La Sinuosa Linea del Serpente...

By DonatellaR

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Storia ambientata in un Universo Alternativo (AU). Serpeverde. "La grandezza ispira l'invidia, l'invidia gene... More

La Sinuosa Linea del Serpente - The Sinuous Line of the Snake
§ Capitolo Primo §
§ Capitolo Secondo §
§ Capitolo Terzo §
§ Capitolo Quarto §
§ Capitolo Quinto §
§ Capitolo Sesto §
§ Capitolo Settimo §
§ Capitolo Ottavo §
§ Capitolo Nono §
§ Capitolo Decimo §
§ Capitolo Undicesimo §
§ Capitolo Dodicesimo §
§ Capitolo Tredicesimo §
§ Capitolo Quattordicesimo §
§ Capitolo Quindicesimo §
§ Capitolo Sedicesimo §
§ Capitolo Diciassettesimo §
§ Capitolo Diciottesimo §
§ Capitolo Diciannovesimo §
§ Capitolo Ventesimo §
§ Capitolo Ventunesimo §
§ Capitolo Ventiduesimo §
§ Capitolo Ventitreesimo §
§ Capitolo Venticinquesimo §
§ Capitolo Ventiseiesimo §
§ Capitolo Ventisettesimo §
§ Capitolo Ventottesimo §
§ Capitolo Ventinovesimo §
§ Capitolo Trentesimo §
§ Capitolo Trentunesimo §
§ Capitolo Trentaduesimo §
§ Capitolo Trentatreesimo §
§ Capitolo Trentaquattresimo §
§ Capitolo Trentacinquesimo §
§ Capitolo Trentaseiesimo §
§ Capitolo Trentasettesimo §
§ Capitolo Trentottesimo §
§ Capitolo Trentanovesimo §
§ Capitolo Quarantesimo §
§ Epilogo §

§ Capitolo Ventiquattresimo §

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By DonatellaR




Harry rimescolava la minestra nel piatto, esaminando la sala grande di Hogwarts quasi deserta. Aveva preferito spendere le vacanze natalizie nella scuola piuttosto che accettare il consueto invito a casa Weasley. Al ritorno Ron avrebbe esibito la solita faccia offesa a morte che indossava quando il ragazzo occhialuto desiderava stare per conto proprio. In fondo non era tenuto a capire: lui aveva dei fratelli, Harry no. Il tempo per se stessi non sapeva nemmeno cosa fosse. In verità il ragazzo aveva scelto di eludere la Tana anche alla luce dei recenti avvenimenti. Temeva che Fred e George spifferassero involontariamente qualcosa a tavola sull'anello e lui fosse obbligato ad assistere ad una lite in classico stile Weasley.

Nei giorni precedenti si era tolto l'anello dal dito e l'aveva poggiato sulla superficie liscia del caminetto del loro dormitorio. L'aveva scrutato intensamente fino a procurarsi mal d'occhi. Certo quella tecnica non l'avrebbe condotto da nessuna parte. Eppure non sapeva da dove cominciare e non aveva nessuno a cui chiedere. Non aveva ancora deciso come comportarsi al suo prossimo incontro con la signora Weasley. Una sua partecipazione ad una eventuale ricerca sull'origine di quell'oggetto metallico non era da inserire in programma. Non capiva se si poteva fidare di lei e annullare le informazioni sul suo passato. Il lato non rassicurante della madre di Ron lo gettava nel panico e nella diffidenza. Lo stesso valeva per il signor Weasley. Lui e Lucius Malfoy amici di vecchia data era un'immagine che gli accapponava la pelle. Come erano in grado delle persone perbene, buone, generose di mischiarsi a gentaglia simile? La risposta non c'era, o se c'era, era sconfortante.

Hermione era andata a casa con un baule misterioso, lo stemma dei Malfoy che troneggiava sulla serratura del lucchetto. Dal tonfo che aveva prodotto quando l'avevano scaricato sul binario del treno, deduceva che il suo contenuto fossero libri della dimensione di macigni. Ci erano voluti due robusti facchini per issarlo a bordo.

Harry dubitava l'avesse aiutato col suo mistero se ci fosse stata. Era eternamente chiusa in biblioteca, chiacchierava il meno possibile con i compagni di Casa e trasportava il cibo del pranzo in sala studio. Riemergeva dall'apnea verso cena, evitando ultimamente di sedersi accanto a lui. Aveva assunto un comportamento strambo. Aveva l'impressione fosse lui il problema e non capiva per quale motivo. Non ricordava di aver commesso un torto verso di lei. Hermione agiva come se fossero in disaccordo su un argomento in particolare. Harry non era un amante degli alcolici come Ron, quindi reputava improbabile che avesse parlato a sproposito. Non riusciva ad inquadrare bene il fenomeno. Harry ingoiò controvoglia un sorso di minestra.

