jauregui, che piacere rivederla, venga con noi, la stanno tutti aspettando in sala riunioni.."

Una donna di mezza età, vestita in tailleur nero, interruppe la loro conversazione, facendo respirare Camila. Quella donna sembrava stranamente troppo gentile quando fino a pochi giorni prima, era una delle persone che voleva Lauren fuori, a tutti i costi.

Camila intuì subito che anche lei era una pedina di Clarissa per portare avanti il suo piano.

"Signorina Cabello venga anche lei, che abbiamo delle novità di cui parlarle..." - la donna le fece l occhiolino e la trascinó dentro insieme a Lauren che continuava a guardarla stranita -

Camila aveva deciso.
Una decisione difficile ma necessaria.
Sua sorella per Lauren.
Non se lo sarebbe mai perdonata. E forse questa, sarebbe stata la punizione che più si meritava: il senso di colpa eterno che non avrebbe mai superato.




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