Eco di un cucchiaio riposto in un piatto vuoto.

Si girò.

Draco Malfoy si stava pulendo gli angoli della bocca accingendosi ad alzarsi dalla sua panca. Era l'unico avventore della sua tavolata. Insolito fosse restato per la pausa natalizia. Non si era mai imbattuto in lui per i corridoi. Non che ci fosse molto da fare, escluso annoiarsi, in quei giorni. Lui invece aveva l'aria di uno con una missione da compiere, osservando la rapidità con cui sparì dalla sala.

Harry aveva la fastidiosa sensazione di essere escluso da qualcosa di importante. Dapprima lo aveva ritenuto un pensiero egoistico. Doveva essere grato della pace che stava regnando nel micromondo di Hogwarts. Era sollevato di non giocare alla star/zimbello per un po'. Ciononostante i giornali arrivavano pure lì nel castello. Il Ministero della Magia era nel caos e Silente non lo convocava da un pezzo per discutere della sua sicurezza. Si era addirittura astenuto dal commentare la sua scelta di restare nella struttura per la fine dell'anno.

Da un mese le notti di Harry erano serene e tranquille. Nessun contatto non voluto con Voldemort. Eccetto in una circostanza settimane prima. Era al bagno del suo piano a lavarsi le mani e aveva scorto dietro di sé le sembianze di un Voldemort che urlava muto. Era rimasto di cera perché per un folle istante gli era balenato in mente si trovasse là con lui. Invece era scomparso così come era apparso. La sola parola che avesse distinto era stata "fuggita via". Lo specchio aveva ritratto un Harry in subbuglio. Non riguardava lui... o sì?

Aveva relegato l'episodio nella categoria degli occasionali. Non aveva senso. Forse Voldemort si riferiva ad un suo sottoposto. Ciò che l'aveva colpito era il suo sguardo carico di umanità. Sembrava tenesse a colui o a colei contro la quale stesse gridando. Questo aveva sconcertato il Prescelto. Un Voldemort capace di provare dei sentimenti diversi dalla brama di potere? Aveva accantonato la visione, fingendo fosse stato un sogno ad occhi aperti.

Poi gli capitava spesso di riflettere sulla notte di novembre in cui Oliver Wood era sgusciato nel loro dormitorio dopo aver accolto delle figure nere non identificate sul ponte di Hogwarts. Nell'ultimo periodo lo aveva sgridato per essere rimasto più del dovuto sul campo da Quidditch o nella casetta di Hagrid.

- Harry tu sei quello che più di altri dovrebbe stare attento! – gli aveva sbraitato ad ottobre mentre rientrava da una passeggiata proibita sulle sponde del Lago Nero. La stessa sera Harry non l'aveva calcolato. Anzi, si era mostrato contrariato per la sua presenza in Sala Comune. Di conseguenza il suo fiato sul collo durante le sue quotidiane effrazioni era venuto a mancare. Quasi era orfano delle sue sfuriate. Inoltre aveva preso a guardarlo come se fosse...come se fosse la prima volta che lo vedesse.


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Oliver era ad un miglio dal cancello dei Malfoy da una abbondante mezz'ora. Non era mai stato talmente titubante nella sua intera vita. Era spesso lodato per la sua velocità decisionale e il suo impugnare le questioni di petto. Ma ora era diverso. Realizzava che se avesse varcato quella soglia si sarebbe caricato di una nuova responsabilità. Si era materializzato lì d'istinto ed era stato presto bloccato dalla ragione. Si stava ficcando nella fossa dei leoni. Era cosciente dei rischi di cui si stava addossando? No, voleva sapere come stava Vivian. Non la vedeva dalla sua "visita" ad Hogwarts. Tonks aveva ragguagliato Silente sulla sua totale assenza tra i Mangiamorte. Segno chiaro del suo non avvenuto incontro con la madre naturale, Lily.

Oliver si avvicinò al cancello cercando di dissimulare la sua camminata spedita. Uno stridio di ferraglia. Due lance incrociate ostruivano il passaggio alla vasta tenuta dall'altro lato del cancello nascosta nella nebbia. Lucius Malfoy aveva posizionato due statue titaniche di cavalieri in armatura a difesa del suo prezioso fortino.

- Dì il tuo nome, straniero. – rimbombò la voce sotto l'elmo di uno di questi.

Il cipiglio dell'Auror era spazientito, ma gli conveniva confessare il suo nome senza opporre resistenza. Avrebbe giurato che Lucius li avesse programmati per attaccare chiunque impiegasse oltre un minuto a dichiarare la sua identità.

- Oliver Wood.

Non era stato pronunciato forte a sufficienza.

- Ripeti. – gli ordinò il cavaliere alla sua sinistra.

- Oliver Wood! – strillò, innervosito. L'ultima cosa che desiderava era una bella sciabolata in testa da uno di quegli energumeni. Aveva notato le spade attaccate alle loro cintole. A Lucius non sfuggivano i dettagli.

- Attendi. – gli impose la statua di destra.

Intanto un nugolo di elfi domestici era irrotto nella saletta da lettura di Narcissa, aggredendola con un corale fiume di parole.

- Mia Signora! Mia Signora!

- Uno straniero ai cancelli!

- Un AUROR ai nostri rispettabili cancelli!

- Oliver Wood!

- Oliver Wood, si chiama...

- Uno soltanto. – Narcissa sovrastò con la voce impassibile lo squittire generale. Cinque * pop * simili a scoppiettanti bolle di sapone nell'etere e degli elfi rimase solo Trixy.

- Oliver Wood, mia signora, - riferì prostrandosi con un devoto inchino – è ai vostri cancelli.

- È vestito da Auror?

- Sembrerebbe di sì, mia Signora.

- Sembrerebbe? – alzò un sopracciglio, scettica.

- Sì, è vestito da Auror, mia Signora. – corse ai ripari l'elfa.

La padrona le fece cenno di congedarsi con indice e medio uniti, un gesto aristocratimente leggiadro.

Oliver Wood era la dimostrazione vivente che più una cosa viene negata più viene alimentata. Non si era permessa di criticare le amicizie di sua figlia finché un giorno lei aveva espresso un eccessivo interesse per quel ragazzo. I Wood erano un'antica famiglia di purosangue. Erano sassoni sino alla punta dei capelli e quando i Malfoy, provenienti dalla Normandia, avevano posto piede nei loro territori a nord-est di Londinium, era iniziata una faida trasformatasi ben presto in guerra aperta. I Malfoy erano cavalieri al servizio di Guglielmo il Conquistatore e ciò che bramavano era un pezzo di terra da coltivare a feudo. I Wood avrebbero dovuto rinunciare ad una piccola fetta dei loro domini, ma con la scaltrezza di proprietari terrieri da oltre un secolo comprendevano che le ricchezze reali donate ai Malfoy avrebbero espanso le loro ambizioni e i loro acri. A quel tempo i maghi vivevano fianco a fianco ai babbani, non avevano paura della loro reciproca esistenza e la magia era in una certa misura accettata.

Con la vittoria di Guglielmo nella battaglia di Hastings i Wood persero i propri privilegi e si ritirarono nelle Highlands scozzesi in attesa di un futuro momento propizio. Furono tra coloro che architettarono il piano di uccisione di Elisabetta I a vantaggio di Mary Stuart La Sanguinaria. Tuttavia ebbero salva la testa perché il loro sostegno era avvenuto nell'ombra e fu scoperto tre secoli dopo a reato prescritto. Sotto il regno di Giacomo I diventarono degli agnelli mansueti e servili, ponendosi al servizio della guardia reale. Gli storici suppongono che il re fosse al corrente della loro defezione però li avesse perdonati. In quel periodo i maghi non usufruivano della benevolenza del popolo e probabilmente Giacomo aveva barattato un segreto con un ulteriore segreto: silenzio sul complotto ordito in cambio di protezione magica. I Malfoy non avevano salutato di buon grado il nuovo status dei Wood. Tuttavia i desideri del reggente non si discutevano. Avevano stretto i denti a sangue e continuato ad essere consiglieri reali fidati o pressappoco. Erano maestri dell'intrigo e non si può assicurare che non avessero portato a termine qualche microscopica vendetta nei confronti dei loro atavici nemici nel corso delle epoche.

Progressivamente l'universo della magia era stato vittima di un processo di restringimento a causa di lotte intestine e roghi cristiani. Il risultato fu il lento ed inesorabile isolamento dalla realtà babbana. Le rivalità tra famiglie magiche invece di disperdersi nel vento della storia, si erano ridotte ad un ciclo infinito di sterili diatribe che si avvicendavano sempre uguali a se stesse. In questo stato era la situazione tra i Malfoy e i Wood. Fantasmagorici stemmi medievali sbiaditi dalle intemperie, sommersi a metà dalle sabbie del tempo inoppugnabile.

Lucius Malfoy da bambino si era corroborato dell'astio con cui suo nonno amava infondere gli antichi episodi. Il fatto che da alcune generazioni i Wood si fossero tramutati in coriacei Auror non aveva incentivato un'opinione differente verso di loro.

Narcissa, aderendo ad un'ancestrale consuetudine secondo la quale la moglie di un nobile imparava ogni sfumatura del retaggio famigliare che andava a sposare, non nutriva impulsi favorevoli per il ragazzo Wood. Aveva sconsigliato al marito di accanirsi su quella storiella adolescenziale come invece aveva fatto, bruciando le lettere di Oliver. Se il marito non avesse dato eccessiva importanza al problema, era convinta che in quel preciso attimo Oliver non si sarebbe presentato davanti alla loro proprietà.

La madre adottiva di Vivian sospirò, autoinfondendosi una stirata pazienza.

- Trixy?

- Sì, mia Signora?

- Riferiscigli di non muoversi.

L'elfa obbedì e scomparse dalla stanza.

La bionda donna scese le scale come se avesse tutto il tempo del mondo a disposizione, tanta era la voglia di incontrare quel giovane uomo.

- Madre! – Vivian arrancò per l'affanno della corsa, un braccio sul passamano della scalinata di marmo.

Narcissa non si voltò, ferma al terzultimo gradino.

- Che vuoi? – chiese gonfia di risentimento. Non scorgeva da una settimana Vivian, rinchiusa nei suoi appartamenti privati come in un bunker. Inoltre, non l'aveva mai chiamata "madre", ma "mamma". Il cuore le si ritorse nel petto.

- Fallo entrare. – supplicò con riluttanza la giovane.

Vivian si sarebbe dovuta cospargere di cenere il capo e implorarla perché Narcissa non si sarebbe lasciata convincere da una supplica tanto esile. Fino a quel punto non si era minimamente preoccupata di sbucare fuori dal suo nascondiglio per domandare della salute della sua madre adottiva. Al contrario lei aveva scandagliato tutti i pranzi che aveva rimandato indietro e le cene che aveva sbocconcellato, divorata dal rimorso. Il rimorso di non aver taciuto la verità e di essere stata a sua volta egoista nell'aver ceduto un grosso peso su sua figlia.

- Non possiamo far entrare un Auror in veste ufficiale nel Maniero. – disse irremovibile – Ne vale per il suo bene non essere fagocitato dalla tana dei serpenti.

Ipocrita, pensò Vivian, non te ne frega un beato nulla di lui.

- Apri quei cancelli. – tuonò come se lei fosse la madre e Narcissa la figlia, in una violenta inversione dei ruoli.

- È un bene anche per te, credimi. – continuò tagliente la bionda, scendendo i gradini rimasti e aprendo con energia sorprendente il pesante portone d'ingresso. Puntò la bacchetta nel vuoto della nebbia, mugugnando una cantilena indistinta. Era un incantesimo di evocazione. Vivian sapeva che le loro terre pullulavano di bisce. Dovevano ringraziare quel pazzo scriteriato del trisavolo Norbert per questa fastidiosa eredità. Narcissa Malfoy aveva appena scatenato i rettili contro l'ignaro Oliver.

Vivian volò letteralmente giù dalle scale, scansando la madre con occhi spiritati e sibilò accucciandosi toccando il terreno : - Shamslesss!

Era un comando di richiamo in Serpentese. Gli stregoni normali potevano soltanto evocare i serpenti, non bloccare il flusso magico di questo tipo di incanto. La conoscenza della lingua dei serpenti non si acquisiva ma si trasmetteva per via genetica. Era una rarità che Vivian per sua fortuna possedeva grazie al vero padre, Tom Riddle.

Narcissa fremeva, impaurita. Non si era mai ribellata in modo così aggressivo alla sua autorità di genitore. Per un secondo le aveva attraversato la testa il pensiero volesse ammazzarla.

- Io non ti riconosco più. – balbettò la madre, stralunata.

- Chiudi la porta. Non lo farò entrare in casa come vuoi tu. – le ingiunse Vivian, astenendosi dal guardarla in viso.

La bionda la fissò esterrefatta.

- Cosa aspetti? – gli occhi verdi della figlia vagavano al di là della sua figura come se lei fosse un essere incorporeo da scacciare.

La sua espressione serafica e indifferente era tale e quale a quella di Tom Riddle.


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- Seriamente, proprio su un treno babbano ci dovevamo incontrare? – obiettò sbigottito Sturgis Podmore.

Un anziano signore dalla barba argentata stava leggendo un numero di "Tè e tovaglie" e diede segno di non fare caso alla domanda. La porta dello scompartimento si richiuse di scatto. Ora c'erano solo loro due all'interno.

- Ci vorrà un momento, Podmore. Accomodati, prego. – Albus Silente adocchiò la poltroncina di fronte a lui.

Sturgis si stava incominciando a rilassare, cullato dal movimento del treno, quando una sagoma bianca baluginò tra di loro, mozzandogli il fiato. Era ormai un Auror in pensione e aveva perso l'abitudine a determinate stranezze magiche.

- Benvenuto, Indicibile. – il vecchio preside parve accantonare la sua lettura, degnando di uno sguardo profondo l'interlocutore appena approdato.

La figura guadagnò consistenza e Sturgis notò con sollievo fosse un essere umano. Le mani che spuntavano dalla tunica immacolata erano polverosamente candide come la cipria e il cappuccio era calato fino al naso, si intravedeva solo un triangolo del volto marmoreo dalla bocca inespressiva. Assomigliava ad un sacerdote di un'ascetica congrega magica. Scivolò leggero sulla poltroncina accanto al finestrino.

- Sii breve, Silente, ho dei compiti dai quali non mi è concesso ritirarmi. – lo informò Podmore, la voce priva di intonazione.

Albus Silente sorrise impercettibilmente.

- Sturgis, per piacere, sii gentile, saluta un valente membro dell'Ufficio Misteri. – lo invitò con il palmo della mano destra sollevato nella direzione dell'ospite.

Podmore trasecolò. Non aveva sentito male. Un Indicibile era a pochi centimetri di distanza da lui. Gli baciò il dorso della mano tesa dalla sua parte. Il gelo gli strinse le membra nello stomaco. Gli Indicibili era una sorta di casta all'interno dell'Ufficio Misteri. La loro funzione era inintelligibile così come le loro mansioni. Erano persone che intraprendevano un sentiero duro e periglioso. Tramite complicati procedimenti stregoneschi perdevano il suono originale delle loro corde vocali e i loro visi erano trasfigurati nella completa anonimia. Questo era compiuto per conservare la segretezza delle loro identità. Ciò che non tutti sapevano era che fossero custodi dei segreti non solo dell'altro ma anche di questo mondo. Sturgis aveva liquidato durante la sua vita questa diceria come una fandonia. Gli erano sempre sembrati un branco di perditempo assurdi e si era spesso domandato se il Ministero li mantenesse con i soldi dei contribuenti. L'ex Auror era la quintessenza del pragmatismo.

- Caro amico mio, verrò subito al dunque, dato che il nostro ospite ha impegni improrogabili. – ammiccò verso l'Indicibile che non diede avviso di essersene accorto. Ci vedeva dietro quella stoffa? Sturgis scelse di non scervellarcisi sopra, quell'essere gli generava un'esacerbante inquietudine.

- Ti è giunta notizia della paranoia di Scrimgeour? – Podmore annuì veemente – Ultimamente le sue condizioni di salute sono peggiorate. Si è rifugiato a Grimmauld Place che ormai non è di gran lunga un luogo sicuro nemmeno per i topi. Hai saputo di Lily? – Albus indagò come se fosse una quisquiglia di minore importanza.

- Sì. – era spaesato. Era convinto che Silente l'avesse convocato soprattutto per quella scottante questione, però ora chiacchierava con lui delle crisi di Rufus. L'oggetto della conversazione con Albus era di frequente mutevole. I sensi di Podmore erano all'erta. 

- Ho fiducia in te, Albus. – guardò dritto il preside nelle orbite.

Sturgis Podmore, acuto come se lo ricordava.

- Ora posso chiederti cosa ci fa lui qui? – accennò all'uomo in bianco.

Albus non gli servì una spiegazione. Lo contemplava molto attentamente per capire se si sarebbe potuto fidare di lui.

- Mi sarei aspettato di essere finito da te piuttosto che dalla dubbia copia di un dissennatore. – fu mortalmente sincero Sturgis. Iniziava a capire il suo ragionamento. L'aveva sottovalutato. Non era tipo da ritrarsi da situazioni scomode.

- Non è un dissennatore. – parlò infine Silente – Vedi? Si è stizzito. È scortese spazientire uno sconosciuto. E questo Indicibile è l'assassino perfetto per un possibile traditore. È il guardiano dell'Alcova dei Segreti al Dipartimento Misteri.

Podmore recepì il messaggio.

- Sai che non sono uno che dà di matto. Scrimgeour si è bevuto il senno.

- Lo so ma volevo accertarmene con i miei occhi. Se lui sparisse, verrebbe rimpiazzato da uno degli uomini di Voldemort. – sospirò serio il preside – Constato con diletto che la faccenda di Lily Evans non ti turba nemmeno di un filo, vado errato?

- No, non vai errato. Quel segreto morirà nella tomba con me. – assicurò solenne.

L'Indicibile si alzò silenzioso per andarsene. Silente lo osservò dissolversi nella fessura ai piedi della porta dello scompartimento come se fosse l'avvenimento più naturale di questo mondo.

- Se ne va così? – esclamò attonito l'ex Auror.

- Doveva rilevare i tuoi segni vitali. Gli Indicibili sono ciechi nella realtà al di fuori delle loro stanze. Sono in grado, però, di distinguere i segni vitali umani come il calore del corpo e la frequenza dei battiti cardiaci. – sorrise lieto – Adesso che se ne è andato via ho la certezza matematica che tu non stia bluffando.

Tsk, bell'amico, si riservò di commentare tra sé Sturgis. Avrebbe dovuto stamparsi nel cervello come monito la triste fine di Grindelwald.

- Cosa vuoi da me, Albus? – si stava inasprendo. I misteri non procuravano ad entrambi lo stesso piacere, era palese.

- Lo sai che la foga è scambiata a volte per maleducazione? – sottolineò l'altro, piccato dalla sua impazienza – Nel caso il povero Scrimgeour non ce la dovesse fare, - i suoi occhi furono animati da un sinistro scintillio – vorresti diventare Ministro della Magia?

Sturgis rimase basito.

- Da quando tu ti occupi delle sue 'elezioni'?

- Da quando non c'è più un Ministero. – giudicò lapidario Albus. Le sue pupille penetranti evidenziate dalle sopracciglia biancastre gli stavano comunicando che la sua non era una vera e propria richiesta ma un ordine. Se avesse rifiutato, sicuramente l'Indicibile sarebbe riapparso.

- Albus, per l'amore di Morgana, sono un uomo da sfondamento io. Come pretendi mi possa occupare di faccende burocratiche? – non avrebbe accettato passivamente l'incarico senza che gli fosse data una motivazione convincente.

- Primo perché tutti i potenziali candidati sono fuggiti da un pezzo e sono irreperibili. – Silente lo disse con il disappunto di chi aveva sprecato tempo a cercarli – Secondo perché consegnare il Ministero ad un Mangiamorte significa dare il sistema magico britannico in pasto a Voldemort. Terzo perché hai una buona conoscenza delle Arti Oscure. – rimarcò con uno sguardo che non ammetteva scampo.

Negli anni Settanta Sturgis Podmore era stato per un breve periodo insegnante di Arti Oscure ad Hogwarts. Non era un incapace. Diversi allievi lo ricordavano con riverenza ed ammirazione, visto che prima di insegnargli a proteggersi da quelle nocive magie, gli illustrava come funzionassero. Non poteva farli performare tra le pareti della scuola. Era vietato per motivi di sicurezza degli alunni. Quindi, li accompagnava in una distesa erbosa nei pressi del Lago Nero, non troppo vicino per scongiurare spiacevoli incidenti, e li faceva praticare. Una cassetta degli antidoti confezionati da Horace Lumacorno era vitale per la reversione delle magie. Si dà il caso che avessero frequentato la sua classe un sostanzioso quarto di quelli che avevano costituito l'anello di potere saldato attorno a Voldemort: Lucius e Narcissa Malfoy, Molly e Arthur Weasley, Severus Piton, Bellatrix Lestrange e , naturalmente, Lily Evans e Tom Riddle. Non si attribuiva la colpa delle persone in cui si erano trasformati. Se fosse stato un pessimo professore, tutta la sua classe avrebbe dovuto seguire il loro esempio. Così non era stato e lui ne era soddisfatto.

Silente intercettò la sua aria riflessiva e osò appoggiare la lunga mano sulla sua.

- Tu conosci le loro debolezze. – affermò speranzoso – Chi meglio del loro ex insegnante può fronteggiarli?

- Sono cresciuti nel frattempo. Le loro debolezze potrebbero non combaciare con quelle nella mia memoria. – lo avvertì intelligentemente.

- Può darsi per alcuni, ma noi abbiamo un'arma che loro non hanno.

Sturgis capì al volo a che cosa si stesse riferendo.

- Riddle non è un uomo ricattabile, Albus. – gli fece presente. Lo schema di Silente era deplorevole. Podmore ebbe la profetica sensazione che se la guerra fosse terminata, non sarebbe durato a lungo il suo mandato come Ministro della Magia. Anzi, ci scommetteva.

- E chi l'ha detto che voglia ricattarlo? – sorrise placido, riconcentrandosi sulla sua rivista per signore.


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- Requiem.

Le statue fuori dal cancello dei Malfoy riassunsero la posizione abituale con gran baccano di ferraglia. I cancelli si aprirono strisciando leggermente sulla polvere del selciato che formava la via maestra per il Maniero.

Vivian aveva la faccia stravolta e la chioma corvina scomposta, come se si fosse presa a botte con qualcuno. Notò lo sguardo ispezionatore di Oliver. Tentò di aggiustarsi invano i capelli.

- Stavo per andarmene. – scherzò Oliver con una battuta fiacca, di cui si pentì immediatamente. L'espressione della ragazza non lasciava adito a dubbi: entri o ti sbatto il cancello sui denti?

Non mise ulteriormente alla prova la sua dissipata pazienza, apprestandosi ad entrare. Lei cantilenò delle frasi per richiudere l'ingresso. Sembrava celtico...no, l'accento non era lo stesso. Forse norreno. Ricordava i vecchi libri di storia di suo nonno in cui si narrava che gli antichi Malfoy erano Normanni di origine danese. Gli abitanti francesi gli avevano affibbiato il nomignolo mal foy, mala fede, per presupposti saccheggi e malefatte che non erano specificati nei loro annali.

- Ehi. – la chiamò impacciato una volta finito il canto. Vivian si girò non concedendogli uno sguardo e cominciò a passeggiare per il perimetro dell'immenso giardino.

Siepi alte e scure schermavano le inferriate, somiglianti a quelle di un tenebroso labirinto.

- Lumos Maxima. – mormorò Vivian. Una luce si irradiò sulle loro teste rischiarando il percorso dinanzi a loro.

La nebulosità della nebbia persistette. Purtroppo non esisteva incantesimo in grado di diradarla completamente. Era pur sempre un fenomeno naturale.

Vivian continuava ad ignorarlo come se fosse stato una visione indesiderata. Quanto era ostinata, pensò Oliver innervosito. Si era immaginato che qualcuno dei suoi genitori gli avesse impedito di aprirgli e lei avesse disobbedito alla grande. Non ci voleva uno studio per capire da dove derivasse la trasandatezza della ragazza. Oliver rifletté, comunque, che era impossibile Lucius Malfoy fosse nel Maniero. Non gli avrebbe consentito di respirare la sua stessa aria nel raggio di trenta miglia. Ripensandoci, il suo era stato un gesto alquanto sconsiderato. Facendo una stima mentale delle sue capacità magiche, dubitava fortemente sarebbe uscito indenne da uno scontro con lui.

Oliver contemplò la schiena di Vivian. Stava rischiando la pelle per una ragazza che ora lo trattava come un fastidio. Levò gli occhi al cielo, sconsolato.

- Come va con Narcissa? – doveva rompere il ghiaccio. Almeno era sicuro avrebbe attirato la sua attenzione. Aveva citato la signora Malfoy in tono esageratamente confidenziale e non era ricorso all'appellativo "madre".

Constatò sbalordito che questo non aveva guastato la camminata di Vivian dato che proseguì nel non rispondere. Oliver si stava visibilmente scocciando. Aveva messo a repentaglio la sua pellaccia materializzandosi nel luogo nemico ed era questa l'accoglienza che gli riservava?

Il ragazzo si convinse a far scattare la gabbia della trappola.

- Deduco dal tuo umore che tu non abbia incontrato Lily.

Vivian si girò di botto, lo sguardo stranito e sofferente, e Oliver rimpianse di essere stato indelicato. Avrebbe desiderato avvicinarsi ad abbracciarla ma la sua occhiata livida lo trattenne immobile dov'era.

La ragazza si era rabbuiata, assorta in un profondo pensiero.

- Incontrarla risolverebbe qualcosa? – era chiaro fosse un interrogativo che la ossessionasse. Non voleva una risposta reale, solo qualcuno con cui condividerlo per dimostrare avesse ragione.

- Sarebbe un inizio. – dichiarò propositivo.

Lei lo scrutò come se fosse un alieno sbarcato da una navicella spaziale. Come? Aveva afferrato esattamente ciò che Vivian avesse detto?

- Sarebbe l'inizio della fine. – proferì catastrofica. Oliver si accinse a replicare, ma lei non aveva finito – Significherebbe accettare di essere loro figlia, di essere l'erede di Lord Voldemort in persona. Farmi nemici che manco sapevo di avere, combattere per avere salva la vita in una guerra che non ho dichiarato e da cui sono irrimediabilmente investita! Rivedere chissà quando la donna che mi ha allevato, Narcissa, soltanto perché una sconosciuta vorrebbe recuperare gli anni persi con me...quando io invece non provo nessun interesse per lei! – si sfogò senza riacquistare fiato.

Oliver gli avrebbe detto che poteva bastare così, tuttavia sentiva che doveva spronarla, non confortarla e proteggerla come quella notte ad Hogwarts. Se fosse stato per lui si sarebbe istintivamente ritirato con lei in un eremo di montagna, chiudendo a tripla mandata il mondo esterno di fuori. Se fossero stati vinti dai desideri personali, non avrebbero ritrovato una realtà migliore di quella che stavano vivendo. Tanto valeva affrontarla.

- Viv, ascoltami. – il respiro di lei ansimava per la frustrazione – Perché allora ti sei sottoposta all'esame da Mangiamorte?

- Per vedere il mio vero padre. – la gola di Vivian le tremava per l'emozione dello sfogo precedente. Oliver annuì saggio.

- E una volta che l'hai visto, cosa hai pensato?

- Che eravamo due gocce d'acqua... - esitò – e gli avrei posto un milione di domande se...non ci fossero state altre persone.

Il ragazzo stava arrivando al suo obiettivo. Adesso doveva autoimporsi un enorme sforzo per riconoscere con se stesso che anche il freddo e crudele Voldemort avesse dei sentimenti.

- La sua reazione quando ti ha incontrata qual è stata? – era un tuffo alla cieca nel vuoto, Oliver stava azzardando.

Vivian parve rimuginarci.

- Era sorpreso altrettanto quanto me. Non è ... non è stato capace di tradire la sua emozione. Magari per questo se ne è andato di folata. – la ragazza trattenne una risatina. D'un tratto quel ricordo le appariva buffo ed esilarante.

Oliver ringraziò gli Dei di aver scovato un pavimento nel suo salto nel buio. Non poteva soffermarsi ad analizzare con onesto stupore il comportamento di Voldemort, dato che non voleva mollare il filo del suo intento.

- Pensi che per Lily non sia lo stesso? – sperava veramente lo fosse. Non sapeva se stesse agendo in maniera giusta, però Vivian aveva bisogno di una spinta per porre fine al suo inutile logorio circolare. Cercare la verità che nessun'altro tranne i suoi genitori naturali erano in grado di darle.

- Io...non lo so...credo. – era incerta.

- Erano guardie del corpo inviate da tuo padre quelle che erano con te ad Hogwarts, no?

- Sì.

- E questo come si chiama a casa tua?

Vivian non capiva. Dove voleva arrivare?

- A casa mia si chiama interesse. – le fece notare Oliver – Se non vuoi parlare con Lily, almeno parla con tuo padre, Viv. – le passò le mani ai lati della testa, toccandola. Piantò gli occhi nei suoi. L'espressione della ragazza era terrorizzata.

- Ho paura, Oliver. Ho paura di peggiorare le cose.

Lui sorrise d'indulgenza.

- Può andare peggio? Mh?

This is a gift it comes with a price

Who is the lamb and who is the knife

When Midas is king and he holds me so tight

And turns me to gold in the sunlight

I look around but I can't find you

(raise it up)

If only I could see your face

(raise it up)

Instead of rushing towards the skyline

(raise it up)

I wish that I could just be brave

I must become a lion hearted girl

Ready for a fight

Before I make the final sacrifice

We raise it up this offering

We raise it up

(Rabbit Heart, Florence and The Machine)

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